Ne L’eleganza è frigida, il narratore, Marco, nuovo Marco Polo e alter ego di Goffredo Parise – che nell’originale reportage in terza persona racconta il proprio viaggio in Giappone – riesce a strappare poche parole al vecchio scrittore giapponese Ishikawa Jun, minuscolo, a disagio, timidissimo, con cui si incontra in un bar di Tokyo: Bisogna non fare l’arte per ottenere l’arte; Niente analisi, solo sintesi, l’analisi mi annoia. Quando fa quel viaggio, nell’autunno del 1980, Parise ha già pubblicato da otto anni il primo dei suoi Sillabari, il secondo, che gli varrà lo Strega, uscirà due anni dopo.

L’esperienza giapponese, almeno così come la narra, sembra offrigli allo stesso tempo un’interpretazione e una conferma del senso della letteratura che ispira i racconti che ha scritto e sta scrivendo e via via pubblicando sul “Corriere della Sera”, nella direzione di un’arte poco analitica e molto emotiva, eppure controllata nell’anima; arte dei vuoti più che dei pieni, frutto di un lunghissimo apprendistato eppure scaturita come per miracolo o per caso, e per questo, allo stesso tempo, reale e irreale.

D’altra parte il Giappone è lontano, nell’estetica come nella morale, dal "paese della politica” (così viene definita nel reportage l’Italia) dal quale arriva Parise e dove l’opzione per i sentimenti, a cui è già approdato con il primo Sillabario, gli è stata contestata come astensione dall’impegno.

Sguardo spostato

Ma in che modo tutto questo è riconoscibile in Sillabario n.1 e Sillabario n.2? E in che modo, in definitiva, può incidere sul nostro senso della letteratura?

Nelle due raccolte di racconti, i sentimenti, o stati d’animo, o stati fisici, che Parise si propone di risillabare per ritrovarne un’originaria purezza, sono elencati nei titoli in ordine alfabetico, da Amore a Solitudine. Ogni volta dunque è il titolo a identificarli e d’altra parte, se non fosse così, probabilmente dal testo per la gran parte dei casi desumeremmo altro. Parise gioca infatti con titoli antifrastici.

Così Paura è il racconto della reazione ardita di un’anziana signora che in una calle di Venezia viene aggredita da un ladro, il quale minaccia di coparla: Copeme, lo incita allora la donna, che in quel momento si accorge di non avere più niente da temere per la propria vita, tanto povera e solitaria, Copeme, vediamo se lo sai fare, insiste. Talvolta invece il titolo è ben centrato. Fame, a esempio, è l’estremo bisogno che spinge un bimbo del Biafra a cuocersi un topo infilandolo in uno stecco e a raschiare con un coltellino la parte carbonizzata, nell’ultimo sforzo che gli concede la debolezza mortale dell’inedia.

Il raggiungimento della purezza espressiva sembra dunque passare innanzi tutto, in questi racconti, attraverso uno sguardo spostato, una predisposizione all’incoerenza che rende inattesa la narrazione e le relazioni interne al testo e all’opera. È in questo modo che Parise introduce il processo di rottura delle convenzioni narrative, che gli permette di rinnovare la rappresentazione dei sentimenti.

Sospeso nel vuoto

Il passo successivo è la stilizzazione: tratti ora nitidi ora sfumati, ma sempre come sospesi nel vuoto, definiscono il tempo e l’ambientazione imponendo un continuo andirivieni tra incanto e realismo. Così i personaggi possono generalmente riferirsi a due tipizzazioni: gli esseri “osservati”, quasi sempre naturali, semplici, ingenui e selvatici, come il ladro, come il bambino; e gli esseri “che osservano”, malinconici, riflessivi, storditi dalla complicazione della loro mente, che rifiutano, come la signora sola, o il giornalista che prende atto della tragedia del Biafra.

Ma in che modo, alla fine, viene a configurarsi un testo armonico e completo, un microracconto di tipo deduttivo con tendenza all’apologo, secondo la definizione di Mengaldo? Estate, uno dei racconti più belli, prende avvio da un ricordo: Un giorno d’ottobre sul battello Ischia-Capri un uomo appoggiato al parapetto di prua contro il vento e il sole guardava fisso e senza pensiero il blu del mare e le spume bianche. Disse “L’estate è finita”, la gola si chiuse e non poté più parlare.

E si chiese dove fosse la donna con la quale tanti anni prima, quando lei era sua moglie ed era una ragazza di diciannove anni, aveva trascorso a Capri un giorno felice; giorno che viene rievocato: dall’arrivo nella pensione del signor Morgano, napoletano coltissimo, al riposo pomeridiano nella camera grande e bianchissima, alla passeggiata verso la spiaggia dei Faraglioni, all’immersione nelle acque limpide e abissali sfiorate dai gabbiani, alla cena nel ristorante sulla terrazza di legno sconnesso “Da Luigi”; con lei che ha sempre fame, sete, sonno e quando litigano (litigavano moltissimo), lo graffia e gli dà calci e quando si abbracciano lo annusa, e arriccia il naso per sentire gli odori e, gocciolante di acqua, vibrante nel vento, gli appare più che mai risplendente perché il cuore di lei e tutto il suo carattere selvatico e naturale splendevano di una grandissima autonomia naturale e solitaria. La giornata si chiude su un notturno lunare.

Era un giorno di luglio, poi venne agosto, e così passò l’estate. Se dunque Estate come gli altri titoli deve rinviare a un sentimento, tale sentimento è il rimpianto per la fine dell’estate e del senso di vitalità e di pura esistenza che un tempo quella stagione ha saputo regalarci.

Rigenerazione

Davvero, tuttavia, in questo racconto Parise si è attenuto a dei sentimenti elementari e la scrittura se ne è fatta interprete? In realtà il gioco dell’arte, lontano dall’essere celato, sembrerebbe anche troppo scoperto. È evidente che l’utilizzo dei superlativi, i colori essenziali, i gesti schietti vanno a costruire l’artificio della risillabazione di un mondo, la forma estatica e attonita di una rigenerazione.

Forse l’autenticità, che pure il lettore avverte nel leggere questo come gli altri racconti, riguarda piuttosto un sentimento più profondo e per nulla elementare, ossia il pudore, che nella scrittura consiste essenzialmente nell’affidare allo stile lo svelamento di una verità intima perché filtri il carattere osceno che possiede ogni visione personale della vita. E sono verità intime e complicate i sentimenti dei Sillabari.

Resistenza

Ma torniamo a L’eleganza è frigida e fermiamoci su un episodio: la visita alla casa dello scrittore Kawabata, morto suicida pochi anni prima. Ognuno dei capitoli del reportage, pubblicato a puntate sul “Corriere della Sera”, forma anche in questo libro una sorta di apologo, una narrazione che contiene lo svelamento di una verità.

La moglie di Kawabata, un’anziana signora in kimono, potrebbe ben essere accolta nel gruppo degli osservati di cui dicevo: lieve e goffa nel suo ingenuo tentativo di salvare le apparenze; reale e irreale, quasi caricaturale (come ha scritto Zanzotto dei personaggi dei Sillabari) nelle sue movenze aggraziate e ripetitive da bambola automatica. Così, nella confusione con cui lei cerca di mostrarsi esperta dell’opera del marito, che in realtà non conosce, e nella musealizzazione dei suoi libri, che lei ha allestito in un edificio freddo e anonimo annesso alla casa e del tutto discorde con il carattere tipico degli altri ambienti, Parise avverte in un lampo che quel grandissimo scrittore è stato, come il suo gesto finale lasciava pensare, un uomo solo e disperato.

Da quelle stanze, il senso di solitudine si allarga fino a comprendere la condizione di ogni scrittore: lo spirito di Kawabata e il rumore notturno e funebre delle sue onde stava altrove, in quei libri che certamente non in Giappone ma negli altri paesi erano già stati sostituiti negli scaffali delle librerie grandi o piccole da altri, di ex politici che scrivevano i loro ricordi o di romanzieri improvvisati dalla smania sociale.

Quella che Parise ha riconosciuto in Giappone, interpretando un proprio senso dell’arte, è un’eleganza controllata, equilibrata, inapparente, dietro la quale si nascondono un’etica emotiva della correttezza e un senso pungente del pudore.

Perseguire questa perfezione stilistica, attraverso la quale mediare la sostanza drammatica, dolorosa e incandescente della vita in figure di equilibrio e di rinnovata purezza, deve essere stata per il Parise dei Sillabari, ossia per il Parise apparentemente più lontano dall’impegno, anche una forma di resistenza; il cui insegnamento ci viene consegnato.


Giulia Corsalini ha scritto saggi su Giacomo Leopardi e su autori e questioni della letteratura del Cinquecento e del Novecento. Con il suo primo romanzo, La lettrice di Cechov (nottetempo), ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra i quali il Premio Mondello, il Supermondello e il Bergamo. Nel 2024 è uscito il romanzo La condizione della memoria (Guanda).

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