La banalità più grande che potremmo scrivere sul ritorno di Mahmood a Sanremo è questa: non c’è due senza tre. Eppure nasconde un fondo di verità, visto che finora ogni volta che Alessandro Mahmoud è passato dall’Ariston lo ha poi conquistato. Quindi rimane comunque un osservato speciale, anche se sono molti i concorrenti che quest’anno gli contendono l’eterna investitura da favorito.

La “tuta gold” della canzone è quella in acetato, ispirata dagli astronauti, retaggio degli anni Settanta e poi lungamente riciclata almeno fino agli anni Novanta nelle peggiori feste di quartiere. È “gold”, e non dorata, perché nel testo ci sono parecchi termini in inglese – moonlight, night, fake, bitch, eccetera, eccetera – a dare un sapore da slang a tutto il brano.

È uno stile funzionale all’obiettivo: quello di portare gli ascoltatori in un’atmosfera da periferia, dove sono gli emarginati a salire sul palcoscenico. Anche indossando un abito inadatto a qualsiasi contesto. Ma è proprio oltre questa apparenza e questa semplicità che si può scoprire qualcosa.

Il nuovo album

La canzone è stata scritta pochi giorni dopo un rave a Berlino e nasce nel contesto del nuovo album, Nei letti degli altri, che uscirà a metà febbraio (e che a Milano è stato anticipato con una campagna marketing d’impatto: alcuni materassi sono stati messi nelle strade della città). A Mahmood probabilmente interessa più questo e meno l’idea di poter vincere un’altra volta il festival.

Ha fatto sapere che sarà un viaggio più in profondità nelle sue emozioni, a partire proprio da Tuta gold. Ci saranno poi brani con Tedua e Chiello e una canzone su un rapporto a tre, che è in realtà un episodio autobiografico.

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