Da quando era partita, quella mattina alle otto dalla stazione Termini, Nora Lopez aveva continuato a chiedersi cosa fosse davvero accaduto in via Montello.

A parte l’identità delle vittime e l’estrema efferatezza del delitto, la vicenda era avvolta da un fitto mistero. E l’idea che un assassino, capace di una simile ferocia, si fosse dileguato con il favore delle tenebre per le vie della città, aveva attivato in lei uno stato di profonda allerta. Avevano superato da pochi minuti Brindisi, mancava poco all’arrivo e le sembrava che il sedile fosse diventato incandescente. Non riusciva a stare ferma, accavallava le gambe prima a sinistra, poi a destra. Picchiettava con le dita sul tavolino pieghevole. Tant’è che la donna seduta due file più avanti aveva pure sbuffato rumorosamente.

Ma la smania di arrivare era troppa. Pure la notte era trascorsa in preda al tormento. Più volte si era risvegliata di soprassalto, controllando l’orario sul telefono, con il timore di riaddormentarsi e perdere il treno. A ogni suo sussulto, Michele – il cui sonno era di carta velina – l’aveva rimproverata.

«Lo sai che mi prende l’ansia!» aveva bisbigliato piccata lei. «Io devo partire. Tu, invece, potrai dormire quanto ti pare».

Quello, per ripicca, si era girato su un fianco dandole le spalle, anziché abbracciarla.

In treno

Durante le sei lunghe ore di viaggio, Nora era stata incollata ai social network, scorrendo i suoi contatti leccesi, in cerca di possibili connessioni con le vittime, o almeno di qualche dettaglio che potesse tornarle utile. «Abbi pazienza», si ripeteva a ogni spasmo di irrequietezza. La domanda fondamentale, però, continuava a ronzarle in testa senza tregua. Chi erano Daniele ed Eleonora? Perché era stata inflitta loro una morte così atroce?

Era lo stesso interrogativo che quella mattina rimbalzava sui giornali. Nelle cronache, Eleonora Manta, trent’anni, avvocato, veniva descritta come una brava ragazza, nata e cresciuta a Seclì, a trenta chilometri da Lecce. Daniele De Santis, invece, stimato atleta e giovane benvoluto da tutti, aveva sempre vissuto a Lecce ed era pure un coetaneo di Nora, classe 1987. Così, lei considerò che per una questione di statistica e di appartenenza doveva avere, per forza, qualche amico in comune con l’arbitro.

Perciò, appena salita a bordo, aveva inviato messaggi ad alcuni conoscenti leccesi ben inseriti nel tessuto sociale della città. La speranza era che qualcuno le offrisse un prezioso gancio investigativo di partenza. Tuttavia, nonostante l’orologio segnasse già le tredici passate, da quella pesca a strascico non aveva ricavato ancora nulla di significativo.

Il particolare

Studiando la rassegna stampa sul caso, però, in un articolo c’era un dettaglio che l’aveva particolarmente colpita. «Da una prima ricostruzione, pare che le vittime siano state sorprese dall’assassino nel bel mezzo della cena. Una serata importante per i due fidanzati, che – da quanto trapela – proprio ieri sera festeggiavano l’inizio ufficiale della loro convivenza nell’appartamento del delitto», rivelava il Quotidiano di Puglia.

Possibile che fosse davvero soltanto una coincidenza? O quel momento di celebrazione c’entrava con il movente dell’assassino? A corredo dell’articolo era stata pubblicata una foto degli innamorati al mare, abbronzati e sorridenti. Quella sullo sfondo doveva essere la scogliera di Santa Caterina.

Nora si era soffermata quasi con maniacale perizia sui tratti dei due. Aveva riconosciuto la stessa complicità che un tempo la univa a Michele. Nel loro caso, però, il rapporto si stava sfibrando. Per Daniele ed Eleonora, invece, era stato qualcun altro a decretare la fine del legame che li univa.

Non c’erano piste interessanti o particolari sospetti, sosteneva la stampa locale. E sebbene fosse tutto ancora oscuro, Nora Lopez sentiva che quella storia non era come le altre: quella storia pretendeva la sua presenza. E per un attimo, credette di averla evocata. Ma accantonò subito quel pensiero tanto inquietante quanto surreale.

La foto

Nel frattempo, Giuditta Gaudenzi la stava bombardando di messaggi. «Ricordati di fare molte riprese dei luoghi e, soprattutto, voglio i testimoni!» era solo l’ultima di una serie di richieste e precisazioni che, nonostante l’esperienza dell’inviata, la caporedattrice sentiva ancora l’esigenza di rivolgerle. «…saremo lieti di potervi ospitare ancora a bordo dei nostri treni».

Ascoltando l’annuncio dall’altoparlante, Nora afferrò il telefono e avviò la fotocamera. Si spostò sul sedile più esterno per prendere meglio le misure e scattò una foto. Osservò l’immagine e notò come l’alta velocità avesse sfumato il verde grigiastro dei folti ulivi e il manto di terra rossa, quasi fossero pennellate impresse distrattamente su una tela.

Ormai era un rito. Un attimo prima di arrivare nel luogo di un nuovo caso, immortalava il panorama fuori dal treno in corsa. Sapeva che l’inizio di una storia l’avrebbe cambiata e che il momento dell’arrivo non sarebbe mai stato uguale a quello del ritorno. Così, aveva dato vita a quella personale collezione di istantanee sul principio di cambiamento. L’aveva chiamata “Trenovisione”. La cornice del finestrino diventava il bordo di uno schermo, sul quale andavano in onda paesaggi, case, vite.

Le piaceva pensare che in quelle immagini sfocate, strisciate, bidimensionali si concentrasse una massa di dettagli dalla profondità sconosciuta e insondabile. Si illudeva in quel modo di cristallizzare l’imprevedibile, prima che incontrasse la sua esistenza e la cambiasse.

[…]

Ad attenderla non c’era suo padre, ma l’auto della troupe. Perché da quel treno non era scesa Nora, ma Nora Lopez, la giornalista di cronaca nera.

Di colpo, si sentì spaesata. Quella era l’identità dell’inviata che ormai era abituata a vestire: in pubblico e altrove. Di quell’identità, però, si spogliava in privato. Non perché la negasse, la metteva soltanto da parte per un po’ come si fa con un abito troppo pesante, quando arriva la bella stagione.

Una volta a Lecce, Nora accantonava la giornalista in un armadio, stipata insieme alle responsabilità da adulta. Una gruccia accanto all’altra. Era cosciente di come fosse in qualche modo un atto di codardia, ma di certo era un escamotage che le permetteva di conservare i privilegi del passato, rendendolo ancora presente. Quasi fosse un pezzo di carne in congelatore. L’adolescenza tornava attuale, sebbene fosse finita, e lei aveva l’illusione di potersene ancora nutrire. Il duplice omicidio della sera prima le offriva un’opportunità senza precedenti: ricongiungere le due identità, “Nora, la ragazza che era partita” e “Nora, la giornalista che era tornata”. Fu quello che pensò, uscendo dalla stazione.  

Il testo è un estratto di La regola di Nora, Sem -Italian Tabloid

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