Siamo a pochi giorni dalla Festa della Liberazione. Dopo 79 anni che cosa ne pensano oggi gli italiani del fascismo? La quota di persone che ritiene sbagliato reprimere chi inneggia al fascismo ammonta al 26 per cento dell’opinione pubblica. Per il 66 per cento, invece, è necessario intervenire e colpire quanti si macchiano di apologia del regime. Tra il 2020 e oggi la quota di persone che ritiene erroneo reprimere l’apologia del fascismo è aumentato di quattro punti (era al 22 per cento). Gli italiani che ritengono poco importante o superata la condanna e la repressione dell’apologia del fascismo, come descritto nella Costituzione, sono in particolare i giovani under 30 anni (33 per cento), gli uomini (29) e i residenti a nord-ovest (32).

Un altro punto di lettura è quello della valutazione del ruolo avuto dai regimi fascisti laddove hanno governato. Per il 35 per cento hanno realizzato anche delle cose importanti, mentre per il 58 per cento non hanno apportato alcun aspetto positivo. La quota di quanti assegnano alle esperienze di governo fascista, nei diversi paesi, degli aspetti utili e positivi sale al 38 per cento tra i trenta-cinquantenni, al 43 per cento tra i residenti a nord-ovest e al 37 per cento nei ceti medio-bassi. La percentuale di critici assoluti, invece, è più forte tra i giovani under 30, tra i residenti del Centro Italia e nel ceto medio: in tutti e tre i segmenti la quota critica passa dal 58 per cento di media al 64 per cento.

La narrazione

Un altro punto di visuale è offerto dal confronto tra quanti ritengono che ormai sia anacronistico parlare di fascismo e mostrano segni di stanchezza per argomentazioni e narrazioni che vi fanno ricorso. Su questo aspetto il paese si spacca nettamente in due. Metà degli italiani afferma che è un tema anacronistico, l’altra metà che è ancora necessario e utile parlarne. La spinta anacronistica è leggermente cresciuta nel corso degli ultimi anni, passando dal 48 per cento del 2020 al 50 di oggi. Portatori di questa valutazione sono, soprattutto, i residenti a nord-ovest (54 per cento) e a nord-est (52 per cento), nonché gli over 65 anni (52 per cento). Quanti, invece, ritengono il tema ancora attuale sono i giovani con meno di 30 anni (56 per cento) e i residenti al Sud (53 per cento).

I dati mostrano il persistere nel nostro paese di pulsioni verso forme di nicchiamento fascista. Spinte che trovano in alcuni segmenti minoritari tratti marcatamente antidemocratici. Il 9 per cento degli italiani, ad esempio, preferirebbe avere alla guida del paese un leader forte, capace di decidere da solo senza doversi preoccupare del parlamento e delle elezioni. Una visione che ha maggior presa nei ceti popolari, con il dato che sale all’11 per cento. Un’altra percentuale minoritaria, il 7 per cento, sarebbe disposto a cedere il potere, almeno per un periodo, all’esercito con l’obiettivo di mettere a posto l’Italia. Anche il giudizio sul nostro sistema democratico non è omogeneo. Per il 32 per cento dell’opinione pubblica ci sono altri sistemi politici, più autoritari, che potrebbero essere altrettanto validi quanto il sistema democratico; per il 18 per cento del paese, infine, il modello democratico non è il miglior sistema possibile.

Il binario

Nel nostro paese il portato del “noi diviso”, come ebbe a definirlo Remo Bodei, di quel binario di appartenenze separate che non sono mai riuscite a coniugarsi pienamente sotto la forma di un patriottismo costituzionale, permane come portato profondo della cultura nazionale. Il 25 aprile è un’occasione non solo per ricordare e commemorare la data fondativa della nostra democrazia, ma dovrebbe assumere sempre più il significato di momento unitario per il futuro dell’Italia; di appuntamento per rigenerare e alimentare la vocazione civile, repubblicana e democratica del nostro paese.

Un momento per ricordare che, oggi più che mai, è necessario ricostruire legami sociali, sviluppare politiche di integrazione, forme di cooperazione sociale e incrementare il dialogo politico, perché solo dando vigore alla nostra democrazia e all’etica repubblicana avremo gli strumenti adatti per affrontare le sfide poste dalle disuguaglianze e dalle fratture sociali. Le prove che ci pone il futuro non trovano risposte solo nella tecnologia o nell’economia, ma hanno bisogno di nuovo senso civico, di nuove forme di dialogo e socialità, di spazi e ruoli per giovani e donne, di rimessa in moto dell’ascensore sociale, di tolleranza e inclusione verso chi viene nel nostro paese. Hanno bisogno di un nuovo e forte spirito e senso democratico.

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