Per trovare la casa di Vasco a Zocca basta seguire le scritte colorate sulle strade e sui muri. Nel punto in cui convergono, diventando un enorme murales, c’è un cancello e quella è la casa di famiglia, dove vive mamma Novella e dove il figlio torna ogni estate, come fanno quasi tutti i figli che vivono lontano. In estate si torna a casa, dalla famiglia, anche se hai 71 anni, anche se sei la più grande rock star italiana, anche se con te arrivano migliaia di persone che si appostano sognando un selfie.

Quel selfie, però, spiega lo stesso Vasco in un decalogo affisso sul muro di casa: “non è un diritto”. Neanche se sei un fan - parola che deriva dall’inglese fanatic, che per la Treccani significa: ammiratore fanatico, tifoso, patito di qualcuno o di qualche cosa - neanche se vieni da lontano, hai fatto centinaia di chilometri in camper e ora, con la t-shirt del Kom, lo zainetto del Kom, il cappellino del Kom, sei sotto il sole ad attenderlo con altre centinaia di persone che sembrano tuoi cloni, con le quali stai cantando Vita spericolata a squarciagola, in un rito collettivo di appartenenza a qualcosa di più grande della musica, il Blasco come stile di vita, in mezzo a scritte colorate ricoperte da altre scritte colorante - “Siamo solo noi” è grande, in bianco, eccola lì - nella giornata più bella che ricorderai, se e solo se riuscirai ad avere quel selfie.

Zoccaland

Vasco torna a Zocca ogni estate, da sempre. Questa non fa eccezione, finito il tour di giugno, con dieci date negli stadi italiani e un enorme (scontato) successo, è arrivato a casa della madre dove si fermerà, pare, almeno fino a metà agosto. La mattina fa lunghe passeggiate per i sentieri, il pomeriggio va al bar BiBap per una partita a carte con gli amici di una vita - quale vita? Quella di Vasco? Quella della rockstar? Quante vite si possono avere? - in mezzo si concede ai fans in due fasce orarie, aprendo il cancello scortato dai bodyguard, invitando alla calma e sorridendo ai flash dei telefonini.

Vasco torna a Zocca e Zocca si trasforma in Zoccaland, la chiama così sui social, che per un attimo ti dimentichi che è un paesello dell’Appennino e pensi sia una piccola Los Angeles, dove è normale trovare una star, bodyguard e centinaia di fan in subbuglio, mentre sarebbe più corretto chiamarla Vascoland, perché Vasco è ovunque: nelle scritte sulle strade, nelle gigantografie per il paese, nei murales sulle case, nei rumori di sottofondo - è da quella macchina che esce Stupido Hotel? Da dove arriva questo coro che canta Sally? - negli occhi carichi di speranza di chi arriva per vederlo, toccarlo, dirgli grazie, urlargli “ti amo”. Fare un selfie. Si può tracciare un confine che protegga da tutto questo?

Si può spiegare ai fan - ricordiamo l’etimologia: fanatico - che il loro progetto di salutare, chiedere un autografo, fare una foto con Vasco solo perché si è arrivati fino a lì non è garantito, non è un diritto?

Che invece è diritto di Vasco trascorrere giornate “normali” - riflettiamo sul significato di normale: le piccole cose quotidiane - e non essere a loro disposizione quando sta facendo altro? Altro da salire su un palco, cantare, firmare autografi, fare selfie, concedersi ai suoi ammiratori, quando sta facendo altro: quando sta vivendo la sua vita privata.

Diritto al selfie

LAPRESSE

Vasco è un artista generoso, sia nella vita sia sui social - su Facebook ha 4,5 milioni di follower e solo 5 seguiti, quattro sono sue emanazioni e una è l’associazione Libera di Don Ciotti; su Instagram 2 milioni e più di 300 seguiti, tra cui Britney Spears -, che lo sa che il prezzo da pagare per il successo è questo e non è uno che si tira indietro davanti alle cose.

In un post recente c’è un video - lui direbbe “clippino” - in cui un gruppo di ragazzine e ragazzini incontrati durante una passeggiata in Val di Luce, sul Passo di Annibale (tra Toscana a Abetone, si chiama così perché si narra che Annibale ci passò con 50mila uomini), lo riconoscono, iniziano a cantare in coro Albachiara e lui si ferma a salutare sorridente. Colonna sonora: Un mondo migliore.

Follower in visibilio nei commenti: “Il migliore sei tu”, scrivono con un numero infinito di cuori. Difficile trovare haters, la sua è una comunità molto unita. Quello in montagna è stato un incontro casuale, piacevole, educato, gioioso. Moltiplichiamolo per un numero di volte indefinito per ogni giorno, togliamo “educato”, poi anche “casuale” e di conseguenza se ne vanno anche “piacevole” e “gioioso”.

Quello che resta è l’affermazione di Vasco nel suo decalogo: “Sono disponibile ma non a disposizione”, già detto un anno fa in un post su Facebook, ora scritto nero su bianco e appeso davanti a casa. Riuscirà a siglare un patto con i fan? A ottenere il rispetto verso Vasco-uomo e a mantenere l’ammirazione incondizionata verso Vasco-artista?

A tracciare il confine che separa il diritto di aspettarlo sotto casa da quello di ottenere un selfie con lui? Lui crede di sì, si fida dei suoi fan - verrebbe da dire: non deludetelo - e lo ha fatto scrivendo un messaggio davanti alla propria casa, dove chiede rispetto per sé stesso e per la comunità di Zocca (non fate schiamazzi, non disturbate i vicini) e dice chiaramente che no, il selfie non è un diritto. Un concetto rivoluzionario nell’èra del selfie come affermazione della propria esistenza: se non lo fotografo non esiste, non l’ho vissuto, non posso avere like.

Vasco ovunque

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La carriera di Vasco Rossi inizia nel 1978, se si guardano le foto è cambiato in ogni cosa ma non negli occhi, quelli sono sempre uguali: azzurro ghiaccio, ironici, taglienti, ci vedi il fuoco dentro - e da allora ha realizzato 34 album ufficiali e scritto un numero di canzoni enorme che da oltre quattro decenni continuano a raccontare le nostre storie, emozioni, paure, fragilità.

Vasco ci guarda dentro, raccoglie quelle parole che spesso noi non troviamo e ci scrive una, dieci, cento canzoni. Questo suo talento narrativo e musicale è stato capace di contaminare e farsi contaminare da diversi linguaggi, dal cinema alla letteratura, fino al balletto. Vasco Rossi è un’icona del nostro tempo.

Non sorprende quindi che Netflix abbia deciso di dedicargli una docuserie dal titolo Il sopravvissuto - voglio una vita come la mia (e quindi non più come Steve McQueen, come cantava in Vita Spericolata ai suoi esordi: ora è lui Steve McQueen), che uscirà nei prossimi mesi e che promette di raccontare, in cinque puntate dirette da Pepsy Romanoff (regista di molti suoi videoclip iconici), i momenti più importanti della sua vita artistica e privata, i retroscena sulle sue canzoni più famose, i luoghi a lui più cari, a partire da Zocca, passando per Bologna e arrivando fino a Los Angeles, dove abita buona parte dell’anno.

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I fan potranno mettersi comodi sul divano di casa e immergersi nella vitati riconoscerà nelle immancabili immagini di Vasco che esce di casa per incontrarli? Potrà dire «sono io quello lì» e fare un selfie del selfie, moltiplicazione della propria esperienza con il rocker.

In arrivo c’è anche un libro di poesie e illustrazioni curato ed edito dal gallerista modenese Emilio Mazzoli (quello che portò Basquiat in Italia e fu tra i promotori della Transavanguardia) dal titolo Vivere - To Live, a cui hanno lavorato i poeti Paul Vangelisti e Nanni Cagnone e gli artisti Marcello Jori e Carlo Benvenuto e che sarà un vero e proprio libro da collezione, in edizione limitata: “una carezza per Vasco”, l’ha definito Mazzoli.

Sempre il gallerista modenese, nel 2017, in occasione del concerto dei record, il Vasco Modena Park, ospitò la mostra “Voglio proprio vedere” con opere, tra gli altri, di Devendra Banhart, Mimmo Paladino e lo stesso Benvenuto e testi di Achille Bonito Oliva e Davide Rondoni, che scriveva: «Vasco è una voce rock, a volte quasi blues di madre pietosa per noi delle generazioni spesso senza famiglia, senza casa, sperduti su vie notturne di periferia».

Dopo 45 anni possiamo dire con certezza che le generazioni di fan passano, mentre le canzoni di Vasco Rossi restano. Anche senza selfie.

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