Di lui vediamo, solo ogni tanto, la folta barba e i lunghi capelli bianchi, spesso raccolti, ma sta sempre molto attento a non mostrare mai il volto. Ha creato un feticcio, un oggetto ricercato, collezionato, così particolare da venire, ovviamente, anche copiato. Su magliette colorate, nere, rosse, viola, verdi, gialle, appare una scritta che è allo stesso tempo un manifesto e uno scherzo irriverente: “Merda”. L'ultima produzione, è intitolata «Merda bipolare»: due t-shirt nere, acquistabili solo in coppia, un messaggio a specchio, «Life is Merda», in giallo, «Merda is life», scritto in fucsia. Anzi, lui le chiama, giustamente, t-shit. Non hanno scatenato (per il momento) le sdegnate reazioni che causarono i 90 barattoli di Merda d'artista negli anni '60, ma è certo che con l'opera di Piero Manzoni condivide l'amore per la provocazione, rivista in chiave punk e in tiratura limitata.

«Di base io sono un grafico pubblicitario», racconta l'ideatore di Merda, «e mi occupo principalmente di moda. Questa mia passione si è focalizzata molto negli anni anche sul mondo musicale, perché sono un musicista, anche se non suono più da tempo». Per chi non conosce il mondo della musica underground, forse è difficile immaginare quanto sia fondamentale il lavoro di un bravo grafico, qualcuno che disegni loghi e grafiche per farne magliette, spille, qualsiasi cosa si possa vendere a un concerto. O per disegnare la copertina di un disco, quando ancora la musica si acquistava in formato fisico. Le collaborazioni con associazioni, festival, band e artisti: era questo il mondo di Merda prima di Merda. Fino a che è arrivata l'ispirazione.

Gli inizi

«La prima maglietta la stampai nel 2011» ricorda. «Era un periodo pazzesco per me, di vera sofferenza. Merda era la parola che usavo di più, nel quotidiano. La maglietta di per sé è un ottimo mezzo di comunicazione. Decisi dunque di provare a disegnare un logo, di stamparlo e farlo girare un po' tra gli amici. In quel periodo lì suonavo ancora, e una sera con la mia band ci esibivamo di supporto ai Rossofuoco, il gruppo di Giorgio Canali». Con il musicista romagnolo, passato per i CCCP e poi membro dei Csi e dei Pgr, prima di intraprendere un ricchissimo percorso da solista, ci si conosce già da un po', «perché qualche tempo prima avevo disegnato la copertina di Nostra signora della dinamite. Vedendo le prime magliette di Merda, mi ha detto: “Alla fine l'hai fatta davvero”. Gliene ho regalata una e da quel giorno lui ha cominciato a metterla, più o meno sempre, ai concerti ma anche nel quotidiano. Da quel momento diciamo che la cerchia dei miei amici di Merda ha cominciato ad allargarsi, me la chiedevano in tanti, e così decisi di farlo diventare un vero e proprio lavoro, per certi versi».

Merda comincia a diffondersi. Tra passaparola, social media, qualche t-shit regalata ai concerti, arrivano i primi testimonial a indossarle. Oltre a Giorgio Canali, la cantante Angela Baraldi, Edda, leader dei Ritmo Tribale e ritornato con i suoi dischi solisti, gli Zen Circus, amici di Merda ben prima che il progetto prendesse forma. E poi molti musicisti in tour per l'Italia e convertiti al verbo di Merda: il compianto Mark Lanegan, Lee Ranaldo, chitarrista a lungo membro dei Sonic Youth, J Mascis, fondatore della band dei Dinosaur Jr.

Inizialmente, degli amici di Merda stampano le magliette, in una serigrafia artigianale predisposta in cantina. E lui si occupa di tutto il resto: piegare le magliette, imbustarle, scrivere a mano gli indirizzi, spedirle. Il metodo di produzione, anche oggi, è il più semplice possibile: un telaio, una racla e il colore. I colori sono solo all'acqua, smaltibili in modo naturale. «Per scelta estetica, tendo a stampare in un solo colore, perché mi piace poter sintetizzare al massimo il mio segno». Per ogni modello, vengono sempre realizzati dei prototipi, per verificare la tenuta del tessuto e la resa grafica. «Per le prime magliette chiedevo in cambio due pacchetti di sigarette, non volevo denaro. Poi però devo comunque pagare le bollette, e ho cominciato a venderle, cercando di mantenere un prezzo politico».

A un certo punto è nato anche un marchio premium, Merda Couture. Magliette più curate, felpe e altri capi d'abbigliamento, «era la nostra Merda deluxe». Sono nate tutine per bambini, berretti, adesivi, addirittura i teli da spiaggia. «Quello è proprio un fatto personale. Odio l'estate, una stagione che per me è veramente una sofferenza. Per cui è stato molto semplice. Estate, uguale: Merda».

I messaggi apparsi sulle quasi 150 versioni di t-shit sono semplici, ma sempre molto efficaci: «Non ti scordar di Merda», «Merda chi legge», «Umanità di merda», «Merda è la confusione sopra e sotto il cielo», «Merda is a state of mind», «In a world where you can be anything... be Merda», «Merda will tear us apart, again», citando ovviamente l'iconico logo dei Joy Division.

E forse solo lui avrebbe potuto accorgersi che l'anagramma di Merda, in inglese, significa sogno. Ecco com'è nata una delle sue grafiche più famose, in cui la parola Dream diventa Merda. Un sogno così allettante da aver attirato imitatori, pronti a lucrare sulle brillanti idee di Merda. «C'è una persona in particolare che ha preso una mia idea e l'ha sviluppata in modo diverso, facendone un vero business. Il mio non è business, lo faccio per passione, per la voglia che ho di continuare a farlo. La faccenda si è risolta a male parole, ma niente di più. All'inizio è stata un po' una battaglia per me, poi mi son detto: si tratta di due cose diverse, non voglio diventare un imprenditore, un magnate di Merda. Lasciamo stare».

Senza messaggio

L'attività sotterranea e militante di Merda continua: ora ci sono due nuove t-shit in lavorazione, poi si vedrà. È chiaro, tuttavia, che i tempi sono cambiati. «Ora vendo molto meno rispetto a qualche anno fa. Anche con delle grafiche stupende, l'usura è fisiologica: c'è chi le colleziona e le compra più o meno tutte dall'inizio, però quando hai riempito l'armadio di Merda non ne prendi più. E poi c'è anche un cambio generazionale, che ha avuto il suo peso: in molti non mi seguono più. Inoltre a molti sto sulle palle, perché in qualche modo dovevo diventare anche un po' stronzo, per cui c'è chi mi ha mandato a quel paese, anche in modo deciso».

I post sardonici, spesso anche a commentare quello che succede nel mondo, forse non aiutano a farsi benvolere da tutti. «Ma per me è tutto un gioco, nel senso che le mie convinzioni in qualche modo le tengo per me. Non mi interessa diffondere un messaggio che non sia grafico, che non sia soprattutto estetico».

È facile, andando a qualche concerto, imbattersi in qualche affezionato fan con indosso le creazioni di Merda. È meno facile incontrare l'autore, che conduce una vita molto ritirata e preferisce mantenere il riserbo sulla sua vera identità. «Se tu però vuoi raccontare questa storia di Merda, a me sta bene».

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