Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà per una settimana le interviste ad alcuni protagonisti del festival Trame, primo evento culturale dedicato ai libri sulle mafie, alla sua tredicesima edizione


Uno scandalo di proporzioni gigantesche travolge il tribunale di Palermo. La presidente della sezione Misure di prevenzione, Silvana Saguto, finisce sotto inchiesta – e poi condannata con sentenza definitiva – per una gestione criminogena dei beni confiscati alla mafia. Attorno a lei, quello che la stampa definisce il “cerchio magico”: avvocati, commercialisti, professori universitari; c'è anche l'ex prefetto di Palermo.

In altre parole quella che avrebbe dovuto essere almeno una parte sana della società civile. E così nella Sicilia della mafia e dell'antimafia, scompare il limite tra buoni e cattivi e tutto si confonde: i buoni diventano cattivi e viceversa. E proprio quelli che sarebbero dovuto essere i cattivi, si ritrovano vittime di un sistema marcio.

La notte dell'antimafia. Una storia italiana di potere, corruzione e giustizia negata”, pubblicato da Compagnia editoriale Aliberti, ultimo romanzo di Lucio Luca, giornalista de “La Repubblica” e scrittore, racconta la drammatica vicenda della famiglia Lena in questo contesto desolante, in un'isola che appare sempre più abbandonata a se stessa.

Lucio, non c'è cosa peggiore che finire vittima dell'antimafia in un paese come l'Italia?

Sì, la storia che racconto nel libro è una di quelle che non vorresti mai accadesse, per i risvolti umani che hanno segnato una famiglia, quella dei Lena, ma anche, più in generale per le conseguenze economiche e sociali emerse con lo scandalo che ha travolto la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo e che riguarda la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia. Francesco Lena è un imprenditore palermitano conosciutissimo nel settore turistico e in quello vinicolo, per il suo vino biodinamico premiato in tutto il mondo; dal giorno alla notte la sua vita cambia per sempre. Il 9 giugno 2010 Francesco è a cena con gli amici. Poi torna a casa e va a dormire. Le forze dell'ordine fanno irruzione e all'alba del 10 giugno. Lena si ritrova in manette con la pesante accusa di fare affari con la mafia, in particolare con il boss Salvatore Lo Piccolo. Nessuno si accorge che si tratta di un caso di omonimia con un vecchio centenario. La giustizia ha un suo corso, nel caso in questione assai drammatico. Si attiva il doppio binario: da una parte il procedimento penale contro Francesco, che si conclude nel 2014 con l'assoluzione definitiva; dall'altra viene portato avanti il sequestro dei beni. La sua azienda – fiore all'occhiello dell'imprenditore – intanto finisce nelle grinfie della Saguto e gli viene restituita soltanto nel 2021. 3875 giorni dopo, undici anni. E ovviamente non è più quella di prima. L'impresa di famiglia, come altre passate attraverso l'amministrazione giudiziaria della Saguto, è stata spolpata, così ha denunciato il figlio di Francesco, Gianfranco.

Questa vicenda che ha dell'incredibile, ha molti risvolti negativi che non vorremo mai vedere in una terra martoriata dalla mafia.

Ho seguito la vicenda da giornalista, poi ho letto attentamente le carte processuali, comprese le ben sei sentenze che hanno assolto in ogni grado Lena. E poi c'era la storia di Silvana Saguto, soprannominata la “zarina”, che si definiva allieva di Giovanni Falcone; la sua storia, per quanto abbiamo potuto leggere dalle indagini – con uno stuolo di professionisti e funzionari trasformatisi in lacchè – e per come si è conclusa – con la condanna definitiva per corruzione e concussione e la radiazione dalla magistratura – già di per sé sembrava un romanzo. Nel libro, quindi, ci sono due voci principali, quella della giudice in apparenza buona e quella – viceversa - dell’imprenditore cattivo che cattivo non è. Nel palcoscenico che è la Sicilia, la terra in cui l'inconfondibile diventa altro, i loro ruoli dunque si invertono. L'antimafia diventa carnefice e tradisce se stessa.

Inoltre, si pone anche la questione delle Misure di prevenzione, in particolar modo il sequestro e l'amministrazione giudiziaria dei beni aziendali. Ecco, la legge oggi non funziona più e i dati su quante aziende confiscate poi risultano fallite parlano chiaro. Occorre intervenire al più presto.

Ritornando al romanzo, i fatti narrati, di una gravità inaudita, non ce li possiamo permettere perché poi diamo ragione a chi dice: «La mafia ti dà lavoro, lo Stato te lo toglie. Il messaggio che fa più male. Fosse stato ancora vivo Leonardo Sciascia, credo che avrebbe potuto scrivere il suo più bel capolavoro.

Un'ultima considerazione. Leggendo il libro ho come l'impressione che ci sia un filo rosso che unisce questa tua ultima opera con “Quattro centesimi a riga. Morire di giornalismo” (Zolfo, 2022). I protagonisti sono sempre i “vinti” di verghiana memoria.

Sì, concordo. Ma c'è una sostanziale differenza: nel precedente libro, purtroppo Alessandro alla fine non ce la fa e cede. Cede alle pressioni, cede all'editore, cede alle intimidazioni quotidiane a cui era sottoposto e al sistema contorno del giornalismo in cui si era trovato a lavorare. Invece nella “Notte dell'Antimafia”, c'è un barlume di speranza, seppur piccolo. Se non altro, la drammatica vicenda in cui era stato coinvolto Francesco Lena ha avuto il “merito” di favorire il riavvicinamento col figlio Gianfranco. Ecco, così concludiamo sottolineando questo positivo aspetto umano.

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