Le procure di Forlì e Bologna hanno deciso di accogliere la richiesta di patteggiamento avanzata dai legali di Gianluca Pini, ex deputato leghista, che dovrebbe uscire a breve dai domiciliari e dall’inchiesta per corruzione e truffa che lo vedeva indagato. La pena concordata, in attesa dell’ok dei giudici, è di un anno e undici mesi, pena sospesa, mentre allo stato andranno 800 mila euro.

Con Pini nell’indagine per corruzione è coinvolto anche Marcello Minenna, già potente capo dell’Agenzia delle dogane, che intanto è tornato, dopo l’annullamento dell’ordinanza cautelare, a fare l’assessore nella giunta delle destre in Calabria. Minenna potrebbe andare a processo da solo, ma bisogna attendere i prossimi passi della procura e l’eventuale udienza preliminare. Ma come inizia la storia giudiziaria? Con l’arrivo della pandemia il leghista aveva fiutato il grande affare dei dispositivi di protezione e si muoveva con una sua ditta per entrare nel business. Ma i problemi sono arrivati subito, visto che non c’erano le autorizzazioni per le mascherine ordinate dalla sua società. Questo, stando alla ricostruzione della procura, avrebbe spinto Pini tra le braccia di Minenna con il quale aveva avviato, già prima della nomina, un’interlocuzione.

Il feeling tra i due nasce per ragioni opposte, imprenditoriali quelle di Pini, e politiche quelle di Minenna. L’economista, lanciato dal M5s, era consapevole della profonda amicizia tra Pini e Giancarlo Giorgetti, attuale ministro dell’Economia e completamente estraneo all’indagine, in passato anche soci in una ditta. Secondo i pm, Minenna avrebbe utilizzato il legame tra i due per avvicinarsi alla Lega e ottenere l’appoggio politico per realizzare i suoi desiderata . In cambio l’imprenditore leghista avrebbe ottenuto l’aiuto proprio per sdoganare ingenti quantità di mascherine provenienti dalla Cina, sprovviste di regolare documentazione.

Nelle carte depositate agli atti, come aveva rivelato Domani, spuntavano anche le intercettazioni tra Pini e Giorgetti, il primo informava il secondo dei suoi affari. L’ex deputato confidava all’attuale ministro i suoi problemi: l’Inail non gli avrebbe certificato i dispositivi per una virgola fuori posto e, anche dopo aver corretto questa virgola, attendeva da oltre un mese una risposta. «Io nel frattempo ne ho comprate altre...ne ho fatte arrivare altre, domani le sdogano perché...(ride)...se aspettavo loro...(ride)...ero morto. Cioè per legge devono farlo in tre giorni...per legge (ride)...ne sono passati trenta(...)», diceva Pini a Giorgetti, nel giugno 2020, informandolo dei sopraggiunti ostacoli.

«Non c'è nessun ruolo del ministro Giorgetti nella vicenda delle mascherine di Pini», rispondeva l’ufficio stampa del ministro quando abbiamo pubblicato il contenuto delle telefonate. «L’imprenditore Pini è certo di potersi servire di Minenna, perché lo ritiene in debito di riconoscenza per l’influenza che lo stesso Pini ha esercitato sul deputato Giorgetti, attraverso il quale la Lega ha sponsorizzato la nomina di Minenna a Dg delle dogane», scrivevano gli investigatori . Uscito di scena dall’inchiesta Pini resta solo Minenna al centro dell’indagine. «In nessuna delle due sedi giudiziarie (Forlì e Bologna, ndr) vi è stato riconoscimento di colpevolezza», dice Carlo Nannini, avvocato di Pini.

Una scelta, quella dell’ex leghista, che potrebbe mettere nei guai Minenna, ma non per la sua difesa. «La scelta di Pini di chiudere la sua vicenda giudiziaria con un patteggiamento tombale è assolutamente comprensibile. Noi dimostreremo comunque la infondatezza delle contestazioni anche con la testimonianza del Pini», dicono gli avvocati Gianluca Tognozzi e Roberto D’Atri.

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