Nel 1993 l’intelligenza artificiale era protagonista quasi solo della fantascienza, grazie a capolavori come “Terminator” o “Ghost in the Shell”. In ambito scientifico, Yann LeCun, Geoff Hinton e gli altri pionieri del deep learning (tecnologia che sarebbe poi diventata sinonimo di AI) erano invece costretti a purgare i loro paper da alcune parole chiave del settore – come “rete neurale” o “apprendimento automatico” – per evitare che venissero rifiutati.

Eppure è proprio nel 1993 che in California, per la precisione a Santa Clara, nasce Nvidia: la società che ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo di una delle più importanti tecnologie della nostra epoca, protagonista di una eccezionale crescita che l’ha portata a superare colossi come Microsoft e Apple per diventare il titolo con il più alto valore di Borsa al mondo. Nvidia, fondata dall’attuale presidente e ceo Jensen Huang insieme a Chris Malachowsky e Curtis Priem, esordisce però in un settore molto diverso dall’intelligenza artificiale.

L’attenzione dei tre ingegneri elettronici si focalizza fin dall’inizio su un’industria all’epoca in grande espansione: i videogiochi, che in quegli anni (la prima Playstation è del 1994) stavano iniziando la loro conquista del mondo dell’intrattenimento. È anche grazie a Nvidia se il gaming si è trasformato da settore di nicchia in un colossale mercato dal valore di 183 miliardi di dollari (più del cinema e della musica messi assieme).

Il merito è dei processori progettati da Jensen Huang e soci: le GPU (graphic processing unit). A differenze delle normali CPU (central processing unit), che alimentano computer e smartphone e che, alla loro essenza, sono concepiti per svolgere un compito dopo l’altro, le GPU possono elaborare calcoli in parallelo ed eseguire così migliaia di semplici compiti in contemporanea.

Come ha spiegato Cesare Alemanni – che al ruolo strategico dei microchip ha dedicato il saggio Il Re Invisibile (appena uscito per Luiss University Press) – «nell’ambito della grafica 3D questa abilità serve alle GPU per visualizzare e muovere contemporaneamente migliaia di pixel, ognuno con il proprio colore, luminosità e traiettoria individuali».Questa la caratteristica ha permesso alle GPU di migliorare enormemente l’aspetto grafico dei videogiochi e di diventare protagoniste indiscusse del settore, alimentando la scalata verso il successo di Nvidia.

È però una seconda innovazione, introdotta da Jensen Huang nel 2006, ad aver consentito alle GPU di espandere enormemente i propri ambiti di applicazione. Un’innovazione che porta il nome in codice CUDA: computer unified device architecture.

CUDA è una piattaforma software, spiega sempre Alemanni, «che permette agli sviluppatori di programmare le GPU per una grande varietà di applicazioni, riducendo così quello che è il loro principale difetto: la scarsa versatilità.

Prima di CUDA era già possibile riprogrammare le GPU, ma si trattava di un processo che richiedeva un intervento sull’hardware estremamente tecnico e complesso. Semplificandolo grazie a un software, Nvidia ha reso la vita più semplice a milioni di sviluppatori, fidelizzandoli nel contempo ai suoi prodotti».

Il decollo

All’epoca Nvidia era un’azienda in salute ma i cui ricavi crescevano a rilento: dai 4,1 miliardi del 2007 si sale solo fino ai 5 miliardi del 2015. Un aumento in otto anni inferiore al 20 per cento. E poi, all’improvviso, le cose iniziano a cambiare: tra il 2016 e il 2018 la società di Santa Clara mette a segno crescite annuali anche del 40 per cento, superando infine quota 11 miliardi di dollari di fatturato.

Non è una coincidenza che questa prima, impetuosa crescita si sia concentrata proprio in quei due anni. Tra il 2016 e il 2018 si verifica infatti la prima grande bolla dei bitcoin e delle criptovalute, il cui mercato passa da 7 a 700 miliardi di dollari (oggi ne vale circa 2.600). Una crescita impressionante per rapidità ed entità, che trasforma il mining – l’attività di estrazione di criptovalute tramite complessissimi calcoli informatici – da passatempo per appassionati in attività professionale dominata dai “mining pool” cinesi e statunitensi: vere e proprie fabbriche di criptovalute all’interno delle quali sono ammassati centinaia, quando non migliaia, di computer dediti esclusivamente all’estrazione di criptovalute.

E quali sono i processori che si rivelano più adatti a questa attività? Esatto: le GPU di Nvidia, che iniziano ad andare a ruba provocando un netto aumento dei prezzi e l’ira dei gamer di tutto il mondo.

Il boom

Il primo successo di Nvidia si rivela però poca cosa rispetto al boom successivo, legato a una tecnologia che già da tempo stava iniziando a farsi largo ed è ormai pronta a rivoluzionare la nostra società: l’intelligenza artificiale basata su algoritmi di deep learning.

Dal riconoscimento immagini (che consente a un software di identificare cos’è presente in un’immagine) ai sistemi che prevedono cosa potrebbe interessarci vedere su Instagram o ascoltare su Spotify, fino ai large language model in stile ChatGPT: tutti gli algoritmi di intelligenza artificiale funzionano, nella loro essenza, alla stessa maniera. Sono cioè in grado di scovare correlazioni statistiche in un mare di dati e identificare così in autonomia quali sono, per esempio, le caratteristiche ricorrenti in un gatto o quale parola abbia, in un determinato contesto semantico, le maggiori probabilità di essere coerente con quella che l’ha preceduta (che è come funziona, semplificando, ChatGPT).

Anche per questo compito le GPU si dimostrano enormemente più efficienti dei processori tradizionali, perché consentono di individuare più correlazioni contemporaneamente all’interno dei dataset e quindi di completare molto più rapidamente il processo di addestramento necessario per insegnare alle intelligenze artificiali a portare a termine i loro compiti.

E così, dopo un 2019 di fatturato in calo (legato anche allo scoppio della bolla delle criptovalute), i ricavi di Nvidia iniziano a crescere alla stessa rapidità con cui si espande l’intelligenza artificiale: dai 10 miliardi del 2019 si passa ai 26 del 2021 per arrivare infine agli oltre 60 del 2023. La richiesta di GPU è tale che oggi i tempi d’attesa possono essere anche di molti mesi, facendo di conseguenza aumentare i prezzi e garantendo a Nvidia un margine di guadagno del 76 per cento, contro il 47 per cento della concorrente AMD.

I risultati ottenuti finora e la fiducia che il boom dell’intelligenza artificiale continuerà a sospingerla spiegano come abbia fatto il valore in borsa di Nvidia a schizzare alle stelle.

Le insidie

Il momento in cui si raggiunge l’apice del successo è però anche quello in cui bisogna iniziare a guardarsi da avversari di vario tipo. I primi e più insidiosi sono i rivali di Big Tech: già da qualche mese si parla infatti del progetto di Google per dar vita al proprio chip per l’intelligenza artificiale, liberandosi così dalla dipendenza da Nvidia. Lo stesso hanno fatto o stanno facendo anche Meta, Amazon, OpenAI e Microsoft.

Un altro ostacolo è legato al possibile esaurimento dell’attuale fase di euforia: «La Silicon Valley è inondata da nuove aziende di intelligenza artificiale, ma che percentuale di esse riuscirà a decollare e fino a quando i loro finanziatori continueranno a investire denaro?», si chiede per esempio Whizy Kim su Vox. La stabilizzazione del mercato – e la conseguente riduzione di nuovi algoritmi da addestrare – potrebbe insomma ripercuotersi negativamente sulla crescita di Nvidia.

E infine c’è l’antitrust. Oltre il 70 per cento dei chip usati per addestrare i sistemi di intelligenza artificiale viene venduto da Nvidia. Se a ciò si unisce la costante crescita dei prezzi delle GPU si capisce come mai l’Unione Europea abbia avviato un’indagine preliminare per abuso di posizione dominante. Sotto molti punti di vista, la società di Jensen Huang sta insomma per affrontare la fase più difficile della sua più che trentennale esistenza.

© Riproduzione riservata