Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà per una settimana le interviste ad alcuni protagonisti del festival Trame, primo evento culturale dedicato ai libri sulle mafie, alla sua tredicesima edizione


Olivia e le altre. La normalità del male nel diario di una magistrata" è il libro di Diana Russo, già sostituito procuratore a Napoli Nord, Palermo e Velletri, pubblicato per Zolfo editore nel 2023. C'è la storia di Olivia, una bimba abusata dal marito della sorella. E ci sono tante altre storie, tutte segnate da violenze lancinanti, familiari e non. Violenze crude, difficili da descrivere. Figuriamoci affrontarle o superarle. È un libro che racconta tragedie ordinarie, spesso e per lunghi periodi sottaciute. Che poi esplodono in tutta la loro drammaticità. E quando esplodono, tocca alla giustizia saperle arginare per supportare le vittime.

Dott.ssa Russo, iniziamo con una domanda che sorge spontanea dopo aver letto il libro: c'è – ancora – giustizia per le vittime che coraggiosamente scelgono di denunciare le aggressioni e le violenze subite?

Sì c’è, a patto però di non confondere la giustizia con la vendetta.

Spesso chi denuncia un reato, specie se si tratta di violenze intrafamiliari e/o di natura sessuale, intraprende un percorso giudiziario che si innesta su quello personale di elaborazione del trauma.

In tale ottica, la giustizia non riesce quasi mai a soddisfare la vittima del torto subito, nella misura in cui non le restituisce la vita, la dignità e la libertà di cui è stata privata.

Ma la funzione della giustizia è altra: l’accertamento dell’illecito e l’irrogazione della relativa sanzione hanno lo scopo – oltre che di prevenire la commissione di ulteriori reati – di rieducare l’autore e di reinserirlo nel tessuto sociale.

Ho l'impressione che sia stato difficile per lei rimanere nel "solo" ruolo di magistrato, ma anche che avrebbe voluto fare di più, anche in termini di assistenza o familiarità. Ecco quanto è difficile allora rimanere nel proprio "ruolo" e comunque cercare giustizia anche se a volte essa non arriva?

In questo mi aiuta pensare di non essere sola ad occuparmi di ciascun caso, ma circondata da altre figure istituzionali a cominciare dal giudice (io ho trattato i casi narrati in qualità di Pubblico Ministero), che, terzo e imparziale, decide dopo aver ascoltato l’una e l’altra parte. Anche la difesa dell’indagato/imputato offre un contributo fondamentale nel mettere in luce aspetti di una vicenda che possono sfuggire agli investigatori.

Vi sono poi i familiari, gli psicologi, gli assistenti sociali, cui compete, più propriamente, dare sostegno alle vittime nel difficile percorso di fuoriuscita dalla violenza.

Ha lavorato in Luoghi cosiddetti difficili. Ma le violenze di cui parla non sono caratteristiche di un luogo preciso. Accadono ovunque. Cosa occorre fare di più per prevenire e poi anche in termini di assistenza e presenza dello Stato?

Come scrivo nel mio libro, la violenza domestica è un fenomeno trasversale che non conosce geografie né ceti sociali.

L’attenzione del legislatore – che nell’ultimo decennio ha dedicato in media una riforma all’anno al contrasto alla violenza di genere – si è concentrata principalmente sull’intervento repressivo, attraverso l’introduzione di fattispecie nuove, l’innalzamento dei limiti edittali, la velocizzazione delle indagini.

Ciò che a mio avviso ancora manca è l’implementazione della rete di tutela preventiva di questo tipo di reati, attraverso la valorizzazione dell’assistenza sociale, la predisposizione di un numero sempre maggiore di centri antiviolenza, la adeguata formazione degli operatori, l’assegnazione di risorse congrue, la diffusione di buone prassi per connettere le istituzioni semplificando le attuali procedure.

Occorrerebbe, inoltre, lavorare sui più giovani educando, sin dalla tenera età, al consenso e al rispetto di sé e dell’altro.

Un’ultima domanda. La sera, quando torna a casa, dopo aver affrontato tragedie come quelle descritte, come si sente?

Mi sento utile, mi sento al mio posto. Mi sento carica di emozioni, non sempre positive. A volte mi sento impotente di fronte al fallimento del progetto di rinascita proposto alle vittime che scelgono di tornare dal loro aggressore, da cui non riescono a sottrarsi.

Ma si tratta di scelte personalissime rispetto alle quali noi operatori non possiamo far altro che offrire, con gli strumenti giuridici a nostra disposizione, tutto il sostegno possibile.

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