Alfredo Mantovano, il sottosegretario autorità delegata alla sicurezza nazionale, smonta l’impalcatura del complotto costruita dalla Lega di Matteo Salvini per nascondere le proprie responsabilità politiche sul caso Metropol. Sul tentativo, cioè, di ottenere un finanziamento russo il cui apice è stato raggiunto con la riunione nell’omonimo hotel di Mosca il 18 ottobre 2018. Ebbene, la Lega, a distanza di 4 anni dalla pubblicazione dello scoop dell’Espresso e del Libro Nero della Lega invoca il pugno durissimo contro i giornalisti autori delle inchieste.

Lo fa annunciando un esposto in procura (in quale?, non è chiaro) e coinvolgendo il Copasir, l’organismo parlamentare deputato alla vigilanza dei servizi segreti, ma il compassato sottosegretario ha spento il fervore dell’alleato di governo.

Il più infervorato di tutti durante il weekend, in cui si sono rincorse le ricostruzioni fantasiose per ridare un’immagine meno filorussa al partito di Matteo Salvini, è stato il parlamentare leghista Claudio Borghi: «Se veramente si scoprisse che una cricca formata da giornalisti dell’Espresso (Giovanni Tizian e Stefano Vergine, oggi a Domani, ndr), faccendieri e agenti segreti russi ha tentato di incastrare Salvini», ha scritto, «credo sia un problema per la democrazia e quindi interesse di tutti».

La baldanza è scemata, e sull’audizione del Copasir risponde a Domani: «Io ho posto la questione». E adesso? «Adesso vediamo», aggiunge al telefono. Sarà forse prevista una riunione ad hoc sul Metropol? Diverse fonti sostengono che non è all’ordine del giorno una soluzione di questo tipo. In pratica non è in agenda del Copasir un focus sul Metropol.

Nessun complotto

Alla prima occasione buona, con l’audizione del 7 giugno di Mantovano, il sottosegretario «ha risposto che il caso era già stato affrontato nel 2019 (l’anno di pubblicazione dello scoop, ndr). Non c’è stata alcuna attivazione in merito da parte dell’intelligence italiana, che si sarebbe limitata a identificare l’agente russo (presente al tavolo della trattativa, ndr) su richiesta della procura di Milano che indagava», è quanto ha riportato l’agenzia di stampa Ansa all’esito della riunione secretata. Non è arrivato, quindi, ciò che la Lega si aspettava.

Non solo i nostri servizi non hanno rilevato alcun complotto, ma hanno persino cooperato a ricostruire il profilo di uno dei partecipanti aiutando così i magistrati. Pm che dopo tre anni di indagini hanno deciso per l’archiviazione con motivazioni però molto dure: la trattativa c’è stata, il protagonista principale è stato il leghista Gianluca Savoini, con i suoi rapporti, contatti e capitale relazionale costruito negli anni a Mosca.

Metropol e Lega

La Lega di Matteo Salvini ha iniziato questa campagna mediatica la settimana scorsa cavalcando alcuni servizi apparsi sui giornali di riferimento della destra sovranista. La tesi è che la riunione del 18 ottobre 2018 in cui Gianluca Savoini, l’ex portavoce di Salvini e consigliere per gli affari russi del partito, discuteva di partite di gasolio dietro il quale celare un finanziamento milionario per la Lega in previsione delle europee 2019.

Sulla faccenda è intervenuta la procura di Milano, che all’indomani dello scoop aveva avviato un’indagine con l’ipotesi di reato di corruzione internazionale. L’archiviazione non è un’assoluzione politica. Savoini aveva da mesi (ben prima del famoso incontro al Metropol) intavolato più trattative con pezzi dell’establishment russo per chiudere l’affare gasolio.

Da Aleksandr Dugin a Konstantin Malofeev, il primo filosofo di riferimento dell’estrema destra europea, il secondo è l’oligarca ortodosso e sarto, secondo diversi report, di quella che viene definita «l’internazionale filorussa» in Europa. Questi nomi ritornano negli atti della procura di Milano, come figure centrali nella trattativa. E sono personaggi legati a Savoini.

Il complotto inesistente

Già nel 2019, successivamente alla pubblicazione dello scoop era stato attivato il Copasir, come oggi presieduto da Lorenzo Guerini. Allora si cercò di capire se le manovre di Savoini in combutta con i russi potessero rappresentare una minaccia alla sicurezza nazionale.

Poi fu la volta della crisi di governo, post Papeete e della celebre richiesta Salvini, «chiedo agli italiani pieni poteri». Giuseppe Conte, presidente del consiglio con la coalizione gialloverde, si soffermò parecchio sulla questione in aula nel giorno della rottura definitiva con la Lega. Conte aveva tenuto per sé le deleghe ai servizi, dunque le informazioni sul Metropol riferite quel giorno davanti a un vicepremier Salvini, cupo in volto, provenivano da fonte certa.

La strategia della Lega è cancellare il Metropol dalla sua storia, così da riproporsi in Europa anche al cospetto del partito popolare europeo come la vittima di una grande macchinazione. Questo perché Giorgia Meloni, con i conservatori, è pronta all’alleanza con i popolari per governare la prossima Europa che sarà, dopo le elezioni 2024. Salvini così come Marine Le Pen pagano il dazio di essere bollati come filorussi e sanno che nessuna accordo è possibile in queste condizioni.

Da qui la narrazione messa a punto sul trappolone nei confronti di Savoini ad opera dei cronisti dell’Espresso, dell’avvocato Meranda e di un agente dei servizi segreti russi. Tutti in combutta per azzoppare l’allora vicepremier. Un storia davvero affascinante se non fosse che è totalmente falsa. Ma tanto è bastato alla Lega per iniziare una campagna stampa contro l’allora direttore dell’Espresso, Marco Damilano, ora a Rai Tre, e contro i cronisti.

Ora l’organismo di vigilanza si è riunito, la domanda a Mantovano è stata posta, ma la Lega dovrà trovare una coperta alternativa per coprire la responsabilità politica sul caso Metropol. Quando si chiede al leghista del Copasir, Borghi, se ha trovato l’interesse di Mantovano, mette giù il telefono.

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