L’esponente politico di Fratelli d’Italia Mimmo Russo aveva scelto per la sua campagna elettorale alle comunali di Palermo uno slogan arrembante: «È rabbia, È amore, È Palermo». Ora la procura della Repubblica, guidata da Maurizio De Lucia, ha aggiunto un’altra frase al manifesto promozionale: «È mafia».

L’ex consigliere Russo, passato di partito in partito prima di approdare in quello di Giorgia Meloni, è in carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione, voto di scambio politico-mafioso, traffico d’influenze e perfino estorsione. A leggere le carte emerge un rapporto consolidato con uomini della mafia, dal 2007 fino al 2022, anno nel quale, dopo oltre un decennio passato in consiglio comunale, non è stato rieletto, ma i suoi voti hanno contribuito all’elezione di Roberto Lagalla, sindaco della città che guida una giunta di destra.

Russo nel 2017 è stato eletto consigliere comunale in una lista a sostegno del sindaco Leoluca Orlando, ma il 2019 è l’anno della svolta con il passaggio in FdI. Il grande salto è avvenuto in concomitanza a una visita di Giorgia Meloni in città, l’allora leader d’opposizione tuonava contro Orlando e salutava positivamente l’ingresso di Russo e di un altro consigliere nel partito. «Questo è un passo avanti verso la crescita di Fratelli d'Italia. Consiglio a Leoluca Orlando di candidarsi a sindaco di Tripoli, prenderà un sacco di voti, si è occupato prevalentemente dei diritti e dei bisogni degli africani», diceva Meloni. Invece, il suo consigliere, Mimmo Russo aveva a cuore «diritti e bisogni» dei mafiosi.

Soldi, buoni benzina e generi alimentari venivano consegnati a uomini di Cosa nostra in modo da distribuirli per comprare voti alle comunali, ma anche alle elezioni regionali, le ultime, quelle del 2022 che hanno visto la vittoria di Renato Schifani. Russo, storico rappresentante dei lavoratori precari palermitani, aveva un Caf che utilizzava come centro per la messa alla prova di detenuti così da favorire la scarcerazione di soggetti appartenenti a Cosa nostra, si attivava per trovare posti di lavoro ad affiliati o loro accoliti.

Il massone

L’indagine è iniziata da alcune intercettazioni riguardanti la costruzione di alcuni centri commerciali, gli inquirenti scrivono di un «comitato d’interessi», guidato proprio da Russo, nella scorsa consiliatura presidente della commissione urbanistica. Lavorava per trasformare le aree agricole in edificabili così da ottenere posti di lavoro dagli imprenditori favoriti. L’ordinanza eseguita dai carabinieri ha portato ai domiciliari Achille Andò, un massone indagato per corruzione, e Gregorio Marchese, «figlio di Filippo detto il “milinciana”, uno dei più spietati killer del periodo delle guerre di mafia», si legge nell’ordinanza.

Russo, in campagna elettorale, aveva accompagnato l’attuale sindaco Lagalla (estraneo all’indagine) in una visita all’ippodromo, commentando così quella giornata: «Un cambiamento per Palermo è possibile».

L’ippodromo è uno dei tre settori nei quali Russo ha operato con l’obiettivo di ottenere assunzioni da usare come merce di scambio in campagna elettorale. All’ippodromo, dopo l’esclusione di una società raggiunta da interdittiva antimafia, Russo e Marchese compulsano la nuova società entrando nell’affare gestionale.

L’elezione di Russo rappresentava il volano per il controllo dell’ippodromo. Russo, dagli anni Novanta indicato dai pentiti come a disposizione. Il partito lo ha sospeso, l’indagine ha mandato in fumo i suoi sogni di gloria, entrare nella giunta Lagalla forte dei suoi quasi mille voti.

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