Dopo la puntata dedicata a Romano Prodi, un nuovo ritratto di un ex presidente della Commissione europea


Azzorre, isola di Terceira. Nella primavera del 2003 il primo ministro portoghese accolse G.W. Bush, José Maria Aznar e Tony Blair per la costituenda e sedicente “coalizione dei volenterosi” che guiderà la guerra in Iraq. José Manuel Durao Barroso non porterà a termine il suo mandato perché sarà nominato presidente della Commissione europea. Il partito popolare vincente alle elezioni europee del 2004 lo sostenne apertamente e il Consiglio lo designò senza particolari tensioni, e infine il parlamento approvò la sua candidatura, sebbene ancora in una forma non vincolante.

Le audizioni per i membri della Commissione videro l’esclusione di tre commissari, tra cui l’italiano Rocco Buttiglione che intendeva difendere la famiglia “tradizionale”, ma che palesò grande imbarazzo e tratti di puro segno reazionario, e fu quindi sostituito da Franco Frattini per evitare potenziali conseguenze gravi all’intera squadra di Barroso che in un primo momento continuò a sostenere Buttiglione.

La Turchia nell’UE e il Trattato di Lisbona

Per la prima volta i Paesi medio-grandi non hanno avuto due commissari. Tra i dossier principali, Barroso affrontò la questione della Turchia quale possibile candidato all’ingresso nell’Unione, ma soprattutto la riforma delle istituzioni con il relativo Trattato di Lisbona che segnò dei cambiamenti rilevanti in particolare per il parlamento e la commissione. Sul piano economico l’azione principale fu la cosiddetta “strategia di Lisbona” che mirava a fare dell’Europa il continente più avanzato, dinamico e competitivo economicamente. La direttiva Bolkestein del 2006, eredità della commissione Prodi, per la creazione di un mercato comune dei servizi genera ancora oggi dibattito e conflitto specialmente in Italia; e infine un primo piano per affrontare il cambiamento climatico. La firma nel 2007 della Dichiarazione di Berlino insieme alla Cancelliera Merkel nell’anniversario dei Trattati di Roma auspicava l’approvazione della Costituzione europea, poi rigettata da due referendum (in Francia e nei Paesi Bassi). Nello stesso anno ci fu l’adesione di Bulgaria e Romania.

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La seconda Commissione Barroso

Dopo cinque anni alla guida di Palazzo Berlaymont, Barroso è stato nuovamente indicato dal partito popolare quale suo candidato della commissione. La difficoltà dei socialisti nel proporre un nome alternativo, e anche il sostegno dei capi di governo socialisti di Spagna e Portogallo, favorirono la strada di Barroso verso la riconferma. In quella fase si registrò l’appello promosso da Tommaso Padoa-Schioppa e firmato da figure quali Carlo Azeglio Ciampi, Jacques Delors, Mario Soares, Guy Verhofstadt per un maggiore protagonismo dei partiti e dei candidati nella scelta della Commissione e delle sue politiche.

Nel 2009 Barroso è stato riconfermato alla guida della commissione, il primo dopo Delors. L’elezione avvenne secondo le nuove norme previste dal Tratto di Lisbona e quindi con la fiducia del parlamento e la selezione di un presidente permanente all’interno del Consiglio nonché il rafforzamento della figura di Mister Pesc, ossia l’alto rappresentante per la politica estera dell’UE che sostituì il commissario per le relazioni esterne. La nuova commissione (per l’Italia Tajani) affrontò la crisi economico-finanziaria della Grecia, sostenendo che Atene poteva rimanere nell’eurozona a patto che adempisse alle richieste di riforma, o meglio alla rigida politica di austerità e tagli sul piano sociale. Sul piano istituzionale Barroso dichiarò di essere a favore di una evoluzione dell’Unione verso una federazione di stati nazionali. Non proprio un federalista spinelliano.

La seconda commissione guidata da Barroso dovette affrontare la crisi economica-finanziaria del dopo 2008 e la principale risposta fu la strategia decennale di Europe 2020, con la quale si proponeva di rivitalizzare il mercato europeo anche grazie a maggiori politiche di coordinamento tra paesi membri. Gli obiettivi più ambiziosi riguardavano l’aumento dell’occupazione, l’investimento del 3% in ricerca e sviluppo, la riduzione del 30% dei gas inquinanti dalle abitazioni e l’efficientamento energetico, ma anche di contenere l’abbandono scolastico e di ridurre il numero di europei che vivevano sotto la soglia di povertà. Un piano sociale. Sul versante ambientale si muoveva la Direttiva Reach, approvata per mitigare l’impatto inquinante di materie chimiche, valutandone l’autorizzazione ovvero la restrizione nell’uso e commercializzazione, ma con l’intento di aumentare la competitività del comparto. In ambito di mercato e concorrenza la commissione, sul finire del 2012, ha preceduto alla sanzione di grandi compagnie del settore tecnologico (Samsung, LG, Philips, Toshiba, ecc.) per avere proceduto alla fissazione del prezzo dei loro prodotti costituendo un cartello e, quindi, infrangendo le norme “comunitarie” sul libero mercato.

Europe 2020 e la politica estera debole

Oltre ad avere ricoperto l’incarico per due mandati consecutivi, Barroso può essere ricordato per importanti azioni sul piano economico (Europe 2020) e istituzionale (Trattato di Lisbona). Il crescente ruolo del parlamento ha certamente inciso sulla centralità maggiore dei partiti, ma Barroso è riuscito a muoversi con abilità, pur in presenza di una politica europea meno “tecnica” e più partitica. Ha cioè fatto in modo che le sue politiche chiaramente di parte fossero meno divisive possibile.

Ma, paradossalmente, ciò che ne ha segnato il tratto distintivo è la politica precedente la sua presidenza. Il sostegno alla politica estera e militare del presidente americano G.W. Bush ha in qualche misura plasmato la sua in-azione sul piano della politica estera europea. Se è vero che la designazione dell’Alta rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza avvenne in seno a un Consiglio europeo straordinario, anche grazie alla spinta di Blair, e che il carattere politicamente e diplomaticamente sciapo di Catherine Ashton non fosse da ascrivere direttamente a Barroso, nondimeno la sua commissione è stata abbastanza incolore sul piano diplomatico.

La politica estera e di difesa rimane ancora l’incompiuta dell’Unione senza la quale Barroso poté poco, ma senza cui l’Europa non sopravvive.

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