L’insostenibile leggerezza del ministro Valditara. Il governo Meloni che pretende di educare alle relazioni e inciampa su sé stesso. Il ministero per il Merito che non ragiona nel merito. Ci sono mille titoli possibili per questa storia, e sono tutti paradossali.

Il 7 dicembre Giuseppe Valditara annuncia tre nomine, e 48 ore dopo le cancella con un colpo di spugna, lasciando la scuola – o meglio, il progetto “educare alle relazioni” – «senza garanti». Nel mezzo, a far traballare prima la sua poltrona e poi il ministro stesso, ci sono gli attacchi dal fronte amico – tanto la Lega quanto Fratelli d’Italia – e una petizione dell’organizzazione Pro Vita: contestano a Valditara di aver inserito tra le nomine anche una lesbica dichiarata, e attivista per i diritti lgbt, Paola Concia.

Così nell’Italia governata da Giorgia Meloni il progetto ultraconservatore di Valditara non cade perché è intriso di ideologia destrorsa a vocazione orbaniana, ma perché non lo è abbastanza.

«Perché sono lesbica»

«Gli hanno fatto delle pressioni allucinanti», dice Concia a Domani: «Lo hanno messo alle strette». Ma qual era il problema? Che lei è lesbica? «Per la destra più conservatrice sì, è quello il problema con me».

Questo sabato mattina, prima ancora che il ministro le comunicasse la retromarcia, Concia se lo sentiva, e al telefono diceva non a caso: «Sono scomparsa per dieci anni, posso scomparire di nuovo».

Poche ore dopo, all’ora di pranzo, dopo averla informata Valditara ha fatto l’annuncio: «Dal momento che la scuola italiana ha bisogno di serenità e non di polemiche, ho deciso di non attivare l’incarico di garanti del progetto “Educazione alle relazioni” a Paola Concia, a suor Monia Alfieri e a Paola Zerman».

Questo è l’ennesimo – e il più plateale – atto della vicenda delle nomine di Valditara, che fa scandalo da settimane.

Cronaca di un pasticcio

A novembre Domani aveva rivelato il contratto da 80mila euro lordi annui che Valditara ha garantito ad Alessandro Amadori, autore di volumi come Il diavolo è (anche) donna eppure ritenuto dal ministro persona adeguata a fare l’esperto in tema di educazione alle relazioni. Amadori consulente sui progetti formativi, e le rivelazioni di Domani, hanno scatenato polemiche appunto. Dunque il ministro ha tirato fuori il coniglio dal cappello. Il 7 dicembre, in un’audizione sui femminicidi, ha annunciato: «Il progetto “Educare alle relazioni” sarà portato avanti da tre donne, e la coordinatrice è Concia. Il resto? Solo voci».

A detta di Valditara, il progetto intende «educare a comportamenti rispettosi verso la donna, tramite gruppi di discussione fra studenti moderati dai loro docenti, e formati dall’ordine degli psicologi, per discutere esclusivamente di lotta alla discriminazione e violenza verso le donne». Non si tratta – specifica subito – «di educazione di genere». I contenuti «faranno capo al ministero».

Insomma il governo Meloni imposta sul versante dell’esecutivo un progetto che sarebbe educativo, e chiarisce che «non ci saranno riferimenti al genere». Valditara rende così assimilabile la sua iniziativa alla paccottiglia ideologica dei vari Viktor Orbán d’Europa, che dichiarano «il gender il problema europeo».

Nella triade figurava suor Monia Alfieri, membro della Consulta di Pastorale scolastica della Cei nonché fellow dell’Istituto Bruno Leoni per il libero mercato, esperta e sostenitrice del ruolo delle scuole private paritarie, autrice di interventi come La libertà di scelta educativa nel modello lombardo, e come valorizzarlo nell’autonomia.

C’era pure l’avvocata Paola Zerman, formazione da avvocata, passato recente da candidata, nel 2018, con Mario Adinolfi e il suo “Popolo della famiglia”, organizzazione politica che da suo stesso manifesto è «figlia del Family Day».

Tenendo sempre a mente che la Costituzione stabilisce che lo stato debba garantire «l’organizzazione dell’insegnamento pubblico, gratuito e laico», già a questo punto della storia – visti gli innesti di componenti ultraconservatrici – ci sarebbero tutti gli elementi per considerare che i meloniani stiano estendendo anche alla scuola quel «cambio di narrazione» che hanno prima predicato e poi praticato nella tv pubblica.

Ma Valditara aveva coperto l’operazione con una foglia di fico: una attivista lgbt, lesbica dichiarata, e per di più con un passato nell’opposizione ovvero nel Pd.

La bagarre omofoba

Si trattava appunto di Concia, ultimamente retrocessa dalla ribalta politica, ma che ha reso l’ambito educativo anche professionale: è coordinatrice del comitato organizzatore di una grande fiera del settore, la Fiera Didacta Italia.

Quando Valditara la indica a capo dell’operazione, cominciano le polemiche. Nel mondo dell’attivismo lgbt di sinistra, c’è chi si è interrogato sull’opportunità per Concia di accettare la nomina. «A sinistra c’è chi non sopporta che io sia una donna del dialogo», per dirla con le sue parole.

Da questo punto di vista, l’operazione di Valditara sembrava una trappola ben congegnata per far inciampare l’opposizione su sé stessa: con il nome di Concia, il ministro poteva far passare in sordina il resto delle nomine e promuovere lotte intestine nel campo opposto.

Il punto è che lo scontro è diventato fratricida, dipanandosi nella stessa coalizione di governo, con Lega e Fratelli d’Italia pronti a posizionarsi – in vista delle europee – tra chi fa il moderato e chi l’oltranzista.

La Lega, partito con il quale il ministro si era candidato dopo una storia di militanza in Alleanza nazionale, ha subito preso le distanze: la responsabile Famiglia, Simona Baldassarre, ha parlato di «soluzioni divisive che alimentano polemiche».

L’organizzazione Pro Vita e Famiglia ha lanciato una petizione contro la nomina di Concia e si è detta «pronta a tirare le somme alle prossime europee». Ed è arrivato l’affondo dei meloniani: «Non sono d’accordo con l’amico leghista Valditara», ha attaccato Maddalena Morgante, deputata di FdI e responsabile «Famiglia e valori non negoziabili».

Così Valditara ha operato la retromarcia: «Niente garanti». «Mi auguro – dice Concia a Domani – che questa brutta figura possa aprire una riflessione sul fatto che su una battaglia del genere non ci si può dividere». Come esordio in “educazione alle relazioni”, è da bocciatura.

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