L’illiberale Kyriakos Mitsotakis vuole una Grecia a sua immagine e somiglianza. Trascina di nuovo i greci alle urne il 25 giugno perché vuole i pieni poteri. Coi migranti respinge e mette muri. Eppure c’è una porta che ama tenere spalancata da mesi: quella per Giorgia Meloni.

Dall’interno della famiglia popolare, Mitsotakis è tra le figure chiave che aprono il varco ai meloniani.

La ragione dell’intesa reciproca è presto detta: sia il governo greco che quello italiano stanno erodendo lo stato di diritto e hanno convenienza nello spalleggiarsi a vicenda. I meloniani stessi lo riconoscono.

Con quel medesimo pragmatismo che univa Polonia e Ungheria, oggi se la intendono Italia e Grecia. Gli esiti sono talvolta paradossali: il canovaccio del pugno duro contro i migranti, che Mitsotakis collauda da anni, fa sì che chi evita la Grecia affluisca verso le coste italiane. Se si è troppo vicini – come Meloni e Mitsotakis – si finisce per strattonarsi.

Le chiavi dei popolari

Per aprire porte – anche nel Ppe – servono chiavi, e Mitsotakis ne ha. Attualmente Manfred Weber ha la guida sia del gruppo popolare all’Europarlamento, sia del partito europeo. E Weber è il grande normalizzatore della destra estrema di Meloni: c’è lui dietro le aperture a Fratelli d’Italia e c’è lui dietro l’alleanza tattica coi conservatori in cantiere da almeno due anni e già tangibile dalle elezioni di gennaio 2022 all’Europarlamento.

Non tutte le delegazioni si sono fatte trascinare senza resistenza in questa direzione: i polacchi di Donald Tusk ad esempio storcono il naso visto che nei conservatori siede il nemico, il Pis. A Weber servono alleati forti, nell’operazione, e Mitsotakis lo è anzitutto perché è al governo: un dettaglio non da poco in un gruppo che nasce moderato e sgocciola voti verso le destre estreme.

A puntellare bene l’operazione con Meloni c’è anche il braccio destro di Mitsotakis: si chiama Thanasis Bakolas, e dopo essere stato consigliere e ombra del premier greco, un anno fa è stato promosso a segretario generale del Ppe. Sta dietro le quinte, in un ruolo chiave dove gestire è strategico.

La corsa ai pieni poteri

«Prima o poi ci sarà qualcuno che invocherà la violazione dello stato di diritto per l’Italia, come verso Svezia o Grecia». La profezia è stata pronunciata da Nicola Procaccini, il meloniano che guida i conservatori all’Europarlamento, nell’intervista a Domani quest’inverno.

La Commissione Ue si era decisa a innescare la leva che ha congelato fondi all’Ungheria perché ha violato lo stato di diritto, e Procaccini difendeva Orbán immaginando che la stessa sorte potesse travolgere Atene e Roma.

Con Meloni al governo, l’Italia è ora tra le pecore nere in Ue per gli attacchi ai media e ai diritti lgbt. Mitsotakis si è già distinto per lo scandalo dello spionaggio ai danni dell’opposizione, per i respingimenti di migranti e altre derive illiberali. Strattona la democrazia in Grecia con persino maggiore veemenza: lui a differenza di Fratelli d’Italia è in posizione di guida del paese già da tempo.

Comunque non gli basta guidarlo: vuole stravincere. Vincere, aveva già vinto col voto di maggio; ma per governare avrebbe dovuto convivere con una coalizione. Non ci ha neppure pensato: il suo piano era un altro, e cioè sciogliere subito il parlamento per andare a un secondo voto, che si terrà il 25 giugno, e nel quale il partito dominante incasserà fino a 50 seggi di premio. Questo grazie a una riforma elettorale realizzata guarda caso dal suo governo.

© Riproduzione riservata