Commentando la direttiva sulle cosiddette case green e il voto contrario del nostro governo, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha affermato: «È una direttiva bellissima, ambiziosa, ma alla fine chi paga? Abbiamo esperienze in Italia in cui pochi fortunelli hanno rifatto le case grazie ai soldi che ci ha messo lo stato, cioè tutti gli altri italiani».

Alcuni commentatori, anche non pregiudizialmente favorevoli a questo governo, hanno preso sul serio queste parole. Per esempio, Alessandro Barbera sulla Stampa del 15 aprile ha messo a confronto la cifra per le ristrutturazioni edilizie negli ultimi tre anni (220 miliardi di euro) con le spese italiane all’anno per sanità e scuola (rispettivamente 130 e 80 miliardi), e ha confrontato queste ultime con spese analoghe di altri paesi: l’Italia è quattordicesima in Europa per spese sanitarie e sotto di un punto alla media dei trenta paesi più ricchi del mondo per la scuola. Conclude Barbera: «Non sarebbe più lungimirante aumentare la spesa per combattere la grave crisi demografica di un paese carente di asili, sanità di qualità (al sud), che offre agli insegnanti retribuzioni ben al di sotto del ruolo che svolgono?»

L’apparenza di sensatezza e acume di queste parole non deve ingannare. I presupposti impliciti del ragionamento sono evidenti e sono sbagliati. Vero è che finanziare le ristrutturazioni richieste dalla direttiva costerebbe molto di più di 220 miliardi. Vero è che finanziarli a pioggia avrebbe effetti iniqui e distorsivi, perché magari privilegerebbe proprietari di case o cittadini capaci di districarsi nelle pieghe della burocrazia e imprese smaliziate. Vere sono le cifre relative all’esiguo finanziamento pubblico italiano di scuola e sanità.

Visione d’insieme

Ma le cifre e i confronti non acquistano senso in isolamento. Dietro alle cifre e alle scelte ci sono fatti e giudizi morali. Un fatto evidente e trascurato è che, dopo l’ennesimo marzo surriscaldato, di fronte all’allarme di alcuni scienziati serissimi che insistono sul fatto che l’anomalia climatica sta andando al di là delle previsioni, forse non siamo in condizioni normali. O, per dirla in maniera ancora più semplice: se non diminuiamo le nostre emissioni e la temperatura, non ci sono spese di sanità che basteranno a proteggere i nostri anziani dalle conseguenze delle ondate di calore, né spese scolastiche che basteranno a garantire spazi adeguati a tutte le persone che potrebbero abbattersi sulle nostre coste inseguite da alluvioni e desertificazioni, né lavori e qualità della vita adeguata in un’Italia a temperature nordafricane.

In una Roma con il Tevere perennemente in secca, sei gradi in più d’estate, e un susseguirsi di giornate caldissime e violenti tifoni brevissimi, veramente serviranno soltanto una sanità e una scuola migliori? L’errore fattuale è isolare queste voci di spesa e pensare che si possano istituire priorità. La verità drammatica è che una sanità sostenibile e adeguata e lo sviluppo economico e sociale del futuro passano necessariamente per l’abbattimento delle emissioni, e le emissioni casalinghe sono una fetta importante del totale.

Ma l’errore è anche morale. Suggerire di fare a meno della spesa necessaria a tagliare le emissioni casalinghe per stornarla su sanità e scuola significa pensare che ci siano persone privilegiate, per cui vale la pena di spendere soldi, e persone che non se lo meritano. Significa pensare che gli anziani italiani di adesso e gli eventuali figli di italiani meritino che si spendano soldi per la loro qualità della vita, mentre così non è per chi, appena fuori dalle nostre frontiere, soffrirà e sta già soffrendo per il cambiamento climatico e per chi vivrà nel futuro più lontano.

Le nostre emissioni se ne vanno a fare danni in giro per il mondo, per così dire, e nel futuro distante. Le spese per la nostra sanità e per la nostra scuola avvantaggiano solo chi vive adesso e vivrà nel futuro prossimo in Italia e con un passaporto italiano. Pensare che non possiamo permetterci la spesa necessaria ad abbattere le emissioni casalinghe è una forma di razzismo, neanche tanto nascosto. Equivale a pensare che non possiamo permetterci di spendere dei soldi (o di rinunciare a dei guadagni) per evitare di uccidere una persona che vive dall’altra parte del Mediterraneo, o che vivrà nel nostro paese fra cento anni. Chi paga? Chiunque possa e debba. Con una patrimoniale, per esempio. Come accade e dovrebbe accadere sempre quando siano in ballo vite umane.

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