Il presidente che doveva fermare l’estrema destra le ha ceduto il passo: il Rassemblement National è il vincitore del primo turno delle legislative di questa domenica. La Francia è a un passo dal caos politico e dall’ingovernabilità, ma il passo non è ancora fatto: da qui a domenica prossima gli equilibri possono ancora cambiare, se i partiti politici usano lo stesso slancio avuto questa domenica dai francesi, accorsi in massa alle urne come non facevano da decenni, e decidono di convergere al secondo turno sul candidato più forte che non sia dell’estrema destra. Dunque anche sul Fronte popolare, che in questo primo turno si è confermato il secondo campo, anche se decisamente più forte in percentuale (nelle stime delle ore 22, l’Rn aggregato a Ciotti era al 33,2 per cento mentre il Front al 28) che nelle proiezioni di seggio (dove nelle stime la distanza dall’Rn supera i cento seggi).

In una Francia che sta slittando sempre più a destra, senza argine che tenga, esiste di volta in volta un male ancora peggiore: stavolta il grande timore repubblicano è la maggioranza assoluta dei seggi in mano a Marine Le Pen, e al suo delfino Jordan Bardella, che ha detto di voler fare il primo ministro solo a quella condizione. La condizione ancora non era stata raggiunta, nelle stime Ipsos questa domenica alle 20, a urne chiuse, ma comunque Le Pen veniva accolta con urla di gioia nel suo quartier generale. «I francesi vogliono girare pagina», li arringava lei, prendendosela sia con Macron che con il Fronte. 

«Face au Rassemblement national, l’heure est à un large rassemblement clairement démocrate et républicain pour le second tour. Di fronte al Rn, è il momento di un’ampia aggregazione chiaramente democratica e repubblicana per il secondo turno». Questa è la comunicazione inviata da Macron ai media a urne chiuse, ma con il procedere delle ore e delle dichiarazioni appare chiaro che ognuno intenda il ventaglio «repubblicano» a modo suo, cioè con o senza gli Insoumis. «Nessun voto vada né ai candidati Rn né a quelli della France Insoumise»: lo ha detto Edouard Philippe di Horizons. Il premier macroniano Gabriel Attal ha parlato di desistenza se ci sono candidati «compatibili coi valori repubblicani», ma poiché Macron ha tacciato gli Insoumis di non esserlo, i cronisti hanno chiesto chiarimenti su cosa si intenda; l’équipe di Attal ha detto che i candidati Insoumis saranno valutati caso per caso. 

Se non ci si mobiliterà contro l’estrema destra al secondo turno, avrà fatto un buon investimento sul suo futuro Jordan Bardella, che a 28 anni non ha mai governato neppure un comune ma che accarezza l’idea di andare al potere da anni, da quando rilasciava interviste accarezzando volutamente i libri di Nicolas Sarkozy sul tavolo (“Il tempo delle battaglie”); ha passato gli ultimi giorni a fare il totoministri, ragionando su come far digerire un esecutivo di estrema destra, infilando qua e là nella lista consiglieri di stato e prefetti. «Bardella sceglierà i più competenti per portare avanti le nostre idee», aveva detto Le Pen prima del voto: anche figure esterne, purché si arrivi a prendere il potere. «On ne s’interdit rien», che è come dire: Perché mettersi dei limiti?

L’ultimo argine

Fino a che punto un Rassemblement National forte è destino già scritto da qui al 7 luglio? Passano in parlamento già al primo turno soltanto quei candidati che questa domenica abbiano già ottenuto oltre la metà dei voti e che siano stati votati da almeno un quarto degli iscritti alle liste elettorali; insomma questa è l’eccezione, non la norma. In tante circoscrizioni elettorali la sfida continua domenica prossima, e in teoria sono candidati a parteciparvi i candidati che superino la soglia del 12,5 per cento di iscritti.

In caso di sfida a tre si può però desistere, cioè far convogliare i propri elettori sul candidato non Rn, e nella sfida a due si può sostenere esplicitamente il candidato che non è Rn: se ancora un fantasma di fronte repubblicano li anima, tutti gli altri partiti e candidati possono organizzarsi per restringere la portata della vittoria dell’estrema destra.

Anche se alle urne non è più il protagonista, Emmanuel Macron porta su di sé grandi responsabilità, e una riguarda proprio questo punto. Dopo aver condotto frettolosamente la Francia al voto, con il rischio che si inneschi una impasse politica, adesso il presidente deve fare barriera al Rassemblement davvero. Alle legislative del 2022 i macroniani avevano fatto intendere che nei duelli tra Le Pen e l’unione di sinistra non avrebbero sostenuto la sinistra. L’attitudine era diventata ancora più esplicita in queste settimane: prima Macron, e poi Attal al suo seguito, hanno insistentemente equiparato come «estremi» l’estrema destra di Le Pen e il Front populaire a sinistra, concentrando la diabolizzazione sugli Insoumis in particolare.

In caso di duelli al secondo turno tra questi due campi, è cruciale che il messaggio prioritario sia arginare il Rassemblement oppure no. Questa domenica sera Jean-Luc Mélenchon ha già promesso il ritiro del candidato di sinistra in caso di scontro a tre. Con il secondo turno possono essere riformulati gli scenari a una condizione: che ci sia «un messaggio chiaro contro l’Rn». «Questo messaggio potrebbe mobilitare l’elettorato», spiega a Domani il direttore di ricerca di Ipsos France: per Mathieu Gallard una variabile chiave è «la posizione che assumono in queste ore Macron, Attal» e gli altri attori del campo presidenziale.

«Mettere il Rassemblement National e la France Insoumise sullo stesso piano è pericoloso», ha avvertito non a caso, già qualche giorno fa, il cofondatore di En Marche Philippe Grangeon, che in passato ha fatto il consigliere di Macron. La strategia del né-né è «una tentazione pericolosa», ha consigliato stavolta. Per paradosso sarà la desistenza, cioè la resa a favore dei nomi che non siano dell’estrema destra, il vero ultimo argine di Francia.

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