Quest’anno il 4 luglio, nel giorno in cui gli Stati Uniti festeggiano l’indipendenza dagli inglesi, il Regno Unito potrebbe celebrare nelle urne (convocate per quel giorno) la sua lotta di liberazione dai 14 anni di convulso governo del Partito conservatore. Dal 2010 a oggi si è consumata la Brexit e si sono avvicendati cinque primi ministri Tory. Il 22 maggio scorso l’attuale premier, Rishi Sunak, ha ottenuto dal sovrano elezioni anticipate per la Camera dei Comuni.

Tuttavia senza alcuna sorpresa i sondaggi attribuiscono alla principale forza di opposizione del paese, il Partito laburista, un vantaggio di almeno 20 punti percentuali sui Tory. Nel Regno Unito i deputati vengono però eletti col first-past-the-post, sistema che prevede collegi uninominali a turno unico in cui vince il seggio chi ottiene più voti.

La comunicazione

Il manifesto elettorale dei conservatori è privo di grandi ambizioni e anche di coperture. Il suo cavallo di battaglia è una riduzione di tasse di 20 miliardi di euro. Il cuore dell’offerta politica di Keir Starmer (leader del Labour Party) è invece la prospettiva di voltare pagina, pur preservando la stabilità del paese.

Sin da inizio anno la strategia del Partito conservatore è stata improntata alla regola dell’80/20: le sponsorizzazioni social e le iniziative dal vivo sono state concentrate (in un rapporto di 80 a 20) in quei collegi elettorali che erano stati vinti col minor vantaggio o persi col più piccolo scarto di voti nelle precedenti elezioni.

Da giugno i Tory hanno sostituito le sponsorizzazioni su Facebook e Instagram tarate sui singoli collegi (più costose) con quelle destinate in modo generico alle intere nazioni componenti il Regno Unito, in particolare Inghilterra e Galles.

Tale scelta ha conseguenze disastrose dato che in questo modo il bacino di utenti raggiunto si trova diluito in molte circoscrizioni impossibili da conquistare per i conservatori.

Nel 2019 la chiave del successo della loro strategia comunicativa si era basata sull’investire la gran parte delle risorse della campagna in rilevazioni demoscopiche per confezionare il messaggio perfetto per ogni collegio e categoria sociale.

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I laburisti stanno su TikTok

I contenuti sponsorizzati dai Tory su Facebook e IG (per una spesa finora di 1,3 mln di euro) sono invece oggi tutti improntati all’allarmismo e all’effetto voto utile, instillando l’idea che chi voti Farage e il suo Reform UK avrà in cambio un governo Starmer. Solo lo 0,4% dei post sponsorizzati ha come oggetto le proposte del programma conservatore.

Come se non bastasse, il leader dei Tory Sunak è scomparso da ogni spot online, data la sua impopolarità, nonostante l’iniziale impostazione “presidenziale” della campagna. D’altra parte il Labour Party sta dirottando le sue risorse su 174 seggi vinti dai Conservatori nel 2019 con meno di 28 punti percentuali di scarto, ben coordinando la strategia digitale dei candidati col quartier generale.

Il Labour ha addestrato un gruppo di microinfluencer ma così come i conservatori ha accantonato TikTok, che vede un’utenza nettamente laburista, pur adoperandolo per far rimbalzare i suoi video nei gruppi WhatsApp. Per le sponsorizzazioni su Meta ha investito 2,2 mln di euro e per quelle su Google e YouTube 1,3 mln (il decuplo rispetto ai Conservatori).

Le scelte di Sunak

Le proposte di aumentare gli importi delle pensioni e reintrodurre la leva obbligatoria sono state concepite per ricompattare lo zoccolo duro conservatore, costituito dall’elettorato tardo adulto e anziano. I britannici dai 55 anni in su sono infatti 21 milioni e la coorte meno colpita dall’astensionismo. Tuttavia le mitragliate di nuove idee, scagliate all’esordio della campagna, hanno ulteriormente delegittimato il Partito conservatore e disorientato gli elettori.

Sunak ha tentato la strategia del buffet, promettendo molte cose insieme nella speranza che ciascuna categoria elettorale potesse riscontrarvi almeno una proposta allettante. Tuttavia queste promesse non affrontano al cuore le preoccupazioni delle persone, che vertono intorno allo stato dei servizi pubblici e della sanità e al costo delle abitazioni.

Per giunta il Partito conservatore dopo il successo elettorale del 2019 ha ingenuamente pensato di non dover scegliere tra gli elettori del “red wall” delle Midlands e dell’Inghilterra del Nord (storicamente di sinistra ma socialmente conservatori e a favore della Brexit) e quelli del “blue wall” dell’Inghilterra del Sud, canonico bacino di consensi per i Tory composto da professionisti e dirigenti europeisti.

Accantonato il piano di perequazione delle diseguaglianze territoriali del Paese, i Conservatori hanno provato senza successo a mantenere il sostegno dei primi con una retorica ostile alla magistratura, alle università, alle multinazionali e alla Londra cosmopolita che ha finito per alienare il voto dei secondi.

La scelta di Sunak di rincarare la dose sull’immigrazione per compensare il mancato “dividendo” della Brexit non fa altro che accelerare lo sfaldamento della coalizione sociale del suo partito. Data questa situazione, i Liberal Democrats stanno intensificando gli sforzi per accaparrarsi i collegi che seguendo l’arteria A30 vanno da Londra a Land’s End, l’estremo sudoccidentale del paese.

Il Partito laburista sta tacitamente desistendo dal competere coi Lib Dem in 80 di queste circoscrizioni per infliggere il massimo danno ai conservatori. Oltre alla desistenza dei ceti dirigenti dei partiti, gli elettori ostili ai Tory si sono organizzati per votare in modo tattico i candidati di qualunque partito con le maggiori probabilità di battere quelli conservatori.

Questo disastro incombente non ha impedito al Partito conservatore di accumulare - con le donazioni ottenute dal 2023 al primo trimestre del 2024 e nelle prime due settimane di campagna – 68,5 mln di euro, ben oltre il massimo ammontare di risorse spendibili nella competizione elettorale. Nello stesso periodo i Labour hanno raccolto 54,2 milioni di euro.

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Chi sostiene i laburisti

Inoltre a partire dal 2022 il Labour ha accettato prestazioni a titolo gratuito da parte di diverse società di consulenza per un valore di quasi 900 000 euro. Gli appalti statali per questo comparto ammontano ogni anno a circa 3 miliardi di euro, che Starmer promette comunque di dimezzare.

Supporta lo sforzo elettorale del partito anche il think tank Labour Together, che è il braccio operativo della corrente del capo dell’opposizione. Il pensatoio nell’ultimo anno e mezzo ha raccolto quasi 5 milioni di euro. I suoi principali benefattori coincidono in gran parte con quelli della prima ora di Keir Starmer.

Tra loro spiccano il magnate dell’industria automobilistica Trevor Chinn, l’ex CEO del colosso Belron dei vetri per auto Gary Lubner, il gestore di hedge fund Martin Taylor e l’imprenditore dell’eolico con un passato da hippy Dale Vince (che ha finanziato anche il gruppo Stop Oil). In aggiunta le liste del Labour Party ospitano le candidature di almeno 35 lobbisti le cui società (tra cui l’influente Hanbury Strategy) annoverano tra i clienti più importanti proprio le aziende più generose verso il partito.

In contemporanea da inizio anno le agenzie di lobbying britanniche sono a caccia di professionisti con trascorsi nei Labour per assicurarsi di avere accesso alla futura cabina di regia del Paese. Keir Starmer negli ultimi 12 mesi si è lasciato donare 20 000 euro di biglietti per seguire le partite del suo amato Arsenal.

L'omologo di Labour Together per il Partito Conservatore è Onward che trae carburante per i suoi bilanci dalle compagnie petrolifere British Petroleum, Shell ed Equinor. Non a caso a settembre del 2023 il governo Sunak ha posticipato al 2035 il divieto di vendita di auto a diesel e a benzina e ha addolcito quello di installazione di caldaie a gas a decorrere dallo stesso anno. Follow the money.

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