I popolari lanciano Ursula von der Leyen. I socialisti tentano con Nicolas Schmit. Invece i liberali europei, che questo mercoledì sera a Bruxelles lanciano la campagna di “Renew Europe Now”, non presentano un candidato alla presidenza della Commissione Ue (lo “spitzenkandidat”), ma ben tre figure di punta. «Nel 2019 ne avevamo sette», si schermisce Sandro Gozi, che fa parte del trio. Con lui c’è la liberale tedesca Marie-Agnes Strack-Zimmermann, c’è la macroniana Valérie Hayer; lo si chiama “Team Europe”.

Dietro «la squadra d’Europa» c’è un gruppo che fatica sempre più a restare compatto. In Italia ci sono gli ex amici, ora nemici, Matteo Renzi e Carlo Calenda, tutti e due in questo raggruppamento europeo, ma tutt’altro che uniti. E a livello europeo il centro politico è sempre meno un centro di gravità: oltre al calo di seggi previsto nei sondaggi, i liberali si sono già divisi in aula su temi come il clima; e i rapporti con le destre sono più complessi di come li si racconterà in campagna.

C’è però una sfida che Emmanuel Macron ha già vinto. Non è quella delle urne, dove pare verrà sorpassato dal Rassemblement National. È riuscito in altro: ha imposto il tema dell’aumento delle spese per l’industria militare. Lo si vede dal manifesto che viene presentato questo mercoledì – le «dieci priorità» – la cui priorità assoluta è «defence, defence, defence». “Difesa, difesa, difesa”. Lo si vede – a guardare in profondità – anche dal trio di punta: Gozi sarà candidato nelle liste macroniane, Hayer è la capolista del partito di Macron alle europee; e la tedesca Strack-Zimmermann si distingue proprio per la verve con la quale perora più difesa europea.

Già una volta il presidente francese ha sconvolto il campo liberale europeo irrompendo sulla scena e costringendolo alla ricomposizione. Ora, mentre il centro si sbriciola, Macron punta a mettere in cassaforte la spesa per l’industria militare; e le nomine, ça va sans dire.

La partita di Macron

Il presidente si atteggia da azionista di maggioranza del gruppo e sa che l’elezione degli eurodeputati è solo un tassello del puzzle. Thierry Breton, l’ex manager francese trasferito da Macron a Bruxelles nel 2019 per fare il commissario Ue al Mercato interno, già spinge per gestire i fondi all’industria militare. Sia von der Leyen – che punta al bis – che Renew perorano un commissario alla Difesa, e Breton strattona la sua presidente anche per acquisire peso in materia.

Macron ricorda che sono anzitutto i capi di stato e di governo a concertare fra loro le nomine, e allora c’è il nome di Mario Draghi, che potrebbe portare avanti l’idea francese di indebitamento comune a sostegno delle imprese, e che «è talmente influente da poter svolgere qualsiasi ruolo in Ue», dice Gozi. Ma non va bruciato o incasellato: «L’ultima cosa da fare è mettere a Draghi la casacca di una famiglia politica». I negoziati tra leader sono stati determinanti nel 2019, quando lo spitzenkandidat del Ppe, Manfred Weber, è stato silurato per piazzare von der Leyen, con l’intesa tra Angela Merkel e Macron.

Anche per questo, per Renew avere un unico spitzenkandidat non è un tema chiave. Non vale lo stesso per Alde, una delle componenti di Renew, nonché il nucleo storico dei liberali europei, quello preesistente all’irruzione dei macroniani; federalisti di ferro, al loro congresso del 2023 lo avevano ribadito: «Uno spitzenkandidat serve per una forte democrazia europea».

Nomi e destini

L’Alde ha selezionato come proprio volto di punta Marie-Agnes Strack-Zimmermann, che proviene dal partito liberale (e liberista) tedesco, il Fdp. Anche se questa formazione partecipa alla coalizione semaforo – e il leader di Fdp, Christian Lindner, è ministro delle Finanze – la più veemente critica di Olaf Scholz sui media è proprio Strack-Zimmermann, quando si tratta di attaccarlo perché non fa abbastanza per l’Ucraina. Lei guida la commissione Difesa del Bundestag, che al momento è al centro di uno scandalo perché le informazioni riservate sui missili Taurus sono finite in mano russa svergognando Scholz. Tra le femministe tedesche c’è chi la accusa di essere «la migliore amica dell’industria militare»; sicuramente è buona amica dei piani macroniani sugli investimenti nella difesa europea.

Fedelissima di Macron è Valérie Hayer, l’altro membro del trio. Dopo che Stéphane Séjourné è andato a fare il ministro degli Esteri francese, lo ha rimpiazzato lei, alla guida del gruppo liberale in Europarlamento. E quando i notabili di area macroniana, prevedendo il flop, hanno schivato un ruolo da capilista, è arrivata lei, volto quasi ignoto in Francia, ma presente al momento giusto e con la carta giusta: una famiglia di agricoltori alle spalle proprio quando Macron fa campagna sul tema.

Gozi, pure lui nel “team”, dice che «non faremo nessuna alleanza politica con l’estrema destra, che si tratti di Meloni, dei Conservatori o di Identità e democrazia». Sarà un punto forte della campagna. Sta di fatto che nel 2022 alle elezioni di metà mandato dell’Europarlamento i liberali hanno assimilato un vicepresidente conservatore; in Olanda stanno digerendo un negoziato di governo con Geert Wilders, e così via.

Ci sono ovviamente casi diversi; in Polonia Terza via è stata fondamentale per Donald Tusk, in una alleanza che dal centro lambisce la sinistra. Ma proprio le contraddizioni interne portano sempre più spesso il gruppo a sfaldarsi; lo si vede nei voti sul Green Deal. Un veterano dei liberali come Nils Torvalds ha dovuto «giocare al cubo di Rubik» perché i liberali resistessero alle spinte delle destre sulla “legge sul ripristino della natura”.

© Riproduzione riservata