Ogni spina ha le sue rose. Non importa quali e quante siano le difficoltà domestiche: Giorgia Meloni e Kyriakos Mitsotakis sanno di poter contare l’uno sull’altro, come se facessero parte di un’unica famiglia. Tecnicamente, la famiglia non è la stessa: il premier greco fra i popolari europei, la premier italiana a trainare i conservatori. Ma proprio Mitsotakis è il facilitatore dell’alleanza.

Così questo giovedì mattina Mitsotakis ha dovuto gestire le critiche degli attivisti climatici, intervenendo in parlamento sugli incendi che divorano la Grecia; nelle stesse ore della visita spinosa per Meloni a Caivano. Ma poi i due hanno concluso la giornata insieme, ad Atene, per una cena di lavoro.

Sul piatto i vari temi nelle agende nazionali ed europea – dai migranti al patto di stabilità all’energia, passando per i Balcani e i rapporti con la Turchia – ma pure le elezioni europee del 2024, che in confronto al resto possono apparire un contorno e invece sono il tavolo stesso sul quale si regge tutto il resto.

«L’incontro tra Meloni e Mitsotakis rafforza anche l’asse tra conservatori e popolari», dice non a caso Nicola Procaccini, che dei conservatori è il capogruppo nell’aula europea. Per capire quanto contino queste dinamiche, bisogna risalire a un’altra cena greca recente: quella di Ursula von der Leyen.

L’insalata greca Ppe - Ecr

Kyriakos Mitsotakis, e con lui il suo partito, Nea Demokratia, non sono soltanto e semplicemente membri della famiglia popolare europea. Svolgono un ruolo chiave, per due motivi: perché le delegazioni di partiti che sono anche al governo hanno più peso politico, e perché Mitsotakis sulle questioni di fondo è in sintonia con il plenipotenziario del gruppo e del partito europei, Manfred Weber. Le due cose sono ovviamente intrecciate fra loro.

Una esibizione plastica del ruolo di Mitsotakis nel Ppe porta il volto e il nome di Thanasis Bakolas, assurto a segretario generale del Ppe a giugno 2022 proprio in virtù della sua vicinanza al premier greco. Da consigliere di Mitsotakis a gestore della macchina popolare, in un ruolo dove l’organizzazione è strategia: e qual è la strategia di Bakolas? Consiste nel tenere compatta la “famiglia” mentre si avvicina all’estrema destra, e a Meloni in particolare. Non è un caso che tra le rare uscite pubbliche del segretario greco ci siano attacchi duri ai socialisti (ad esempio sullo scandalo corruzione): è un modo per prendere a spintoni la “maggioranza Ursula” nella sua versione classica.

L’obiettivo di Bakolas, ovvero di Mitsotakis, e anche di Weber, dopo che quest’ultimo ha avviato l’alleanza tattica coi conservatori già due anni fa, è quello di far digerire Meloni, pure nell’eventualità – che sfiora la certezza – che alla guida della Commissione nel 2024 resti von der Leyen. Ed è proprio questa dinamica a spiegare non soltanto perché la presidente si presti alla propaganda meloniana – patto con la Tunisia compreso – ma anche perché abbia scelto proprio la Grecia e Mitsotakis come meta di vacanza.

Trait d’union

Un po’ come Meloni da Edi Rama, anche Ursula von der Leyen ha incorniciato come “vacanza privata” le sue giornate assieme al marito Heiko – amministratore delegato della sede tedesca di Orgenesis, impresa americana di biotech – nella villa estiva dei coniugi Mitsotakis, a Creta.

La Commissione europea dovrebbe restare indipendente dai governi, il che non ha frenato von der Leyen. Tra i fili che uniscono il premier greco – laurea a Harvard e formazione neolib – alla presidente di Commissione «più americana di sempre», oltre che a Weber e Meloni, c’è il link con gli Usa; e non solo. I governi di Mitsotakis sono contrassegnati da ripetute violazioni di diritti e democrazia – dallo spionaggio dell’opposizione ai respingimenti illegali – eppure la Commissione su questo e altro «ha taciuto», come ha notato l’eurodeputata Sophie in’t Veld in occasione della vacanza greca della presidente.

Un Ppe che guarda all’estrema destra è anche un Ppe che chiude un occhio (o due) sulle violazioni dello stato di diritto; perché come ha detto Procaccini a Domani nell’autunno 2022, «congelare i fondi all’Ungheria è una barbarie»: le mosse sullo stato di diritto sono «politicamente orientate» e «prima o poi qualcuno ci proverà anche con l’Italia». Insomma meglio fare squadra, o per dirla come da nota procacciniana di questo giovedì: «L’incontro di Meloni con Mitsotakis servirà anche indirettamente a rafforzare l’asse tra conservatori e popolari».

Dossier che si intrecciano

Ci sono poi le agende che si incrociano. Sul tema dei migranti, la premier nostrana sta mobilitando i suoi alleati de facto; basti vedere la due giorni tunisina di Weber, che è popolare, non conservatore, ma che questa settimana si è preso la briga – d’accordo con il governo meloniano – di andare a scuotere il dittatore Saied sperando di porre riparo al flop meloniano del patto con Tunisi.

La destra di governo greca, responsabile di respingimenti illegali di migranti e sostenitrice di una linea dura, è in questo vicina all’estrema destra italiana; c’è inoltre una prossimità data dalla comune sorte di paesi affacciati sul Mediterraneo, e quindi esposti agli arrivi. «Siamo i più esposti», diceva non a caso Meloni riferendosi a Grecia, Malta e Cipro, quando andava a negoziare in sede Ue sul tema.

E che dire della comune sorte di meridionali d’Europa – assieme a Portogallo e Irlanda, uniti sotto l’acronimo di Pigs – con quel rapporto a dir poco difficile col debito pubblico? Certamente Mitsotakis è un alleato prezioso, se si vuol condizionare a proprio favore la riforma del patto di stabilità e crescita. «Più flessibilità!», è lo slogan sul quale i due premier non possono che convergere. Anche sui dossier energetici, c’è una cooperazione con la Grecia, già aperta dal governo Draghi in piena crisi inflattiva.

E poi ci sono gli scacchieri extra Unione, sui quali si negozia: se già la Germania spingeva per l’ingresso dei Balcani occidentali in Ue, Meloni si mette sulla scia e perora la causa balcanica. Mitsotakis dal canto suo ha interesse a ingaggiare la premier italiana sul proprio fronte, in vista del faccia a faccia con Recep Tayyip Erdogan a margine dell’assemblea generale dell’Onu, a New York, nella seconda metà del mese.

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