- «Ho parlato con Vladimir Putin, è stata una conversazione lunga. L’Ungheria si trova in una situazione molto speciale». Viktor Orbán ha invitato un gruppo di media internazionali per illustrare i suoi piani dopo «una vittoria elettorale come non l’ho vista mai».
- Il premier ungherese, per il quale il nemico più grande d’Europa è il gender, invoca un «rinascimento delle nazioni». Pronto ad attribuire all’Ue la crisi economica, Orbán risponde alle obiezioni Ue sulla salute democratica del suo paese confidando ancora nell’accordo di mutuo supporto con la Polonia.
- Con la Russia non rinuncia a fare affari: per paradosso, dice di voler uscire dalla dipendenza del gas russo con una centrale nucleare che Mosca costruirà in Ungheria. Disposto a pagare in rubli, a Zelensky dice che «deve smetterla di dirmi cosa devo fare». E con Pechino? Porte aperte. Cronaca dall’incontro con Viktor Orbán a Budapest.
«Ho parlato con Vladimir Putin, è stata una conversazione lunga. L’Ungheria si trova in una situazione molto speciale». Viktor Orbán ha invitato un gruppo di media internazionali per illustrare i suoi piani dopo «una vittoria elettorale come non l’ho vista mai».
Siamo al Karmelita kolostor, l’ex monastero carmelitano: da tre anni è l’ufficio del primo ministro, da questo punto di Buda sembra di avere il mondo ai piedi. Ed è l’effetto ottico che Orbán prova a dare. Ma le due ore di domande e risposte mettono in luce tutte le contraddizioni del premier ungherese, che con la sua politica multivettoriale riesce a dire nello stesso pomeriggio che «siamo leali alla Nato» e che non fermerà la costruzione di una centrale nucleare russa nel suo paese.
Del resto Orbán ha cambiato orientamenti più volte nella sua storia politica, da liberale a illiberale, dentro l’Ue ma aprendo a Mosca e Pechino. Se c’è una cosa sulla quale è lineare è l’ambizione di avere potere: «Non sappiamo in che modo il sistema di sicurezza europea si riequilibrerà. You have to be adaptive», dice non a caso. «Bisogna sapersi adattare». Putin vuole che paghiamo in rubli? «E noi pagheremo in rubli».
La Russia e Zelensky
Tutti i punti sui quali il premier ungherese è sottoposto alle domande dei cronisti mettono in luce che i rapporti con la Russia sono tuttora cooperativi. «Putin vuole che paghiamo in rubli? E noi pagheremo in rubli». Ancor più interessante è la questione degli investimenti russi in Ungheria: qui Mosca dovrebbe costruire la centrale nucleare Paks II. E Orbán non ha alcuna intenzione di fermare il progetto, anzi. Il suo progetto per «uscire dalla dipendenza dal gas russo» è la costruzione della centrale nucleare russa in Ungheria.
Anche i canali sono tuttora aperti. «Oggi ho parlato con Putin». Chi è stato a chiamare? «Mi ha chiamato lui, per congratularsi. Come hanno fatto anche Erdogan e Trump». La conversazione con il Cremlino è stata lunga, riferisce il premier. «La relazione che avevamo costruito si è incrinata perché siamo da lati opposti, sia io che Putin lo comprendiamo. L’Ungheria si trova in una situazione particolare: è il bordo orientale dell’occidente. Noi e i polacchi sappiamo quanto un’occupazione possa essere brutale. Ho proposto che Russia, Ucraina, Francia e Germania vengano a Budapest per discutere un cessate il fuoco».
Il premier ungherese si racconta come uomo di pace: lo ha fatto durante tutta la campagna elettorale, lo ribadisce oggi, e presenta il suo viaggio di febbraio al Cremlino come «una missione di pace, io ci ho provato ben prima di Francia o Germania». Ma nessuno è riuscito. Dopo aver evitato per un’intera campagna elettorale di condannare l’aggressione di Vladimir Putin o anche solo di nominarlo, incalzato dai cronisti il premier riconosce che «la guerra è stata avviata dalla Russia, sono loro gli aggressori, condividiamo le posizioni europee». E i massacri di civili in corso? «Le atrocità vanno investigate e in modo imparziale, ne ho parlato ieri con il presidente turco».
Qui si apre un ventaglio di ambiguità. Alla domanda se si sia pentito di aver indicato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky tra i propri oppositori nel discorso di vittoria elettorale, il premier ungherese si lascia andare a un: «Dovrebbe smetterla. Vuol dire a tutti quel che devono fare, dovrebbe smetterla, specialmente se lo fa perché vuole che lo aiuti e nel modo in cui dice lui».
Nazionalismo, Europa e Pechino
«Prepariamoci a pagare il prezzo».Viktor Orbán ha già il capro espiatorio – l’Europa – per quando nel suo paese l’equilibrio economico non reggerà: «Noi abbiamo dovuto allinearci sulle sanzioni ma sappiamo che ne pagheremo il prezzo, il costo delle sanzioni è la crisi economica europea. I prezzi dell’energia richiedono l’azione immediata di Bruxelles, tutte le misure amministrative come le tasse vanno sospese quando i prezzi sono così alti». E qui Orbán lancia l’affondo: «Sospendiamo il sistema ets», il sistema di tassazione che l’Ue ha avviato per gli obiettivi ambientali.
A parole, il premier ungherese dice di voler restare saldo nella Nato e in Europa, ma poi precisa meglio come la intende: «Dobbiamo rafforzare l’alleanza con le altre nazioni europee». «Credo nello stato nazione – dice – e questa idea avrà un rinascimento nell’Europa centrale». Ricorda a questo punto i buoni rapporti con l’estrema destra francese, e rivendica l’alleanza con la Polonia sullo stato di diritto. Dopo che Ursula von der Leyen ha annunciato di voler avviare contro l’Ungheria la procedura per il meccanismo che condiziona i fondi europei al rispetto dello stato di diritto, il premier ungherese ricorda che «con Varsavia abbiamo opinioni diverse su tante cose, sulla no fly zone, sulla guerra, ma non viene meno il nostro accordo per sostenerci su questo tema». Il tema è la violazione dei principi democratici. Secondo il premier ungherese gli attacchi che subisce sono «dovuti a una maggioranza di sinistra» e «il più grande problema in Europa è il gender».
Rapporti con la Cina: continuerà il progetto della via della seta? «Certo. Io vedo il rischio che il conflitto tra Russia e Occidente si estenda, l’Ue sarà capace di avere una autonomia strategica? Sarebbe buono che la avesse nei rapporti con la Cina. Mi batterò perché sia così».
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