Il finale della storia si può anticipare, anche perché la storia non finirà qui: questo mercoledì all’unanimità l’ufficio politico dei Repubblicani ha espulso Éric Ciotti. Il giorno prima, da presidente, lui aveva lanciato un’alleanza con il Rassemblement National, distruggendo del tutto il cordone sanitario contro l’estrema destra, che i francesi chiamano barrage: argine, barricata. E per ironia della sorte Ciotti si è barricato nella sede del partito: «Il presidente sono e resto io», ha continuato a dire fino all’ultimo, sostenendo di avere la base dalla sua parte e prefigurando così quella scissione che i maggiorenti del partito cercano invece di schivare isolando Ciotti.

Intanto Emmanuel Macron è più che pronto a raccogliere i cocci. Questo mercoledì mattina in conferenza stampa ha pure dato un nome al suo piano acchiappa-centristi: una «federazione» che dovrebbe a suo dire salvare la Repubblica non solo dal Rassemblement ma pure dalla «estrema sinistra», la France Insoumise che il presidente mette sullo stesso piano dell’estrema destra, proprio come già si era visto alle legislative del 2022.

O con lui, o contro la Francia: è la trappola che il presidente sta apparecchiando per gli altri, dai socialisti ai repubblicani; questi ultimi, anche se elettoralmente in difficoltà, hanno mostrato questa settimana di avere capacità di reazione.

La barricata

Il bailamme inizia davanti a un grande portone di legno azzurro al civico 4 di place du Palais Bourbon. È l’elegante piazza parigina dove si trova anche l’Assemblea nazionale – cioè il parlamento che Macron ha sciolto convocando le elezioni legislative – e qui i Repubblicani hanno trasferito la loro sede a marzo, per dare un segno di rilancio. Pochi mesi dopo, il segnale è tutt’altro: questo mercoledì, a inizio giornata, i giornalisti assiepati lì davanti, e pure l’ufficio politico del partito, si sono trovati col portone chiuso, del tutto rinserrato.

«Se Ciotti non esce dal suo ufficio, le cose sono due: o chiamiamo un’ambulanza o direttamente Jordan Bardella. Qualcuno dovrà pur portarlo via»: il deputato Aurélien Pradié ironizza sulle simpatie di Ciotti per l’aspirante primo ministro del Rassemblement National, e si fa portavoce di chi come lui, tra i Républicains, pensa che «da noi, i gollisti, sono i traditori che devono andarsene, non i resistenti».

Insomma, che il presidente sloggi: questo è il messaggio che arriva sempre più copioso; intanto Valérie Pécresse, che da candidata dei Repubblicani alle presidenziali 2022 non aveva neppure superato la soglia di sbarramento, ritrova zelo e impeto, e pure lei viene ripresa dalle telecamere mentre prova a liberare il partito dal presidente “traditore”.

Per le tre sarà fuori da qui, in tutti i sensi: così si inizia a rumoreggiare, in attesa che il bureau si riunisca per esaminare la questione a pochi metri dal portone bloccato.

La cacciata

E Ciotti? Quanto la fate lunga sulla storia del portone, dice: «Troppe elucubrazioni! Ho deciso così solo per i disordini di martedì, per garantire la sicurezza del personale». Ma intanto appare sempre più chiaro, di minuto in minuto, che la barricata è politica. L’uomo dello scandalo insiste che sono «i militanti» a volere l’alleanza col Rassemblement, e aggiunge che una riunione del partito sarebbe illegittima; vagheggia di raccolte firme in cui a migliaia sosterrebbero la sua linea. «Siete già in 10mila! Firma anche tu la petizione per unire la destra di fronte ai pericoli dell’estrema sinistra alle elezioni legislative!», twitta strategicamente alle 16.28, ovvero due minuti esatti prima dell’orario nel quale i suoi compagni di partito (fino a quel momento) hanno previsto la loro conferenza stampa.

Annie Genevard, la vicepresidente del partito, annuncia poi al capannello di cronisti che Ciotti si è mosso in direzione contraria «al nostro statuto, alle nostre convinzioni e alla nostra carta dei valori» e che «non ha più alcuna legittimità nel parlare a nostro nome». E poi la cacciata ufficiale: non soltanto Ciotti non è più presidente, ma è espulso dal partito tout court.

Non è tutto: i Repubblicani scavalcano anche le decisioni elettorali già prese dal loro ormai ex presidente assieme al Rassemblement, e gli opporranno un loro candidato nella sua circoscrizione. Quello che nella mattinata di mercoledì Macron ha definito come «il patto col diavolo» di Ciotti con Le Pen ha infatti un corollario concreto: lui si era fatto garantire che i lepeniani non gli avrebbero messo nessuno contro nelle elezioni imminenti; sperava poi con lo stesso supporto di diventare sindaco di Nizza, la sua città d’origine che va al voto nel 2026. «A Nizza e altrove, la nostra base mi dice: mettetevi d’accordo», aveva sostenuto lui. I Repubblicani ricandidano i parlamentari uscenti, ma non lui. La guida del partito è ora in mano al capolista alle europee, François-Xavier Bellamy.

La nuova “casa Le Pen”

A espulsione annunciata, Genevard si è recata con una copia delle chiavi al fantomatico portone, tra le urla degli astanti: «Vive la France!», «Ciotti è lì?». L’espulso non si è fatto trovare, ma è apparso per comunicato: «La riunione viola lo statuto e le decisioni assunte non hanno valore legale», ha detto ventilando «conseguenze penali».

Negli stessi frangenti Marion Maréchal ha consumato il divorzio da Éric Zemmour e si è ricongiunta «carica di speranze» con zia Marine Le Pen. Ha anche invitato a sostenere i candidati dell’alleanza Le Pen-Ciotti, confermando quindi che Ciotti andrà dove si sente più comodo: assieme all’estrema destra. Lui sostiene che presenterà 80 nomi per le liste, supportati dai lepeniani, e «coi colori dei Repubblicani». Anche se il caso esplode ora, le sue simpatie per la destra estrema erano chiare prima che assumesse la guida dei Repubblicani. Ai quali spetta una battaglia politica e giuridica.

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