Sembrava un martedì qualsiasi a Francoforte, il cuore finanziario d’Europa. Centinaia di banchieri erano indaffarati a lavorare nei due giganteschi grattacieli della Deutsche Bank. Anche dall’altra parte della strada, alla Dws, la divisione della Deutsche Bank dedicata alla gestione patrimoniale, i dipendenti avevano iniziato ignari la propria giornata.Ma a metà di quella mattinata di maggio 2022 una cinquantina agenti di polizia ha fatto irruzione negli uffici della Deutsche Bank e della Dws. I dipendenti sono stati interrogati, i file confiscati e i dati estratti dai sistemi informatici. L’accusa? Greenwashing. La Dws avrebbe presentato i propri prodotti finanziari come molto più verdi di quanto non fossero in realtà.

La mutazione dei fondi equi

Una volta gli investimenti sostenibili erano un’attività di nicchia. Gli investitori etici hanno avuto un ruolo modesto nell’abolizione della schiavitù, rifiutandosi di trarre un profitto dalle industrie che impiegavano il lavoro degli schiavi. Un piccolo gruppo di investitori europei e statunitensi ha voltato le spalle alla Shell verso la fine del secolo scorso, dal momento che l’azienda olandese-britannica era attiva nel Sudafrica devastato dall’apartheid.In seguito, anziché scartare le aziende, sono stati creati dei fondi a impatto, incentrati sugli investimenti con un impatto sociale positivo. Ad esempio, negli anni Novanta del ventesimo secolo la banca sostenibile olandese Triodos ha creato un fondo per il finanziamento dei terreni agricoli, favorendo l’agricoltura biologica. Il suo valore: 25 milioni di fiorini (ossia 11,3 milioni di euro). «Era ancora minuscolo», ricorda Marilou van Golstein Brouwers. È stata amministratore delegato della Triodos Investment Management e ha contribuito alla creazione del fondo. «Le persone, incluso il governo, sono rimaste positivamente sorprese dal fatto che i privati fossero disposti a investire in una causa pubblica».

Oggi il ramo dell’investimento sostenibile non è più “minuscolo”, almeno se vogliamo dare credito al settore finanziario. Dall’inizio del secolo c’è stato un costante aumento del numero dei fondi d’investimento che affermano di investire il denaro dei propri clienti in maniera sostenibile. È iniziato tutto lentamente: nel 2010 solo il 3 per cento dei fondi d’investimento europei si definiva sostenibile.La svolta è arrivata nel 2015, l’anno dell’accordo di Parigi sul clima, degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Oss) dell’Onu, e pure dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. L’industria finanziaria ha risposto a quella chiamata. In Europa, quell’anno sono stati istituiti circa 100 nuovi fondi che si sono autodefiniti sostenibili; attualmente se ne aggiungono circa 100 ogni trimestre. Secondo il fornitore di servizi finanziari Morningstar, al momento il 50 per cento di tutto il denaro nei fondi d’investimento europei è etichettato come “sostenibile”. Ciò equivale a oltre 4.180 miliardi di euro, un importo paragonabile alla capitalizzazione di mercato di Alphabet, Asml, Coca-Cola, Neslé, Pfizer, Samsung, Shell, Toyota, Walt Disney e Walmart messi insieme.Si tratta di una gran somma di denaro. Ma dove finisce veramente? I fondi d’investimento che promettono sostenibilità, e ai quali milioni di europei affidano migliaia di miliardi di euro, mantengono le proprie promesse?Questa grande indagine sugli investimenti verdi, realizzata da un collettivo paneuropeo di giornalismo investigativo, con 26 giornalisti di nove paesi europei diversi, serve proprio a capire dove finiscono i soldi degli investitori europei in cerca di investimenti sostenibili.

Uno dei principali ostacoli è dato dal fatto che la “sostenibilità” non ha una definizione fissa e legalmente definita, quindi il termine può essere facilmente applicato a quasi qualsiasi cosa. Per molti fondi d’investimento il termine indica semplicemente che i cosiddetti criteri Esg (acronimo di “Environmental, Social and Governance”, ossia “Ambientale, Sociale e Governance”) hanno avuto un ruolo nella decisione di investire in una determinata società.Ciò può essere interpretato in maniera piuttosto ampia. Molti fondi che affermano di essere sostenibili in realtà non si concentrano sul contributo ambientale, sociale o di governance che l’azienda fornisce al mondo; si focalizzano sul modo in cui i cambiamenti delle condizioni ambientali, sociali e di governance potrebbero influenzare l’azienda stessa.

Tariq Fancy, ex capo della divisione di investimenti sostenibili di BlackRock, il più grande fondo di gestione patrimoniale, lo spiega così: «Supponete che Trump torni al potere. I punteggi Esg di molte società aumenterebbero, perché la probabilità che le società debbano affrontare nuove leggi sociali sociali o ambientali in America sarebbe minore». In quanto tale, il punteggio Esg non misura realmente l’impatto di un’azienda sul mondo, ma più che altro il modo in cui il mondo influisce sull’azienda. Dice Fancy: «Si tratta di valore, non di valori».

Quindi, i 4.180 miliardi di euro nei fondi d’investimento europei che in teoria confluiscono negli investimenti sostenibili sono, in realtà, una serie di salvadanai, di cui ognuno utilizza una diversa interpretazione del concetto di sostenibilità. A un’estremità della scala, l’investimento sostenibile significa che il fondo “tiene in considerazione” i punteggi Esg quando decide di investire in qualcosa. L’impatto sociale non è un obiettivo, e il danno sociale non è un motivo per scartare un’azienda; si guarda semplicemente a come un mondo sempre più sostenibile potrebbe influenzare i rendimenti dell’azienda.Al lato opposto della scala troviamo i fondi d’impatto, in cui il ritorno finanziario non svolge alcun ruolo, o lo svolge in misura minore, e il successo viene misurato in base al miglioramento sociale ottenuto tramite un investimento. Tra di essi ci sono i fondi che investono nell’agricoltura biologica, nelle riserve naturali o nell’istruzione per le ragazze: non perché questi investimenti portano soldi, ma perché rendono il mondo un posto migliore. La sostenibilità viene definita in modo completamente diverso.

Bruxelles e i toni di verde

L’Ue cerca da anni di mettere ordine. Nel 2018 ha sviluppato il Piano d’azione sulla finanza sostenibile, una strategia per spostare i flussi di denaro dalle imprese che contribuiscono al riscaldamento globale verso iniziative sostenibili. Il piano è poi confluito nel Green Deal, del quale fa parte anche il Regolamento relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (Sfdr, acronimo di Sustainable Finance Disclosure Regulation). Con queste regole in vigore da marzo 2021 i gestori dei fondi sono obbligati a fornire una valutazione della sostenibilità del proprio fondo. Possono scegliere tre tonalità: grigio, verde chiaro, verde scuro (in inglese: grey, light green, dark green). I fondi “grey” sono semplicemente tenuti a fornire un’analisi dei rischi di sostenibilità che devono affrontare. I fondi “light green” devono perseguire obiettivi sostenibili e spiegare come lo fanno. Infine, ci sono i fondi previsti nell’articolo 9, che il mercato promuove come la forma d’investimento più sostenibile. Aziende quali Bnp Paribas, Deutsche Bank, Abn Amro, Unicredit, Deloitte, Robeco e Ing Bank definiscono questi fondi “dark green”.Questa categoria presenta i requisiti di sostenibilità più elevati. I fondi che rivendicano lo status di cui all’articolo 9, devono perseguire un obiettivo sociale o ambientale esplicito, ad esempio prevenire le violazioni dei diritti umani o l’inquinamento ambientale. Inoltre non possono in alcun modo causare “danni significativi” ad altri obiettivi sostenibili.

Un fondo che rivendica la classificazione dell’articolo 9 ha chiari vantaggi commerciali. Mentre i mercati azionari hanno subìto un calo negli ultimi mesi per via della pressione inflazionistica, della geopolitica e dell’imminente recessione, in Europa i fondi verdi sono riusciti a raccogliere più denaro. Secondo l’Associazione europea dei fondi e della gestione patrimoniale (Efama), i fondi grigi e verde chiaro hanno perso decine di miliardi dall’inizio di quest’anno, mentre il capitale dei fondi dell’articolo 9 è aumentato di 31 miliardi di euro. Il vessillo dell’articolo 9 attira i clienti.

Le trappole del dark green

Questa inchiesta si concentra sui fondi dell’articolo 9, per scoprire cosa succede al denaro degli investitori europei dotati di una coscienza sostenibile. Dopotutto, questi fondi devono soddisfare i requisiti più rigorosi e dovrebbero essere più verdi del verde.Innanzitutto, abbiamo elencato i fondi che si autodefiniscono come fondi dell’articolo 9. Ce ne sono 1.141 (al 30 giugno 2022). Abbiamo poi cercato di trovare il loro portafoglio completo e ci siamo riusciti per 838 fondi, tre quarti del totale. I loro portafogli contenevano complessivamente 130 mila investimenti per un valore di oltre 619 miliardi di euro. Abbiamo misurato questi investimenti in base a un criterio di sostenibilità e abbiamo mantenuto bassa la soglia necessaria a contrassegnare un investimento come “sostenibile”. Mentre le norme europee per gli investimenti sostenibili utilizzano una definizione ampia di sostenibilità (dalla sostenibilità sociale, come il rispetto dei diritti umani e delle buone pratiche occupazionali, alla sostenibilità ambientale, come la prevenzione dei danni all’ambiente e alla qualità dell’acqua), noi abbiamo solo preso in considerazione i danni climatici causati dalle società dei fondi più “dark green” d’Europa.Tuttavia, molti fondi non sono nemmeno riusciti a soddisfare questi requisiti limitati.

Aerei e petrolio

In quasi metà dei fondi “dark green” abbiamo rilevato la presenza di investimenti nell’industria dell’aviazione o dei combustibili fossili. Per esempio, un fondo dell’articolo 9 della BlackRock ha investimenti per oltre un miliardo di euro in società energetiche come Rwe (che nel 2020 ha ricavato circa il 65 per cento della propria energia dalla lignite, dal carbone e dal gas naturale), Enel (43 per cento) e Nextera (75 per cento).

Un fondo d’investimento “dark green” di Carmignac, società francese di gestione patrimoniale che nei documenti ufficiali dice di “investire tematicamente in società che mitigano il cambiamento climatico”, sembra investire, tra l’altro, nel supergigante petrolifero TotalEnergies e in Glencore, un conglomerato dei combustibili fossili con grandi partecipazioni nella società petrolifera russa Rosneft e nel produttore di carbone Xstrata.Denaro da tutta Europa scorre dai fondi “dark green” verso investimenti in società “grey”. In Lussemburgo abbiamo rilevato investimenti “grey” nel 43 per cento dei fondi dell’articolo 9, il risultato più basso in termini percentuali. In Italia abbiamo trovato società “grey” in oltre il 49 per cento dei fondi dell’articolo 9. Il denaro verde scorre verso i supergiganti petroliferi (tra cui Shell, Total, Bp, Saudi Aramco), le compagnie aeree (tra cui Lufthansa, Delta e Air France-Klm) e giganti del carbone (come Rwe, Glencore e Uniper).Abbiamo trovato un valore di ben oltre 8,6 miliardi di euro di investimenti “grey” nei fondi europei “dark green”. Questo non vuol dire che gli altri siano espressamente verdi. Gli investimenti più popolari sono Microsoft (8,2 miliardi di euro), la società farmaceutica Novo Nordisk (7,6 miliardi), Apple (6,7 miliardi), Alphabet (4,4 miliardi) e la società farmaceutica Thermo Fisher (4,1 miliardi). Anche McDonald’s, Coca-Cola, Pepsico, L’Oréal e Louis Vuitton Moët Hennessy si trovano in alto nella lista.

Investitori europei traditi

Gli investitori europei pagano una commissione per la composizione del proprio fondo “sostenibile”. Un recente esperimento di Paul Smeets, professore di finanza sostenibile presso l’Università di Amsterdam, suggerisce che il settore finanziario addebita commissioni più elevate ai fondi sostenibili. Smeets definisce questo processo con il termine greenium, un premio verde (da green e premium). Tale margine varia da 7,7 a 8,3 punti base. «E ora che la vostra indagine rivela che i fondi sostenibili investono anche nelle compagnie petrolifere, gli investitori potrebbero trovarsi di fronte a un doppio rischio: dover pagare di più per un fondo sostenibile, e investire in qualcosa che in realtà non è affatto verde», dice Smeets.European-Veb, il gruppo di tutela dei proprietari di titoli europei, è indignato dagli esiti della nostra inchiesta: «Riprovevole, non si può utilizzare la dicitura “dark green” per raccogliere miliardi di euro senza poi essere realmente sostenibili. Questa dicitura non è uno strumento di marketing, ma una promessa fatta agli investitori».

Julien Lefournier, ex dipendente della banca Crédit Agricole e autore de L’illusion de la finance verte (L’illusione della finanza verde), parla di «osservazioni forti» che dimostrano che «la retorica dei fondi dell’articolo 9 spesso è vuota; fanno di tutto per far credere alla gente che stanno effettuando la transizione, ma investono in società di combustibili fossili di vecchio stampo». Gli esperti sostengono che gli investimenti nell’industria dell’aviazione e dei combustibili fossili rilevati nei fondi dell’articolo 9 non sono conformi alle norme europee in materia di investimenti. «Non vedo come investire nell’energia da combustibili fossili possa non causare danni ambientali significativi», afferma l’esperto di Esg Ruud Winter. Sjors Vogelsang, un avvocato che offre consulenze in materia di legge di regolamentazione finanziaria, è inflessibile: «Se un gestore di fondi applica la dicitura “articolo 9” a un fondo che investe in parte in società di combustibili fossili, ci troviamo di fronte a una violazione».

I colossi e gli alibi

Tuttavia, gli asset manager che mettono gli investimenti “grey” nei fondi “green” sostengono di non fare niente di sbagliato: affermano che dipende dalle norme, che non renderebbero ancora chiaro se gli investimenti in combustibili fossili possono far parte o meno di un fondo sostenibile. Amundi, una delle maggiori società di gestione patrimoniale in Francia, ritiene «che l’attuale quadro normativo non consente ancora al settore finanziario di fornire una risposta univoca alla domanda su cosa dovrebbe essere considerato “sostenibile” o no». Per Axa, che offre i propri fondi in tutta Europa, «la nozione di “investimento sostenibile” rimane soggetta a varie interpretazioni». Anche l’olandese Actiam è convinta di non violare le norme europee che, tra l’altro, il suo asset manager definisce “cavolate”: «Voglio chiarimenti, posso investire in una società petrolifera o no?». Secondo l’organo regolatore europeo, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma), non è poi così complicato. L’Esma ha già rispiegato le regole in precedenza: «I prodotti finanziari che hanno come obiettivo gli investimenti sostenibili dovrebbero effettuare solamente investimenti sostenibili».

Ma le autorità non agiscono

Tuttavia l’Esma non prenderà provvedimenti contro le società di gestione patrimoniale che spacciano gli investimenti “grey” per investimenti “dark green”. Sebbene le regole siano chiare, l’Esma dichiara di non essere responsabile della loro applicazione. Questo compito spetta agli organi regolatori nazionali che, a quanto pare, hanno difficoltà a metterlo in pratica. Sostengono che la legge non fornisce loro sufficienti linee guida da applicare. «Il testo non è abbastanza specifico» per l’Amf francese. Secondo l’organo regolatore lussemburghese «non esiste ancora una definizione univoca di greenwashing a livello europeo». L’Amf olandese sostiene di aver chiesto all’Esma di «chiarire cosa costituisce un “investimento sostenibile”, e cosa un “danno significativo”. Capiamo perché le società di gestione patrimoniale non stiano ancora facendo tutto in modo corretto».L’Esma non si capacita di tutto ciò. Reagendo alla nostra inchiesta spiega: «Sebbene non ci sia un divieto esplicito di considerare “sostenibili” gli investimenti in combustibili fossili, dovrebbe essere piuttosto arduo effettuare tali investimenti nell’ambito della sostenibilità: è necessario dimostrare che gli investimenti non danneggiano alcun obiettivo ambientale o sociale. Dovrebbe essere piuttosto difficile sostenere che gli investimenti nei combustibili fossili rispettano il principio del Dnsh (do no significant harm)». Il blitz alla Dws prova che è possibile intervenire contro il greenwashing nel settore finanziario: le autorità tedesche sono intervenute. Negli Usa la banca d’investimento Bny Mellon è stata multata; Goldman Sachs ha ricevuto una multa da 4 milioni di dollari. Anche con gli investimenti “grey” nei fondi “dark green” europei le autorità nazionali potrebbero tranquillamente intervenire, se solo lo volessero. Ne è certa Myriam Vander Stichele, tra gli esperti che hanno gettato le basi per i regolamenti europei sul tema.

Ties Joosten, Ties Gijzel, Yara van Heugten, Remy Koens, Tom Bolsius, Leon de Korte, Linda van der Pol, Emiel Woutersen, Daniele Grasso, Carlotta Indiano, Fabio Papetti, Mathias Hagemann-Nielsen, Frederik Vincent, René Bender, Sönke Iwersen, Martin Murphy, Lars-Marten Nagel, Ingo Narat, Michael Verfürden, Volker Votsmeier, Joseph Gepp, Lars Bové, Peter van Maldegem, Yannick Lambert, Thomas Klein, Adrien Sénécat


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