«I like Draghi!». «Sì, Draghi mi piace». Così se n’è uscito il premier ungherese a margine di un evento all’Europarlamento questo martedì, dimostrando che, al di là della propaganda con la quale aveva tenuto banco fino a pochi secondi prima, il suo reale obiettivo è restare al centro delle decisioni e del potere in Ue. Mateusz Morawiecki, l’ex premier polacco del Pis alleato di Meloni, ha contribuito a questa causa perorando pubblicamente, nelle stesse ore, l’ingresso di Fidesz nei Conservatori europei.

Se non fosse per i coup de théâtre – come lo sgombero da parte della polizia nel pomeriggio – la conferenza National Conservatism iniziata questo martedì nella capitale belga sarebbe ricordata come un flop. Ma è stata convertita in occasione per riprendersi la scena.

Il pasticcio belga

Sembra lontanissimo il 2020 nel quale Giorgia Meloni si era presa la scena della “NatCon” che si svolgeva a Roma, lasciando fuori dall’elenco di interventi Matteo Salvini.

All’edizione 2024 di Bruxelles, la premier in conversazione perenne coi popolari europei ha preferito non mettere piede e mandare il capogruppo di Ecr, Nicola Procaccini.

La NatCon è nata come ribalta e punto di intersezione per estreme destre all’arrembaggio. Lanciata dalla fondazione Edmund Burke, ha oggi tra i cosponsor organizzazioni legate a Orbán (come Mcc e Danube Institute) e alla destra nostrana (come Nazione futura) e israeliana (Herzl Institute). Francesco Giubilei, ex consigliere del ministro Sangiuliano e autore di una biografia su Meloni, è nel comitato direttivo, come Frank Füredi.

Ma a guardare la lista di interventi solo un premier spicca, ed è colui al quale queste iniziative più servono, per la sua macchina di influenza: Orbán. Poi ci sono i capigruppo di Ecr (Ryszard Legutko e Procaccini), l’ormai ex premier polacco Mateusz Morawiecki, l’ormai ex ministra (fatta fuori dal governo Sunak) Suella Braverman, e Nigel Farage, una volta idolo dei brexitari e oggi fuori dalla scena.

Chi governa e vuol dialogare con i popolari – ovvero Meloni – non si affretta più a metterci la faccia, anzi. Rispetto al 2020, è passata un’èra geologica, nella galassia dell’estrema destra: c’è chi intanto ha sfondato il cordone sanitario, e chi resta in camera d’aspetto.

Insomma l’evento già partiva sotto tono. L’organizzazione ha mandato nel giro di poche ore ben tre cambi di location. «Uno scandaloso tentativo di boicottaggio da parte del sindaco di Bruxelles che ha ceduto alle pressioni di gruppi antifascisti», tuonava Giubilei.

Fino alla sera prima, l’indirizzo era il Sofitel; questo martedì mattina, il Claridge. Arrivare al chaussée de Louvain significava trovarsi davanti saracinesche abbassate, e poi essere introdotti nella zona a vista palco attraverso una sorta di magazzino. Non esattamente un trionfo del conservatorismo, come mostravano le facce spiazzate di chi arrivava col biglietto da migliaia di euro pagato.

Nel corso della giornata però un amministratore locale ha spedito la polizia a chiuder baracca con l’argomento della sicurezza e lo slogan che «l’estrema destra non è benvenuta». Si tratta di Emir Kir, cacciato in precedenza dai socialisti belgi per i suoi rapporti con l’estrema destra turca.

L’arrivo della polizia al Claridge ha ringalluzzito il campo. «Quando ha saputo che i poliziotti erano fuori e che avrebbe dovuto terminare l’intervento, Farage si è trattenuto più a lungo: l’impressione è che la messinscena facesse il suo gioco. Tutta la conferenza era orientata a un vittimismo continuo», commenta Ugo Realfonzo, caposervizio del Brussels Times.

«I membri di Ecr sono vittime di ingiustificabili abusi»: in serata, pure Meloni ha dovuto serrare i ranghi e unirsi al coro. «Quel che accade a Bruxelles ci lascia increduli: un sindaco che mette al bando una conferenza con parlamentari e premier!» Meloni ha chiesto al suo omologo belga di seguire la vicenda e lo ha ringraziato per la sua presa di posizione: Alexander De Croo aveva poco prima dichiarato che «i fatti del Claridge sono inaccettabili, la Costituzione belga garantisce libertà di parola e di assemblea dal 1830. Vietare raduni politici è incostituzionale».

Anche Rishi Sunak, il premier britannico conservatore, ha stigmatizzato come «inquietante» lo stop al raduno.

Tra Meloni e Draghi

«Questo senso di censura potrei paragonarlo ai tempi del comunismo», ha detto Morawiecki dall’Europarlamento, dando anche l’ennesima spinta a favore dell’ingresso di Fidesz nei Conservatori europei, il gruppo di Meloni.

Orbán dopo l’ultimo Consiglio europeo aveva dato per certo che l’operazione sarebbe andata in porto dopo le europee, ma la premier nostrana in pubblico non osa esporsi. Morawiecki a Domani risponde che «non posso parlare io al posto suo, ma certamente con lei abbiamo parlato dell’ingresso di Fidesz. Molti se non tutti i partiti che compongono Ecr concorderebbero. Dobbiamo unirci ed essere forti».

Nell’evento Ecr con Orbán e Fabrice Leggeri (candidato alle europee con l’Rn), la coppia polacco-ungherese, abituata a far squadra in Ue per le comuni violazioni dello stato di diritto, ha snocciolato i temi forti per le europee: migranti (e contrarietà al patto Ue), agricoltori, clima (o meglio, contro). Ma sotto la coltre della propaganda resta il pragmatismo orbaniano: così va interpretato il suo apprezzamento per Draghi («a good guy»). Un modo per non restare fuori dai giochi.

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