Tra il 1996 e il 2008 Romano Prodi è stato protagonista della politica italiana ed europea, prima da presidente del Consiglio dei ministri e dopo quale capo della Commissione europea.

La sfiducia

La strada verso Bruxelles si palesò dopo un evento politico negativo: il voto parlamentare del 1998 macchiò la vittoria del centro-sinistra che per la prima volta nella storia repubblicana aveva raggiunto Palazzo Chigi con una coalizione vincente (sebbene con un limite alla Camera a causa di Rifondazione comunista che non era alleato organico).

Quel voto rappresentò anche un altro primato: il primo capo del governo sfiduciato dall’Aula, rispetto alle tradizionali crisi extra parlamentari, frutto di negoziati e negoziazioni anche occulte tra i maggiorenti della Dc e del pentapartito in un lungo gioco di ri-posizionamenti. In quella occasione emerse un chiaro tratto del carattere umano e politico di Prodi che rinunciò a negoziare sottobanco con aspiranti sostenitori interessati e in una affollata e accaldata assemblea in un teatro di Bologna denunciò le avances leghiste per avere la direzione di Raidue in cambio di appoggio parlamentare.

La strada verso Bruxelles

Il 1996 fu in qualche sorta l’inizio dell’avvicinamento a Bruxelles. Dopo la lunga, innovativa e vittoriosa campagna elettorale del pullman, Prodi riuscì nell’impresa di sconfiggere il centro-destra, anche in ragione delle divisioni del generate dalla defezione leghista. Il Professore riuscì a comporre e tenere insieme la variegata e troppo agitata coalizione, dando prova in svariate occasioni di tempra, pazienza e diplomazia.

La frammentazione partitica, l’agenda sociale non condivisa da Rifondazione comunista e una dose di nemici interni, decisero le sorti del primo centro-sinistra del dopo 1989. Il fondatore dell’Ulivo si prodigò per l’Euro e anche se i negoziati furono condotti in larga misura da Carlo Azeglio Ciampi, Prodi ne fu strenuo sostenitore politico e garante.

Il capo del governo e il ministro del tesoro si resero immediatamente conto che con lo stato dei conti pubblici l’Italia non sarebbe entrata nel gruppo di testa nella nascente unione monetaria; uno smacco per uno dei paesi fondatori, quello nel quale furono siglati i Trattati fondativi nel 1957.

La manovra economica deliberatamente e caparbiamente dedicata all’ingresso nella moneta unica, in uno slancio di ritrovato orgoglio nazionale e patriottico. Ciampi lo dichiarò in una intervista al Sole 24 Ore «L’ho detto più volte e lo confermo: l’Europa è nel sangue degli italiani, e i partiti non possono che riflettere questa realtà».

L’autunno del 1998 con la rottura della maggioranza e la sfiducia a Prodi rappresenta ancora oggi una piaga non rimarginata nella storia della sinistra e forse persino ancora peggiore dei “101” traditori che nel 2013 silurarono Prodi nel percorso verso il Quirinale.

L’allargamento a est

Alle elezioni europee del 1999 Romano Prodi, ancora una volta con l’ausilio intellettuale di Arturo Parisi, fonda il partito/movimento l’Asinello, un chiaro e deliberato riferimento al partito democratico, obiettivo del duo che solo verrà fondato quasi un decennio dopo. In quel momento servì a regolare un po’ di conti con i Democratici di sinistra, ma anche a dare seguito a quel progetto tenendo viva la progettualità e anche il potere negoziale.

Il vento della Terza Via che allora spirava in Europa con le vittorie socialiste in Francia, Portogallo, Gran Bretagna consentì di avere un presidente della Commissione indicato dalle forze e dai governi di centro-sinistra. Prodi entrò in carica anche per ridare vigore e slancio all’istituzione, la quale era stata messa in discussione dopo la sfiducia nei confronti del presidente Jacques Santer.

Il primo e sin ora unico caso nella storia del parlamento europeo del capo del “governo” europeo costretto a dimettersi anticipatamente, il tutto a causa di uno scandalo di corruzione con le conseguenti dimissioni negate dalla commissaria francese. Èdith Cresson che trascinarono l’intera commissione al ritiro.

La Commissione Prodi, la decima nella storia europea, lavorò nel solco delle regole stabilite dal trattato di Amsterdam, conferendo maggiori poteri all’esecutivo tanto che alcuni commentatori videro nel politico italiano una sorta di Primo ministro dell’Unione. Oltre all’allargamento – con il motto “unita nella diversità” – nacque la Grande Europa con 25 membri, con quasi 500 milioni di abitanti, terza al mondo dopo Cina e India.

La Commissione Prodi vide anche la sigla del Trattato di Nizza che entrò in vigore nel 2003 che introdusse nuovi elementi decisionali (più peso al voto a maggioranza) e di cooperazione rafforzata trai paesi europei. Ma soprattutto Prodi concluse i lavori per la firma della Costituzione europea nel 2004, poi rigettata dai Paesi Bassi e dalla Francia, e introdusse il metodo della convezione per i negoziati.

La diplomazia, il negoziato, il dialogo, una vera e propria cifra politica e istituzionale quella di Prodi che seguì anche nei lavori con i suoi commissari (Mario Monti era commissario alla concorrenza e con l’ingresso nell’Unione europea di dieci nuovi paesi nel 2004, nella Commissione entrarono altrettanti commissari).

La crisi dell’Europa

Durante la Commissione guidata da Prodi la nuova moneta entrò in vigore circolando liberamente in 15 paesi. Davanti al parlamento a Strasburgo nel 2001 Prodi sottolineò chiaramente il momento storico: «A ogni tappa del suo sviluppo (l’Ue), è incappata in detrattori che l’hanno definita un’utopia irrealizzabile o addirittura risibile. E invece, alla fine del 2001, vedremo apparire delle monete e dei biglietti sui quali, quando fu concepito questo progetto, furono dette cose che non ho cuore di ripetere. Eppure siamo arrivati dove siamo arrivati, e dobbiamo esserne fieri».

A dieci anni dalla fine di quel mandato che vide molti passi avanti, innovazioni importanti e sfida anticipate, rimangono incompiuti passaggi fondamentali quali la riforma istituzionale senza la quale quel processo di allargamento rischia di diventare problematico rispetto alla positività che aveva.

Le recenti elezioni di inizio giugno in Europa hanno segnato una forte astensione e una ventata di estrema destra e nazionalismo, un clima crescente di sfiducia. Il presidente Prodi nel giorno del voto del parlamento europeo alla sua Commissione usò parole chiare che oggi risuonano quasi profetiche: «Insieme, possiamo e dobbiamo mettere l’Europa al servizio dei cittadini. Dobbiamo recuperare la fiducia dei singoli cittadini nell’Europa e in una visione europea che attribuisce alle loro esigenze importanza prioritaria».

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