Il quartiere di Mitte, Berlino centro, è una bomboniera di edifici ritinteggiati di fresco, parchi grandi dove le persone si sdraiano a leggere e prendere il sole, e bar hipster dove si serve caffè proveniente da dieci paesi diversi arredati in maniera minimalistica.

Da qualche tempo è stata inaugurata anche una via interamente dedicata alle bici e chiusa alle macchine. L’affitto è sui 9mila euro a metro quadro.

Una volta però questo quartiere, a venti minuti da Alexanderplatz, era quasi tutto parte della Germania est, e dopo la riunificazione era tutt’altro che una zona ambita. Le cose sono cambiate durante il boom economico dei governi Merkel, qui e nel resto della ex Ddr: nel 2017 il reddito disponibile al netto delle tasse all’est era l’86 per cento rispetto all’ovest, nel 1991 non superava il 61 per cento.

Resta però un’ultima traccia della vecchia identità del quartiere, un’occupazione che tenta di resistere alla ridefinizione dello spirito della capitale tedesca. Il contrasto è un ottimo esempio di come la Germania arriva al voto. C’è chi vive bene e cerca la continuità, ma anche chi è stufo di sedici anni di immobilismo e chi ha ormai perso la fiducia nei partiti.

Al Weinbergpark è facile incontrare coppie che si godono la giornata ancora calda per gli standard berlinesi. Capita anche di far due chiacchiere su come sia cambiato negli ultimi sedici anni il paese: «Davvero sono già sedici anni? Non me ne sono neanche resa conto», dice una ragazza sulla trentina che con la sua amica ha appena raccolto le sue cose dopo una sessione di yoga. Ma a Berlino si vota anche per il governo della città-stato, da anni in mano alla Spd.

La «dorata via di mezzo»

«La città è diventata sicuramente più vivibile, oggi Berlino è senz’altro la città più disponibile in Europa ad accogliere gli stranieri», dice una signora di mezza età a passeggio. Se però deve pensare alla situazione del paese, fa una smorfia. «Sicuramente la signora Merkel è una tosta, ma non condivido quasi per niente la linea che ha tenuto negli ultimi sei-sette anni. Certo, sarebbe potuto essere tutto molto peggio, ma negli altri paesi chi è al governo protegge i propri cittadini, lei non l’ha fatto».

Il problema, secondo lei, è che la Germania sia diventata fin troppo accogliente: nel 2016 arrivavano anche 60mila richieste d’asilo al mese. Oggi, con la pandemia sono circa 8mila. «Capisco che dover fuggire dal proprio paese è brutto, ma quello che succede è che chi riceve tutti gli aiuti possibili poi non abbia neanche voglia di lavorare». 

L’altro tema che agita molto i berlinesi nei giorni del voto è quello del referendum sull’esproprio delle aziende che tengono in mano una grossa percentuale degli appartamenti della capitale: «Del referendum non mi faccia neanche parlare, che mi arrabbio», dice la signora. «È vero, gli affitti sono alti, ma non è l’esproprio la soluzione».

È d’accordo una coppia di pensionati vestiti in maniera elegante che poco più in là è appena scesa da un maggiolino decappottabile: «Io vivo a Spandau, un bel quartiere borghese a ovest. Ho votato stamattina, ovviamente contro l’esproprio, che è una proposta delirante», dice lui.

Gli fa eco la moglie: «Non esistono delle città che ambiscono ad avere rilevanza mondiale che hanno affitti bassi». La nuova Germania, aperta e multiculturale, gli piace: «Berlino sta diventando una città internazionale e piena di vita, come Londra e Parigi». Certo, soprattutto qua a Mitte «la vita è fin troppo frenetica, e odio la sporcizia di questa città. Anche il fatto che ci siano i graffiti sui muri e che nei parchi si accumuli l’immondizia non va bene». Quindi, per dare il suo segnale, lui e sua moglie hanno scelto oggi la «dorata via di mezzo». 

Contrasti

Sicuramente il signore non apprezza il fatto che in Linienstrasse, tra un edificio moderno di legno scuro e un altro color crema che ospita una gioielleria di design e un negozio interamente dedicato alle salse di soia, ci sia ancora una casa occupata.

La facciata  cade a pezzi ed è decorata con striscioni: uno recita «i soldati sono assassini». A Berlino dal 1970 al 2014 sono state occupati oltre 600 edifici: ad oggi, 200 progetti sono stati legalizzati. L’occupazione di “Linie 206” dura dal 1989, ma nonostante i continui tentativi di sgombero da parte del Comune di Berlino oggi rimangono 10-15 persone che vivono stabilmente nella casa. 

«In realtà tutti hanno contratti d’affitto fin dagli anni Novanta, quindi è tutto legale», dice Camo, una ragazza francese che vive nell’edificio a periodi alterni da un paio d’anni. «Nonostante i nostri tentativi di mettere i locali a disposizione del quartiere con eventi, discussioni e serate, abbiamo difficoltà a costruire un rapporto con gli abitanti di Mitte. La proprietà specula sulla nostra casa e vorrebbe abbattere l’edificio e ricostruirlo: con questa posizione si potrebbero fare tanti soldi». 

L’occupazione oggi in realtà attira soprattutto persone che non vivono nel quartiere o turisti che si fermano a fotografare l’edificio: «Siamo diventati praticamente un’attrazione turistica», dice Camo, che vede la casa come un ultimo baluardo contro la gentrificazione di Berlino. 

«Vengo da Parigi, lì questo processo è già molto più avanti, ma vedo che anche qui si stanno facendo grandi passi in quella direzione, anche sfruttando le limitazioni imposte dalla pandemia». 

Camo è poco fiduciosa nel futuro, soprattutto sul piano cittadino: «A livello federale la coalizione rosso-rosso-verde (tra Spd, Linke e Verdi) che ha governato in questi anni è stata percepita come estremamente di sinistra. La verità è che nessuno ha mai fatto tanti sgomberi come questo governo». 

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