Martedì mattina, Gabriel Attal ha piantato un acero grigio nei giardini della residenza del primo ministro, a Matignon. È la tradizione concessa ai primi ministri in carica per più di sei mesi, una durata che forse nemmeno lo stesso Attal, a un certo punto, credeva di poter raggiungere. E invece, il 35enne sembra destinato a rimanere al suo posto ancora per qualche ora.

La speranza di arrivare a una nomina entro la serata di ieri, che serpeggiava durante la giornata, si è infine conclusa con un nulla di fatto. I due nomi più quotati, quelli dell’ex repubblicano Xavier Bertrand e dell’ex socialista Bernard Cazeneuve, sembrano essersi scontrati con i veti posti dal Rassemblement national e dal Nouveau front populaire. E il nome del sindaco di Cannes David Lisnard, avanzato dal vicepresidente di Rn Sebastien Chenu, è stato smentito dallo stesso interessato.

Secondo Le Figaro, Macron dovrà ora testare nuovi nomi, con il rischio che non si arrivi ad una nomina prima di domenica, ovvero al termine delle Paralimpiadi. In quella che sembra un’interpretazione molto fantasiosa della “tregua olimpica”.

Un ritardo che rischia di far accumulare i problemi per il presidente francese. Diverse organizzazioni di sinistra scenderanno in piazza sabato 7 per protestare contro il “colpo di mano” di Macron, chiedendone le dimissioni – come ha fatto La France insoumise, che aderirà alle manifestazioni e che ieri ha presentato una proposta di destituzione firmata da circa 80 deputati. Una giornata che quindi si preannuncia intensa per l’ordine pubblico.

Inoltre, sempre ieri due membri della commissione Finanze del Senato hanno chiesto che il progetto di bilancio venga approvato entro la scadenza fissata al primo ottobre, avvertendo di una possibile crescita del deficit fino al 5,6 per cento per il 2024 e descrivendo come «catastrofica» la politica di bilancio dell’attuale governo.

Ma le crepe iniziano a palesarsi anche nello stesso campo presidenziale. In un’intervista a Le Point pubblicata martedì sera l’ex primo ministro macroniano Edouard Philippe ha annunciato la sua candidatura all’Eliseo. Ma il diavolo è nei dettagli: e dunque ciò che ha fatto più discutere è l’assenza di qualsiasi riferimento al 2027, data di scadenza naturale dell’attuale quinquennio. «Sarò candidato alle prossime presidenziali», dice Philippe, e dall’ufficio politico del suo partito, Horizons, dicono di essere stati allertati per essere pronti in vista della prossima primavera.

La sua scommessa è che il governo in via di formazione, troppo debole per resistere all’approvazione del bilancio in autunno, andrà verso un nuovo scioglimento dell’Assemblea nazionale con la rimessa in discussione anche del ruolo di Macron come presidente. Il precedente citato dall’entourage di Philippe è quello di Pompidou, che nel gennaio 1969 si candidò alle presidenziali «se il generale De Gaulle dovesse lasciare», cosa che avvenne tre mesi dopo. Un paragone in cui Macron si feliciterà di recitare il ruolo di De Gaulle.

Le reazioni del campo presidenziale, ovviamente, non sono state esattamente distese. Gli si rimprovera, ovviamente, un tempismo non proprio invidiabile (eufemismo). Nonché la scelta di tenere all’oscuro praticamente chiunque, compresi i quadri di Horizons e perfino lo stesso Macron, con cui pure Philippe si era intrattenuto lunedì sera all’Eliseo. Tanto che perfino il ministro dell’Interno Gerald Darmanin, anche lui proveniente dall’ala destra della macronie e già in passato pronunciatosi a favore di un eventuale progetto di Philippe, non avrebbe reagito benissimo.

Anche Éric Ciotti, presidente contestato dei Repubblicani e fautore dell’alleanza con i lepenisti, ha avanzato nel pomeriggio di ieri l’ipotesi delle dimissioni anticipate di Macron: «Non possiamo rimanere in una situazione di stallo», spiega, «in un dato momento, il presidente della Repubblica, se non può nominare un primo ministro, deve trarne tutte le conseguenze». L’unico esito su cui sarebbero, finalmente, tutti d’accordo.

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