L’Europarlamento ha approvato questo mercoledì il patto su migrazioni e asilo che decine e decine di organizzazioni per i diritti umani avevano implorato fino all’ultimo di bloccare. Questo è il primo dato politico: una maggioranza c’è stata.

Tra tutte le istituzioni Ue, il consesso degli eletti era per tradizione un avamposto dei diritti, pronto a difenderli anche a costo di scontrarsi col Consiglio ovvero coi governi; ora i voti favorevoli sui dieci dossier che formano il pacchetto migrazioni esibiscono lo slittamento a destra dell’Europarlamento.

Ma c’è anche un altro dato politico: poiché questi eletti sono in scadenza, e la campagna elettorale per giugno entra nel vivo, molti non sono disposti a rivendicare il pacchetto di cui sopra. Ecco allora andare in scena un valzer di scissioni: a destra c’è chi ritiene che il patto non sia abbastanza a destra, e tra i socialisti chi si rifiuta di metterci la faccia.

Alla fine maggioranza e numeri si trovano, perché la danza pre elettorale non compromette gli esiti: basti pensare che proprio Fratelli d’Italia ha garantito il suo voto a favore sui due testi più in bilico, quello sulle procedure di asilo accelerate e sulla gestione delle crisi migratorie. Una sintonia sotto traccia tra popolari e meloniani, tra vecchia maggioranza e pezzi di destra estrema, si vede anche sul patto migrazioni.

Intanto ci si posiziona per il voto di giugno. C’è il Pd guidato da Elly Schlein, che nonostante il semaforo verde del gruppo socialista al patto, dà segni di contrarietà. E che dire delle destre? La dinamica tipica tra Meloni e Matteo Salvini – lei che indossa la giacca di governo, lui che opta per la politica strillata per prenderle qualche voto – si riflette su scala Ue.

Per la compagna di gruppo della Lega, cioè Marine Le Pen, il patto in questione – tantopiù ora che il Rassemblement è primo nei sondaggi – va respinto; la Lega non supporta la maggioranza dei dossier. FdI a tratti digerisce il dossier, al punto da sciogliersi dal resto dei Conservatori. Forza Italia (Ppe) lo sostiene: in superficie, la maggioranza di governo procede sparigliata.

Nel frattempo sinistra europea e verdi denunciano che il patto appena approvato rappresenta un grave attacco al diritto di asilo. E questo – al di là degli effimeri calcoli elettorali – è un indicatore della direzione destrorsa che sta prendendo l’Ue.

Un patto controverso

Il patto non è «un azzeramento di Dublino», come invece aveva provato a far credere Ursula von der Leyen – la presidente di Commissione Ue oggi in cerca di bis – quando lo ha presentato a fine settembre del 2020. Il principio del paese di primo ingresso – che riguarda direttamente l’Italia – permane, e Giorgia Meloni non ha fatto nulla per smentire questa palese sconfitta, se non spostare l’ordine della discussione sulla «difesa delle frontiere esterne».

La solidarietà tra paesi Ue è quasi inesistente: con il patto gli stati membri devono solo condividere il risicato obiettivo di ricollocare poche decine di migliaia di persone all’anno; ma pure a ciò possono ovviare, finanziando il trasferimento in paesi terzi o la sorveglianza al confine. E la fantomatica «difesa delle frontiere» si traduce nella esasperazione di due tendenze già in corso in Ue: la compressione del diritto di asilo e la esternalizzazione a paesi terzi. Tutto ciò è innescato anche dall’annacquamento del principio di “paese terzo sicuro”.

«Questo patto assegnerà sempre più responsabilità e risorse a paesi terzi di stampo autocratico», conclude il capogruppo dei Verdi europei Philippe Lamberts. «Le nuove norme sull’asilo trasferiranno il trattamento di alcune domande fuori dall’Ue e imporranno agli stati membri norme che prolungano la detenzione dei richiedenti asilo, bambini compresi». Questo è uno dei punti più controversi del patto: non concede nessuna deroga sulla detenzione neppure per i bambini molto piccoli.

«Dopo anni di negoziati, le istituzioni Ue ora cofirmano un accordo che produrrà ancora più grandi sofferenze umane: queste riforme significheranno minore protezione e maggiore rischio di subire violazioni dei diritti umani, come respingimenti illegali e violenti, detenzioni arbitrarie e controlli discriminatori», dice Eve Geddie.

Dirige l’ufficio di Bruxelles di Amnesty International, che assieme a Human Rights Watch e ad altre centosessanta organizzazioni della società civile aveva chiesto con un appello agli eurodeputati di non avallare il patto. «Questo patto è vecchio vino in una nuova bottiglia, e in più uccide il diritto di asilo» per la sinistra europea.

Vento di giugno

«Abbiamo dato un voto contrario all’accordo sul patto perché il compromesso raggiunto è segnato da gravi manchevolezze sul versante dei diritti umani e degli interessi specifici dell’Italia», dicono gli eurodeputati del Pd, facendo notare che «questo non è il superamento di Dublino» al quale hanno (e ha, Elly Schlein) «lavorato per anni».

Il premier del Belgio, che ha la presidenza di turno in Ue, intanto già rilancia gli accordi in stile meloniano: il patto «significa che continueremo a fare accordi con paesi terzi come quelli fatti con successo con Turchia, Tunisia, Egitto… Sono gli accordi di cui abbiamo bisogno».

Esultano anche i leader del Ppe: dal capogruppo amico di Meloni, Manfred Weber, alla presidente dell’Europarlamento eletta in accordo coi Conservatori, Roberta Metsola, a von der Leyen che con la destra di Meloni è scesa a patti.

Questo patto, che il trio Ppe definisce «storico», è una esibizione di quel che in Ue si vede dal 2021: ci sono pezzi di destra estrema che vengono assimilati, e argomenti della destra estrema che penetrano i nuovi provvedimenti. Restano talvolta escluse dai giochi – per ragioni opposte – l’ala più progressista e frange sovraniste; non a caso dal Ppe arriva l’accusa strumentale «a verdi e sinistra di stare con l’Afd».

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