«Il caso Sputnik è solo l’ultima goccia che fa traboccare il vaso nella coalizione di governo a Bratislava», dice il sociologo slovacco Michal Vašečka. Il riferimento è all’accordo per l’acquisto di dosi del vaccino russo Sputnik che è costato a Igor Matovič la sua premiership in Slovacchia. Ora sarà necessario un rimpasto di governo ma dietro le dimissioni di Matovič c’è anche altro.

L’affaire Sputnik

L’Ema non ha ancora autorizzato l’uso del vaccino russo, ma nelle regole europee c’è un varco. La prima a sfruttarlo è stata l’Ungheria di Viktor Orbán. Una clausola di emergenza consente infatti a un paese membro dell’Ue di immettere sul mercato anche un vaccino non autorizzato dall’agenzia del farmaco europea se quella nazionale lo approva, ma rischi e responsabilità ricadono, a quel punto, sullo stato in questione. Il premier slovacco quindi poteva trattare per l’acquisto di dosi del vaccino russo. Lo scandalo è nato perché lo ha fatto all’insaputa dei partner di coalizione: non ha condiviso la scelta con il suo esecutivo, ma lo ha fatto con il governo ungherese. La Slovacchia è parte del gruppo di Visegrád, dove si distingue per un approccio pragmatico; confina con l’Ungheria, e proprio Orbán ha fatto da conciliatore nel negoziato slovacco con la Russia per l’acquisto delle 200mila dosi. Quando il primo marzo i flaconi sono atterrati all’aeroporto di Kosice, Matovič li ha accolti in pompa magna, attirando così l’attenzione e le ire degli alleati, soprattutto di quelli più pro Unione europea, fino a quel momento ignari della scelta di comprare da Mosca.

«È un’operazione di guerra ibrida», ha detto il ministro degli Esteri, che ha poi abbandonato il governo, sdegnato, una settimana fa. Da allora l’esecutivo Matovič non ha fatto altro che perdere pezzi: sei membri si sono dimessi negli scorsi giorni in segno di dissenso. Domenica è stato lo stesso Matovič a rimettere l’incarico. «I problemi c’erano già prima, ma il caso Sputnik è stato un’ulteriore prova che Matovič non tiene conto degli altri. Non ha informato i partner e la scena dell’aereo militare russo che atterrava è stata troppo per un paese che è stato occupato dall’Unione sovietica», dice Vašečka, che dirige il Bratislava Policy Institute.

Cambio al vertice

Il partner di coalizione che più ha premuto perché Matovič lasciasse è Sas (Sloboda a solidarita, Libertà e solidarietà), formazione di centrodestra per sua definizione «liberista e libertaria». Nel 2010 era stata proprio Sas a lanciare Matovič, ma dopo un solo anno i rapporti si erano rotti e l’imprenditore aveva fondato il movimento populista Olano, sigla che sta per “Gente comune e personalità indipendenti”. Un partito delle persone qualunque che ha fatto della lotta alla corruzione il suo principale argomento elettorale. Una scelta che si è rivelata vincente quando il paese è rimasto sotto shock per l’uccisione, nel 2018, del giornalista Ján Kuciak e della partner Martina Kušnírová. L’indignazione per un potere corrotto e in mano agli oligarchi ha spinto gli slovacchi a protestare e ha contribuito al successo della “gente comune” di Olano. Alle elezioni del 29 febbraio 2020 il partito ha ottenuto un quarto dei voti e Matovič è diventato premier di un governo di coalizione con Sas, Sme rodina (“Siamo una famiglia”, destra populista anti migranti) e Za ludi (“Per il popolo”, centrodestra pro-Ue). Richard Sulík, leader di Sas e sostenitore del libero mercato, è diventato vicepremier, e l’ex manager Eduard Heger ministro delle Finanze. Proprio Heger ora è stato indicato da Matovič come successore. O meglio, per pacificare la coalizione, è stato proposto uno scambio di ruoli. Matovič lascerà la guida del paese ma prenderà il portafoglio delle Finanze mentre Heger riceverà l’incarico di formare un nuovo governo.

La vicenda di Sputnik arriva al termine di mesi di tensioni iniziate con la cattiva gestione della pandemia. In autunno Matovič ha lanciato una campagna di test da lui detta «pari allo sbarco in Normandia», promettendo tamponi a tutti. «Lui faceva sognare la libertà, e gli enti locali facevano i salti mortali, con test spesso inesatti» dice Vašečka. Mentre Covid sfiancava il paese e i morti superavano quota 9.500, il consenso del premier calava. «L’accordo con Mosca è espressione più della sua inadeguatezza che di connessioni geopolitiche. Il tallone d’Achille di Matovič è il suo stile politico» dice Vašečka. «Mi ricorda Berlusconi. Più che un partito, quella di Matovič è un’azienda basata sul marketing. Lui oltre a fare politica fa show, coltiva il culto di sé. Arriva a paragonarsi a Gesù. Nel discorso di dimissioni ha detto che perdonava per i loro peccati chi lo ha tradito». Tra tutti i limiti, uno gli è stato più letale di altri: aver escluso dalle decisioni i partner di coalizione.

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