È appena successo con la Polonia di Donald Tusk, ma è un vero e proprio schema che si ripete: Ursula von der Leyen presidente dà, Ursula von der Leyen candidata prende.

Poche ore prima di andare a Katowice, dove è intervenuta questo martedì per la sua campagna elettorale, ha annunciato la chiusura della procedura dell’articolo 7 (quella sulle violazioni dello stato di diritto) che era in corso contro la Polonia. È vero che il governo di Donald Tusk si sta muovendo alacremente per ripristinare gli equilibri democratici smantellati dagli ultraconservatori del Pis. Ma la coincidenza tra decisioni presidenziali e incontri elettorali non è un caso isolato.

«Per l’ennesima volta von der Leyen abusa delle sue prerogative per i propri vantaggi politici», commenta con Domani il giurista Alberto Alemanno.

Lo schema della presidente

Si tratta di una tattica utilizzata con frequenza dalla esponente del Ppe. Sa bene che senza il sostegno dei leader europei un suo secondo mandato è da escludere, ed è per questo che – sempre di più – li asseconda.

Le gite in Italia o in Tunisia appresso a Giorgia Meloni e alla sua agenda vanno sommate alla spinta sui fondi all’industria militare, tanto cara a Emmanuel Macron. E poi ci sono i fondi sbloccati a Viktor Orbán alla vigilia di un Consiglio europeo sul quale pesavano i ricatti del despota ungherese, le vacanze nella casa estiva del premier greco Kyriakos Mītsotakīs a dispetto degli scandali che lo riguardano. E che dire dei sorrisi esibiti nel giorno del congresso Ppe al possibile competitor, il premier croato Andrej Plenković?

Lo schema non si limita ai leader: c’è lo smantellamento brusco dell’agenda verde per compiacere destre e agroindustria, ci sono le deroghe dell’ultimo minuto alla politica agricola e i regali di fine mandato all’industria militare, ci sono le nomine ai compagni di partito (uno per tutti, Markus Pieper, che dopo lo scandalo ha dovuto rinunciare).

Già a inizio mandato, da presidente, von der Leyen ha adottato uno stile accentratore e personalistico, violando in più occasioni il principio di collegialità e arrivando a negoziare per messaggini privati i contratti Ue sui vaccini. Ma adesso che è anche ufficialmente candidata a un bis, con la pettorina di spitzenkandidat dei Popolari, la deriva è elevata a potenza, perché per la propria corsa elettorale von der Leyen utilizza in modo personalistico i poteri presidenziali.

Le «vaste alleanze»

Con la Polonia l’esempio è lampante.

Lunedì – in qualità di presidente della Commissione – von der Leyen ha annunciato «l’inizio di un nuovo capitolo» per il paese. «Dopo oltre sei anni, ora la procedura dell’articolo 7 può essere chiusa». A fine febbraio, il ministro della giustizia polacco Adam Bodnar aveva presentato a Bruxelles un piano d’azione per ripristinare lo stato di diritto, che il governo precedente – alleato di Meloni – aveva compromesso su più fronti, dall’indipendenza dei giudici a quella dei media.

Ma per rimettere in sesto una democrazia non basta la volontà, né poche settimane. Von der Leyen però a inizio settimana doveva andare in Polonia per la campagna del Ppe, dunque ha sparato l’annuncio. Non le serve solo il supporto di Tusk per il suo bis; deve pure fargli digerire quelle che a Katowice ha chiamato «le vaste alleanze»: tra esse include l’Ecr, il gruppo di Meloni e del Pis…

«Chiudere la procedura dell’articolo 7 – dice il giurista Alemanno – è manifestamente prematuro. Von der Leyen l’ha deciso da candidata (per l’appoggio di Tusk) a dispetto di quel che dovrebbe fare da presidente».

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