L’inchiostro che nel corso di questi anni abbiamo riversato sulle pagine dei giornali, dei libri e dei muri del nostro paese per denunciare la mattanza contro noi donne è pari al sangue versato da tante nostre sorelle che hanno smesso di esistere per colpa di uomini che, a un certo punto, hanno deciso che il loro termine di possesso doveva diventare totale e tombale.

Il sangue, le urla, la violenza evapora e scompare ogni giorno come se ogni femminicidio prima non fosse esistito e lo sconcerto e le ipotetiche soluzioni sembrano sempre arrivare troppo tardi.

Diciamolo con chiarezza: per la maggioranza degli uomini di questo paese se ci picchiano la colpa è la nostra, se ci violentano la colpa è la nostra, se ci ammazzano la colpa è sempre la nostra. Siamo le colpevoli per eccellenza anche in quanto madri perché i nostri figli, lo raccontano le sventurate cronache giudiziarie, sono il mezzo per rivendicare un possesso. Siamo noi che provochiamo, le ingrate di oggi, le streghe di ieri, le «fattucchiere» per citare il nuovo eroe della destra Vannacci. È questo riflesso così assurdo che va spezzato, è a questo vento culturale e sociale che dobbiamo opporci, facendo entrare nelle stanze asfittiche del patriarcato un vento nuovo che non consenta più nulla di quanto persiste.

Una porzione importante delle donne conservatrici di questo paese si crede immune dalla violenza patriarcale, convinte che un patto di coesistenza sia la via migliore anziché rovesciare il tavolo. Il lavoro che con coraggio abbiamo condotto in Europa su questi temi indica una strada praticabile.

La direttiva

Da mesi siamo al lavoro per approvare una direttiva contro la violenza sulle donne, che reprima fortemente questo fenomeno in maniera omogenea in tutti gli stati membri, ma soprattutto che rafforzi il supporto e la prevenzione.

Stiamo lavorando a un testo che affronti diversi aspetti di questo crimine i cui messaggi principali sono che quando non c’è consenso in un rapporto si tratta di stupro e che il tempo per la denuncia non ne inficia la fondatezza.

Un concetto se vogliamo banale, ma che in Italia, come in molti altri paesi europei, sembra non voler essere assimilato.

Ma l’Europa potrebbe fare molto di più. Abbiamo infatti richiesto formalmente che la violenza di genere diventi un cosiddetto “eurocrimine” nei trattati, per dare realmente ancora più mezzi concreti all’Ue in questa battaglia. Servirà il consenso dei governi nazionali.

Vi sono inoltre alcune proposte che giacciono dimenticate da troppo tempo, volte a rafforzare gli strumenti a nostra disposizione. Scegliamo insieme i percorsi più veloci per approvarli. In parlamento, sede naturale di queste discussioni. Ma il contributo del governo, come sappiamo, sarà fondamentale.

Come ho già avuto modo di ribadire alla ministra Eugenio Roccella, il tempo dell’azione radicale è adesso, per proteggere le donne di oggi e di domani e per crescere uomini che non abbiano solo timore di un reato ma che siano alleati nella costruzione di una società più giusta dove il femminicidio, la violenza e il patriarcato siano un nefasto ricordo.

Ci siamo appellati più volte negli scorsi mesi alla presidente del Consiglio e alle forze dell’attuale maggioranza affinché insieme si potessero definire le azioni normative necessarie al contrasto. Le risposte sono state fin qui cortesi, ma insufficienti.

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