Firma la petizione su Change.org per chiedere la liberazione di Ikram Nazih e un’azione più incisiva del governo italiano.


L'espressione è rassicurante. «Il Marocco è per l’Italia un Paese strategico nella regione mediterranea non soltanto a livello nazionale, ma anche europeo». Lo dice il rapporto dell'osservatorio economico del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale che racconta gli ottimi rapporti tra Roma e Rabat. Un concetto ribadito dallo stesso ministro dell'Interno Luciana Lamorgese che lo scorso luglio, durante la sua visita ufficiale in Marocco, ha sottolineato come i due Paesi siano stretti da una "forte amicizia".

Un legame solido che acquista nuovo significato dopo il caso di Ikram Nazih, la studentessa italo-marocchina condannata a 3 anni di carcere per blasfemia. L'accusa si basa su un post su Facebook che la ragazza ha condiviso nel 2019 e che con un gioco di parole trasformava la sura coranica dell'Abbondanza in "sura del whisky”.

Il caso continua a essere trattato dalle nostre autorità con molta cautela e riducendo al minimo le informazioni. Lo conferma anche la recente vicenda dell'ambasciatore italiano in Marocco, Armando Barucco, che era stato convocato dalla commissione diritti umani del Senato per il 5 agosto. La sua relazione in videoconferenza era finita in calendario ma senza la solita diretta streaming. La seduta della commissione è poi saltata ed è stata rinviata a settembre, quando i parlamentari torneranno dalla pausa estiva, perché i lavori in aula sono andati avanti a oltranza.

Una partnership economica di peso

Che il caso di Ikram sia delicato lo si evince non solo dalla situazione politica marocchina ma anche dai numeri degli scambi commerciali tra Italia e Marocco.

Le relazioni tra Roma e Rabat hanno, infatti, registrato negli ultimi anni una continua crescita, interrottasi solo a causa della pandemia. Nel 2020 l’Italia si è posizionata come settimo fornitore e quinto cliente del Regno, mentre fra gennaio e aprile 2021 l'interscambio fra i due paesi ha raggiunto 1,185 miliardi di euro.

Tra le aziende che operano nel Paese ci sono Stellantis (ex Fiat) ed Eni che nel dicembre 2017 ha firmato con la compagnia di Stato Onhym (Office national des hydrocarbures et des mines) un nuovo accordo per l’acquisizione dei permessi esplorativi I-XII della licenza Tarfaya Offshore Shallow, all'interno della quale il cane a sei zampe opera con una quota di partecipazione del 75 per cento.

I permessi riguardano un'area di 23.900 chilometri quadrati di mare sul margine atlantico e al largo delle città di Sidi Ifni, Tan Tan e Tarfaya.  A marzo 2019 Eni ha ceduto il 30 per cento della sua partecipazione a Qatar Petroleum e, a valle dell’approvazione da parte delle autorità, resterà operatrice con una quota del 45 per cento.

«In Marocco c'è una presenza italiana storica», spiega Raffaele Cattedra, professore di geografia della globalizzazione all'Università di Cagliari e ricercatore con esperienza decennale in Marocco. «Sono relazioni che vanno avanti da quando il paese era ancora un protettorato francese. Allora molti italiani si trasferirono dalla Tunisia e dall'Algeria. Ma quello che unisce i due Paesi è anche la forte presenza della comunità marocchina in Italia».

Secondo il rapporto del ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, i cittadini marocchini in Italia sono 428.835 la comunità più numerosa tra i i cittadini non comunitari. Anche le loro rimesse economiche verso la madrepatria sono cospicue: nel 2019 ammontavano a circa 327,9 milioni di euro.

Nel novembre del 2019, il ministro degli Esteri Luigi di Maio ha firmato con il Marocco un accordo di partenariato strategico per contrastare l’immigrazione irregolare e per facilitare gli investimenti sulla scia degli accordi che intercorrono tra Roma e Rabat dalla metà degli anni Ottanta, tra cui il primo accordo di cooperazione  per la lotta contro il terrorismo, la criminalità organizzata e il traffico di droga del 1987 e il primo patto sul rimpatrio dei migranti marocchini espatriati del 1988.

Al termine della sua visita a Rabat, Di Maio dichiarò che il nuovo accordo di partenariato strategico sarebbe stato “un modello e una fonte di ispirazione a livello europeo".

Il nodo della vendita di armi

© CityFiles/Lapresse 25-11-2004 Brasilia Brasile Esteri Il re del Marocco Mohammed VI in visita ufficiale in Brasile Nella foto: il re del Marocco MOHAMMED VI Only Italy

Infine ci sono le armi. Nel quinquennio 2016-2020 l’Italia ha autorizzato esportazioni di materiali militari verso il Marocco per circa 91,6 milioni di euro che divise per anno rappresentano poco più di 18 milioni di euro, l'1 per cento della media annuale delle nostre esportazioni complessive. Una quota che sembra marginale ma non lo è.

«Si tratta di cifre che comunque destano preoccupazione», dice Giorgio Beretta, analista Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa). «Perché dobbiamo considerare le reiterate violazioni dei diritti umani in Marocco, in particolare del popolo saharawi».

Inoltre, le vendite di armi potrebbero intensificarsi a breve. Secondo indiscrezioni della stampa marocchina, Rabat ha manifestato l'intenzione di acquistare almeno due nuove fregate multiruolo di classe Fremm da Fincantieri.

La flotta marocchina dispone già di una Fremm francese, acquistata nel 2007 ed entrata in servizio nel 2011, ma ora il Regno nordafricano vorrebbe averne altre due di configurazione italiana.

«E' necessario che l’autorizzazione alla vendita delle fregate al Marocco venga analizzata e discussa in parlamento e non è accettabile che sia affidata solo all’esame di qualche organo dell’esecutivo o dell'autorità amministrativa che rilascia le licenze», conclude Beretta. «L’intenzione del Regno del Marocco di rafforzare la propria influenza nel Mediterraneo incrementando la propria capacità bellica è evidente. Non è invece per niente chiaro il ruolo politico che l’Italia, assieme ad altri paesi europei, intende svolgere in questa vicenda».

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