E se nelle università stesse arrivando un nuovo ‘68, come pensa Mario Capanna, il leader della protesta di quegli anni; e se a lei, a Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della ricerca, toccasse la parte di stare dall’altra parte della barricata rispetto agli studenti e alle studenti? «Non vedo un nuovo ‘68», risponde. Ma soprattutto, ad ascoltarla bene, non sta neanche dall’altra parte della barricata.

Ministra Bernini, le faccio una breve antologia di dichiarazioni della sua maggioranza: il ministro dell’Interno Piantedosi parla di esseri umani come di “carichi residuali”, il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida di “sostituzione etnica”, il candidato leghista Vannacci dice che gli omosessuali non sono “normali”: ma lei, che è liberale e a favore dei diritti civili, che ci fa in una maggioranza così?

Le espressioni dei ministri Piantedosi e Lollobrigida, cui fa riferimento, sono state ampiamente travisate e ampiamente chiarite. Non mi sottraggo alla domanda su Vannacci. Il mio partito, da sempre, esprime una cultura moderata, liberale, inclusiva. Trovo le posizioni del generale Vannacci uno sfregio alla cultura della tolleranza e un inquietante inno alla cultura dell’odio.

Matteo Salvini ha sbagliato a candidare il generale?

Non mi intrometto nelle scelte altrui. Salvini ha scelto lo schema di una competizione da destra, nella maggioranza. Questo dà a Forza Italia una responsabilità maggiore: rappresentare anche quei moderati a disagio rispetto a queste scelte. Credo che le priorità degli imprenditori del Nord e dell’Italia che lavora e produce siano la crescita e il fisco, non questa paccottiglia ideologica regressiva. Forza Italia sarà la loro casa.

Negli Stati uniti duemila studenti sono stati arrestati nei campus durante le proteste contro il massacro palestinese; altre proteste sono in corso a SciencePo di Parigi. E anche in Italia ci sono cortei e manifestazioni nelle università.

È un momento delicato in cui le università risentono del clima di forte tensione internazionale. È interesse del paese salvaguardarle come spazi di democrazia. La protesta, il dissenso, la critica, anche aspra, sono espressioni del tutto legittime. Il vero discrimine, inaccettabile e invalicabile, è la violenza. Impedire a qualcuno di parlare è l’opposto della democrazia.

In Italia però abbiamo già visto troppe immagini di manganelli sugli studenti. Il Viminale sottolinea di non aver mai cambiato le regole per le forze dell’ordine, ma si percepisce un clima approvazione per gli agenti dallo sfollagente facile.

Su Pisa il ministro dell’Interno ha chiarito in Aula. Rifiuto l’immagine caricaturale di un clima repressivo. Biden ha detto: “Il diritto alla protesta non significa diritto al caos. Non siamo uno stato autoritario che silenzia le persone e reprime il dissenso, ma non siamo neanche un Paese senza legge”. Lo condivido come approccio e, al contempo, sottolineo che in Italia la situazione appare ampiamente più sotto controllo. Non c’è il caos.

Presto lei incontrerà il ministro dell’interno Piantedosi. Siete per il “pugno duro”?

Né misure speciali né lassismo. Riuniremo il 13 maggio, e ringrazio Piantedosi della solerte attenzione, il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza allargato alla Crui (la Conferenza dei rettori ndr). Sarà l’occasione per condividere le preoccupazioni dei rettori e fare un punto. In una democrazia la vera misura speciale è la responsabilità. E la responsabilità consiste nel coniugare una battaglia culturale con l’intransigenza verso chi è fuori dal perimetro democratico.

In concreto cosa significa?

Che vanno coniugate sicurezza e libertà di espressione. Le università non sono zone franche per i reati. Garantire la sicurezza significa garantire la libertà di studiare e anche di manifestare civilmente. I rettori saranno al tavolo perché a loro è affidata in prima battuta la sicurezza negli Atenei e la valutazione di una gestione in proprio o con il supporto delle forze dell’ordine. È chi impedisce a chiunque di parlare che nega la libertà, non le forze dell’ordine cui va il mio ringraziamento.

Nelle manifestazioni c’è sempre un fesso che dice cose inascoltabili. Ma non rappresenta tutti gli altri. Lei ha fatto l’università a Bologna, avrà vissuto situazioni simili.

Ci sono i fessi e ci sono i furbi, che vogliono creare un clima in cui si fa di tutt’erba un fascio dentro il quale si verificano episodi di intolleranza: critica al governo israeliano, odio verso quel popolo, sentimenti anti-occidentali. Nella confusione c’è chi si sente legittimato a iniziative all’insegna dell’antisemitismo che nulla hanno a che fare con le critiche legittime. E qui occorre anche la battaglia culturale che le dicevo.

Gli studenti che chiedono che siano interrotte le collaborazioni con le università israeliane, in particolare quelle sulle tecnologie “dual use”, che possono essere anche ricerca militare, non hanno qualche ragione?

Quando sono stata in Israele per negoziare alcune collaborazioni ho incontrato colleghi che mi ricevevano la mattina perché il pomeriggio andavano a protestare contro la riforma della giustizia del governo Netanyahu. Vogliamo lasciarli soli? Questo è un punto cruciale: le università sono il luogo della ricerca e del libero pensiero per eccellenza. Identificarle con i governi è un errore fatale. Un conto sono gli evidenti errori di Netanyahu un conto è il rapporto con popolo israeliano, che va salvaguardato e mantenuto.

Il “dual use” però è un tema che divide a tutte le latitudini, tanto più in tempi di guerra.

Internet, come noto, è nato per le comunicazioni militari, poi è diventato lo strumento che è oggi. Spesso la tecnologia civile deve molto a quella militare.

Insomma il suo ministero non interromperà nessuna collaborazione con Israele, neanche nei bandi per l’ottica, che possono servire direttamente all’industria delle armi?

Neanche. Il nostro Paese, a proposito di ottica, è candidato ad ospitare in Sardegna Einstein Telescope, un’infrastruttura capace di captare in maniera innovativa le onde gravitazionali con moltissime ricadute positive. Lula, in piena Barbagia, diventerà una città della scienza. La diplomazia scientifica e culturale catturano porzioni di territorio. Anche a Caivano sabato abbiamo inaugurato un polo interuniversitario: i corsi partiranno a settembre.

Su Caivano il governo con una mano dà l’università, ma con l’altra ha fatto un decreto che manda anche i minorenni nelle carceri degli adulti, che spesso sono università di delinquenza professionale.

A Caivano abbiamo agito da un lato sul fronte delle pene, dall’altro con un poderoso investimento sul sociale. Un’azione lodata, in primis da don Patricello, il parroco anticamorra. Nello specifico del mio ministero, oltre a inaugurare il polo universitario, abbiamo immaginato percorsi che riducano il più possibile il tempo fra la formazione e il lavoro. Dentro locali sequestrati alle famiglie della camorra ci sono le Università ma anche l’alta formazione artistica, musicale e coreutica, cioè accademie e conservatori. Nelle chiese ci sono studenti che stanno cominciando a imparare a fare i tecnici del restauro, un lavoro che si fa non solo con i pennellini ma anche con l’intelligenza artificiale. Una parte di questi percorsi li portiamo anche in carcere, dove c’è un tasso di recidiva ancora troppo alto. L’idea è di dare un’alternativa, far vedere concretamente che un’altra vita esiste.

Lei ha affrontato il tema del caro affitti per gli universitari, che significa diritto allo studio, in collaborazione con i sindaci. Però il suo governo non ha rifinanziato il fondo per gli affitti. Anche qui, con una mano date, con l’altra togliete?

Non è così. Abbiamo stanziato sull’housing 1,2 miliardi, anche dai fondi Pnrr, su un target ambizioso di 60mila posti letto in più da qui al 2026. Ci consentirà di superare un ritardo storico del nostro Paese con una misura strutturale. In tre modi: con un bando pubblico-privato perché se facessimo tutto pubblico non riusciremmo a rispettare la scadenza; cofinanziando le università perché destinino i loro immobili agli studentati; infine un protocollo con il demanio, per riqualificarli gli immobili abbandonati con una rapida progettazione.

Lei parla di diplomazia della ricerca: è immaginabile un’università del Mediterraneo?

Basta federare le università che già esistono, all’interno di una visione che fa del Mediterraneo un asset strategico. In Africa si gioca il futuro dell’Europa: Putin, che la destabilizza con la Wagner lo ha capito bene così come la Cina che investe in infrastrutture. È ora che l’Europa batta un colpo e l’Italia può esercitare un ruolo decisivo. Questa è al grande intuizione del piano Mattei. E, nel quadro di un grande progetto per l’Africa, l’alta formazione è un pilastro strategico. Abbiamo siglato accordi con la Tunisia e, nelle prossime settimane, sarò in Algeria e vedrò il ministro del Marocco a Roma.

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