A Torino, la città dove è nato, insegna e si è candidato a sindaco nella passata tornata di amministrative, Ugo Mattei viene chiamato “cavallo pazzo”. Colpa del carattere bizzoso: chi lo incontra in aula di tribunale o lo guarda arrabbiarsi in televisione capisce subito le ragioni del soprannome.

Figlio delle battaglie politiche del ’77 e cresciuto nel mito della zia Teresa, partigiana genovese eletta in assemblea costituente e artefice della sua formazione politica, l’irruenza l’ha conservata anche ora che ha superato i sessant’anni.

I capelli arruffati e l’accento sabaudo sono diventati noti ai telespettatori dopo alcune sfuriate sulla questione vaccini, che oggi rischiano di inghiottirne il profilo.

Contrario alle restrizioni del lockdown prima e all’obbligo vaccinale poi, porta avanti posizioni vicine al movimento no green pass e, da Piazza Pulita a  L’aria che tira, ha litigato con buona parte degli ospiti invitati a confrontarsi con lui.

L’ultima dichiarazione alla trasmissione Dimartedì, dove ha detto che il certificato verde «funziona in una logica estorsiva, viene utilizzata la minaccia di perdere il lavoro per imporre un trattamento sanitario sperimentale» e alcuni scivoloni sui dati citati nelle scorse settimane gli hanno attirato contro l’etichetta di divulgatore di fake news.

È anche il rappresentante legale dei deputati che hanno presentato ricorso alla Corte costituzionale contro l’obbligo di green pass a Montecitorio, perché lederebbe il «diritto di poter esercitare il mandato ricevuto dal corpo elettorale».

Eppure, quello di Mattei non è il profilo dell’urlatore di professione dal piccolo schermo né quello dell’esibizionista in cerca di visibilità. Piuttosto, è un estremista per carattere che non sa quando premere il freno.

Un «idealista sovversivo, che si mette nei panni dei perdenti dei processi sociali. Il problema è che lo comunica nel modo sbagliato e così diventa l’utile idiota della comunicazione mainstream», spiega uno dei suoi tanti allievi dell’università, che ancora lo ricorda con affetto. Del resto, il suo è un percorso accademico che poco sembra attagliarsi al profilo della macchietta da talk show.

Il giurista

Piemontese di nascita e giurista di formazione, Mattei è diventato professore ordinario di diritto civile giovanissimo all’università di Trento.

Conquistata la cattedra ad appena 28 anni, quattro anni dopo se ne è aggiudicata un’altra in diritto internazionale comparato all’Hastings College of the Law dell’Università della California succedendo a Rudolf Schlensinger, giurista tedesco trasferito negli Stati Uniti e considerato uno dei padri del diritto comparato.

Nel 1997 ha preso il posto di un altro dei suoi maestri – l’antesignano degli studi comparatistici in Italia Rodolfo Sacco – nell’insegnamento di diritto civile all’Università di Torino.

Con una carriera notevole a metà tra l’Europa e gli Stati Uniti, Mattei ha diviso la sua attività di giurista tra l’accademia e le aule di giustizia: da avvocato ha sposato in particolare le lotte che lui definisce “neoliberiste”, perorandole spesso fin davanti alla Corte costituzionale.

È stato uno dei legali del movimento No Tav e dell’esperienza del Teatro Valle occupato di Roma, nel 2009 ha redatto i quesiti referendari contro la privatizzazione dell’acqua pubblica e ha difeso gli esiti del referendum nei ricorsi alla Consulta.

Nel 2019 ha accettato di scrivere il ricorso costituzionale promosso dalla regione Piemonte contro i decreti immigrazione di Matteo Salvini. Nella difesa dei diritti e dei cosiddetti i beni comuni, Mattei ha avuto come maestro Stefano Rodotà, al cui nome oggi lo lega però una scia di polemica.

Il caso Rodotà

L’8 dicembre Mattei ha organizzato a Torino un incontro tra “intellettuali no green pass”, insieme a Massimo Cacciari, l’ex direttore di Rai 2 Riccardo Freccero e al filosofo Giorgio Agamben. Il nome scelto è quello di “Commissione dubbio e precauzione” e dovrebbe essere un think tank di controinformazione sul green pass e sui vaccini.

L’iniziativa gli è costata la condanna di buona parte del mondo accademico e anche uno scontro con la famiglia del giurista morto nel 2019.

Secondo la locandina, l’incontro doveva essere trasmesso via social dalla pagina Facebook “Generazioni Future Rodotà”. L’organizzazione, di cui Mattei è presidente, è la prosecuzione dell’esperienza del Comitato Popolare di Difesa dei Beni Pubblici e Comuni “Stefano Rodotà” (detto Comitato Rodotà).

Il comitato è nato nel novembre 2018 a dieci anni dai lavori della Commissione Rodotà, che nel 2007 era stata incaricata dal ministero della Giustizia di redigere uno schema di disegno di legge delega per la riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici.

Su questa pagina Facebook già in passato erano stati trasmessi i convegni organizzati da Mattei, anche sul delicato tema dei vaccini e su posizioni negazioniste.

Nel caso del convegno con Cacciari, Freccero e Agamben, il clamore mediatico dell’accostamento del nome di Rodotà a posizioni no green pass ha fatto insorgere la famiglia, che ha chiesto la cancellazione del nome.
«Sarebbe come se l’Istituto Gramsci non potesse usarne il nome in una propria iniziativa! In ogni caso, nell’assoluto rispetto della sensibilità di tutti, che caratterizza lo stile di Generazioni Future, ho organizzato la rimozione fin da subito del nome», ha scritto Mattei su Facebook.

Il rapporto col maestro

Eppure, Mattei e Rodotà hanno avuto un rapporto di amicizia solido iniziato nel 1983 e che è durato fino alla fine. Ancora oggi, Mattei ne parla come di un padre, una figura con cui continua a confrontarsi «ma cui cui non ho mai avuto una relazione deferente ma sempre dialettica».

A separarli – elemento ricorrente per Mattei – il carattere. Secondo chi li ha conosciuti e frequentati, le discussioni più accese tra i due erano causate proprio dalla volontà di Mattei di convincere il maestro ad abbracciare posizioni più estreme.

Due gli episodi di rottura più eclatanti. Il primo, nel 2011, quando a palazzo Chigi arrivò il governo tecnico di Mario Monti. Mattei, contrario per principio agli esecutivi del presidente, lo considerava anche peggio del governo Berlusconi ed eterodiretto da «poteri globali». Rodotà, invece, ne diede un iniziale giudizio positivo con cui l’allievo polemizzò apertamente.

Il secondo, invece, ha riguardato la candidatura di Rodotà al Quirinale. Mattei racconta di aver lavorato per costruirla, cercando ad uno ad uno alcuni intellettuali d’area Cinque stelle per promuoverla alle quirinarie online, «tutto all’insaputa di Stefano».

Quando la possibilità di eleggerlo sembrava concreta, però, arrivò lo scontro. Mattei voleva il gesto forte di rottura sistemica e lo spinse a fare una conferenza stampa e di rivendicare la votazione popolare. Rodotà, invece, si rifiutò.

Poi, dopo l’elezione di Napolitano, Mattei gli consigliò di andare insieme a Beppe Grillo in piazza a Roma. «Fatti proclamare presidente davanti al popolo», avrebbe detto Mattei. Inimmaginabile per Rodotà, che infatti rimase fermo sulle sue posizioni con un deciso: «Io sono contrario alle marce su Roma».

L’arrivo del Covid

Per capire come Mattei abbia spostato il fuoco delle sue battaglie sui vaccini e sul green pass, bisogna tornare al 2020, quando il governo Conte ordina le prime restrizioni perché il Covid sta iniziando a diffondersi in modo drammatico.

È allora che Mattei inizia ad articolare le sue critiche sul lockdown: «In Italia c’è un abuso costante del potere esecutivo rispetto al potere legislativo», spiega in una intervista a Affari Italiani.

Poi, con l’arrivo delle restrizioni sanitarie, declina in quest’ottica il concetto di “beni comuni” che prima veniva applicato alle risorse idriche e all’ambiente. Dove, secondo Mattei, le risorse pubbliche vengono spostate verso il privato invece di individuare strategie diverse, considerano «il vaccino l'unica possibile via per curare la pandemia, quindi tutti i denari pubblici che si investono in sanità vanno alle case farmaceutiche che producono il vaccino». Un processo che trascinerebbe ogni cosa sotto il «controllo del capitale privato».

A chi glielo chiede, parla apertamente di un «rischio di ritorno al regime» e vede nel presente «le stesse condizioni di poco prima del delitto Matteotti» e spiega il suo fervore con l’imperativo che lo ha sempre trascinato: opporsi. «Alla finanza globale, al sovvertimento delle regole costituzionali, al potere del capitale».

Il dubbio

A sorprendere, tuttavia, è quanto sia forte in lui il dubbio, tanto che la parola ritorna anche nel nome del suo think tank. «Starò esagerando?», si domanda spesso quando ragiona.

Anche perché le sue posizioni estreme, se hanno avvicinato nuovi attivisti all’ex Comitato Rodotà, hanno anche allontanato alcuni degli storici membri del gruppo che non si sentono rappresentati dalle nuove istanze. Tuttavia, Mattei prosegue dritto per la sua strada, nonostante il clamore mediatico e gli addii di molti amici.

Chi con lui ha lavorato non si aspettava nulla di diverso: «Ugo è un dissenziente, cerca di portarti sulle sue posizioni e lo scontro dialettico lo carica a molla». Soprattutto in televisione, dove in molti lo sconsigliano di continuare ad andare. Anche questo dubbio gli è venuto, ma l’ha risolto sempre nel solito modo: andando avanti.

«So che non sono bravo coi tempi televisivi, ma poi penso che se alcune questioni non le porto io chi lo farebbe? Magari qualche pagliaccio. E io posso passare da iracondo, ma difficilmente da pagliaccio».

Mattei si sente a suo modo a capo di una nuova resistenza partigiana, simile a quella di zia Teresa. Da giurista cerca di falsificare le sue tesi, ma più lo fa e più si fortifica nelle sue convinzioni. Vede i mostri della finanza angloamericana, soffre il silenzio della borghesia e «l’accucciamento dell’università sulle gambe del potere».

E allora va avanti da solo. Fino a dove ancora non sembra averlo chiaro nemmeno lui: intanto nel no al green pass e al non vaccinarsi. Poi, però, torna quel dubbio: «Non è che mi sbaglio?». Ma per ora la risposta rimane no, anche se la maggioranza gli dice il contrario.

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