Standing ovation per Sergio Mattarella all’assemblea di Confindustria, ieri mattina all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Anche anche qui il capo dello stato svolge la sua «pedagogia costituzionale», ovvero cita gli articoli della Carta che riguardano i diritti e i doveri dell’attività di impresa. «L’economia di mercato non pone in discussione valori costituzionalmente rilevanti, quali il rispetto della dignità umana e il dovere di solidarietà», e ricorda «l’articolo 35, relativo alla tutela del lavoro, il 36, sulle condizioni di lavoro, o il 37 sulla donna lavoratrice. È anzitutto il tema della sicurezza sul lavoro che interpella, prima di ogni altra cosa, la coscienza di ciascuno». Colpiscono le parole scelte sul tema delle retribuzioni: «Prima di ogni altro fattore, a muovere il progresso è il “capitale sociale” di cui un Paese dispone. Un capitale che non possiamo impoverire. È una responsabilità che interpella anche il mondo delle imprese: troppi giovani cercano lavoro all’estero, per la povertà delle offerte retributive disponibili».

Un passaggio che è difficile non contrapporre alle parole che poco prima aveva pronunciato il presidente degli industriali Carlo Bonomi nella relazione introduttiva: Confindustria «resta convinta che la mera introduzione di un salario minimo legale, non accompagnata da un insieme di misure volte a valorizzare la rappresentanza, non risolverebbe né la grande questione del lavoro povero, né la piaga del dumping contrattuale, né darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva» e se «la Costituzione ci obbliga a riconoscere al lavoratore un salario giusto» questa funzione «è affidata alla contrattazione». Bonomi aggiunge le richieste sulla finanziaria: innanzitutto rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale .

Ad ascoltare gli esegeti del campo delle opposizioni, in realtà quella di Bonomi non sarebbe una bocciatura senza appello del salario minimo. Ma insomma, a differenza dei colleghi riuniti due settimane fa a Cernobbio, qui gli industriali esprimono molta diffidenza nei confronti dell’iniziativa delle opposizioni, e anzi tendono una mano al governo che cerca una strada per dire no senza pagarne lo scotto in termini di consenso. In parlamento si attende la scadenza della sospensiva votata alla camera il 3 agosto e la “proposta” che la premier Meloni ha affidato al Cnel.

D’altro canto Bonomi è freddo con le riforme del governo: «Guardatevi dal compiere lo stesso errore di sempre. Evitate di progettare interventi sulla forma di Stato e sulla forma di governo maturati e ispirati da una dialettica divisiva, aliena per definizione dalla serietà con cui proporre e giudicare impianti istituzionali così rilevanti per la democrazia e la libertà del nostro Paese». Se non è una bocciatura dell’elezione diretta del premier, poco ci manca.

Il Pd applaude Mattarella

Intanto però le opposizioni incassano quello che leggono come un appoggio del capo del Quirinale alla loro battaglia. Parla il capogruppo Pd al senato Francesco Boccia: «Diciamo al presidente Bonomi che certo è necessario rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale per abbassare le tasse sul lavoro e aiutare le imprese, ma che il salario minimo è condizione per una società equa in cui sia riconosciuta la dignità del lavoro di ogni cittadino». Più severo il deputato Arturo Scotto: «Il riferimento al salario giusto in contrapposizione al salario minimo è una questione di lana caprina. Il tema è una politica per alzare i salari. Tema a cui nemmeno Confindustria può sfuggire. A meno che non si pensi che 9 euro lordi l’ora sia un lusso eccessivo. Allo stesso tempo, finiamola di mettere in alternativa il salario minimo e la contrattazione. La nostra proposta aggancia il salario minimo ai minimi tabellari dei contratti più rappresentativi, settore per settore». In ogni caso il Pd accoglie come ossigeno le parole di Mattarella, anche in vista della partecipazione alla manifestazione della Cgil il prossimo 7 ottobre, certamente sgradita alla maggioranza. 

Del capo dello stato le opposizioni apprezzano, ma senza troppo sottolinearlo per non “tirarlo per la giacca”, il passaggio su quello che una democrazia non può permettersi, e cioè «ispirare i propri comportamenti, quelli delle autorità, quelli dei cittadini, a sentimenti puramente congiunturali», con il prevalere «di ansia, di paura». Cita Franklin Delano Roosevelt: «La sola cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa». Due gli errori da evitare: «Una reazione fatta di ripetizione ossessiva di argomenti secondo i quali, a fronte delle sfide che la vita ci presenta quotidianamente, basta denunziarle senza adeguata e coraggiosa ricerca di soluzioni» oppure peggio «cedere alle paure, quando non alla tentazione di cavalcarle, incentivando - anche contro i fatti - l’esasperazione delle percezioni suscitate». Dalla prima fila lo ascoltano Meloni e i presidenti delle camera La Russa e Fontana; c’è quasi tutto il governo, tranne Matteo Salvini. Naturalmente il presidente enuncia principi e parla in generale. Ma è difficile non leggere la preoccupazione per i toni già da campagna elettorale che in questi giorni si alzano dalla maggioranza.

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