Non si vedono, ma ci sono. Si muovono lontani dai riflettori, un po’ per difficoltà a imporre i propri temi, ma anche perché, in qualche caso, è meglio restare dietro le quinte. Agendo lontano dai radar per conto della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. È il quartetto dei “ministri invisibili”, che siede nel cdm senza che finora abbia lasciato grosse tracce. La lista include in primis la leghista Alessandra Locatelli, ministra della Disabilità e l’ex missino Nello Musumeci, a capo del ministero della Protezione civile e delle politiche del mare, ma anche l’ex fedelissimo di Silvio Berlusconi, Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica amministrazione, e l’uomo di fiducia della premier Meloni, Luca Ciriani, titolare dei Rapporti con il parlamento. Alcuni degli invisibili, per i più maliziosi, sono dei “ministri in più”, piazzati su poltrone aggiuntive per accontentare. Sarebbe stato sufficiente nominarli come sottosegretari con deleghe specifiche e tanti saluti. Fatto sta che sono nel governo Meloni con i galloni di ministri a tutto tondo, seppure senza portafoglio.

Invisibili ma costosi

La loro carica, per quanto invisibile, non è certo a costo zero. Conti alla mano, mettendo insieme Ciriani, Locatelli, Musumeci e Zangrillo, solo per i loro staff, Palazzo Chigi (a cui fanno riferimento per i costi) ha speso più di 2 milioni di euro nel 2023. Una cifra che sarà probabilmente bissata per il prossimo anno.
Locatelli è uno dei casi più interessanti. Della ministra della Disabilità si è parlato solo dopo gli attacchi delle opposizioni sui tagli al settore nella manovra economica, e nel collegato decreto Anticipi, e in occasione della giornata internazionale delle persone con disabilità. Infatti le associazioni di settore chiedono un cambio di passo. Locatelli è stata voluta da Salvini al comando del ministero: appartiene alla sua cerchia lombarda dei fedelissimi. L’idea era di dare sostanza alla campagna propagandistica sull’impegno per migliorare le politiche sulla disabilità, tema su cui l’Italia è indietro da decenni, incluse accessibilità e barriere architettoniche che riguardano direttamente il ministero dio Salvini.

Per Locatelli è un ritorno. Fu nominata nel primo governo Conte, sostituendo Lorenzo Fontana che era passato agli Affari europei. Ma era l’estate del Papeete. Locatelli non ha avuto nemmeno il tempo di insediarsi al dicastero, che ha dovuto fare gli scatoloni per la caduta dell’esecutivo. Nel 2021 è traslocata in regione Lombardia, diventando assessora proprio alla Famiglia e alla disabilità nella giunta di Attilio Fontana. prima del rientro a Roma, da ministra. Ha maturato un po’ di esperienza, ma non si scorge il risultato di queste competenze. O meglio rinvia tutto in avanti. Dopo le polemiche sulla riduzione dei fondi nell’immediato, si è impegnata per un incremento negli anni successivi. Garantendo di seguire l’attuazione della delega che entrerà in vigore, definitivamente, solo nel 2025. I rumors governativi la danno comunque salda, legata a doppio filo a Salvini. ­«È il suo garante», dicono a Domani fonti di maggioranza.

Zangrillo club

Chi invece non gode più della presenza di nume tutelare, è Zangrillo, ministro della Pubblica amministrazione. La morte di Berlusconi ha indebolito il ruolo e lui stesso ha fatto poco per uscire dal cono d’ombra in cui è finito, infarcendo lo staff di uomini di Forza Italia, come gli ex parlamentari Diego Sozzani e Marco Perosino. Certo, negli ultimi mesi sembra aver preso maggiore confidenza con la macchina ministeriale, segnando qualche punto a proprio favore. Ha portato a casa il minimo indispensabile sul contratto dei dipendenti pubblici e sulle assunzioni nella Pa, anche se i sindacati denunciano la scarsità di risorse sull’apposito capitolo. Zangrillo su una cosa si fa notare: la sua passione calcistica, di rito genoano. Nei mesi scorsi ha voluto presenziare, a tutti i costi, alla presentazione del Genoa club di Montecitorio. Un posto in agenda, in quel caso, è stato trovato.

La presenza è più sfumata sui tavoli politici decisivi per la Pa. E lontano anni luce dalla capacità, nel bene e nel male, di un suo illustre predecessore come Renato Brunetta che a Palazzo Vidoni ha forgiato buona parte della sua carriera politica. Il futuro di Zangrillo al governo non appare saldissimo: in caso di cattivo risultato di Forza Italia alle Europee, potrebbe essere una delle prime pedine spostate in ottica rimpasto. Sacrificato anche dal suo segretario, Antonio Tajani, con cui Zangrillo cerca di puntellare il feeling. Uno degli ultimi episodi è la cena a via dei Condotti, dopo la presentazione della nuova collezione dei gioielli nella boutique Damiani.

Dalla Sicilia al mare

Un altro degli invisibili, che condivide un certo senso di insicurezza, è Musumeci, nominato ministro della Protezione civile e delle politiche del mare. Inizialmente avrebbe dovuto fare da guardiano alla gestione dell’immigrazione in chiave anti-Salvini. Avrebbe dovuto arginare l’operato del leader leghista. Le deleghe assegnate sono però fumose. La Protezione civile ha già un capo dipartimento e non ha grande necessità della linea politica dettata da un ministro, il controllo sul mare è difficile da esercitare nel pratico.

L’ex presidente della regione Sicilia viene comunque descritto come soddisfatto di aver trovato, al culmine della sua carriera, un posto nel governo. Peccato che per alcuni venga percepito come una presenza evanescente. Sta lì, ma non si capisce tanto il motivo. Di recente si è intestato un disegno di legge sui «principi organizzativi per la ricostruzione post-calamità», provando a lasciare un segno. Non mancano le ipotesi di un suo spostamento altrove, qualcosa che possa farla sembrare una promozione. Dentro Fratelli d’Italia si ragiona sulla possibilità di candidarlo alle Europee. La motivazione è pronta: serve una candidatura forte, in grado di fare incetta di preferenze, nella circoscrizione Isole. E chi meglio di un ex presidente della regione Sicilia, che peraltro è già stato eurodeputato per 15 anni? Per convincere il diretto interessato serve l’intervento di Meloni in persona.

Un Mr. Wolf in parlamento 

Diverso il discorso per Ciriani, ministro dei Rapporti con il parlamento: è più invisibile per necessità. Meno fa parlare di sé e meglio è, almeno per le mansioni che ricopre. Certo, nella sua esperienza da ministro c’è una macchia: l’incidente alla Camera sul Def, quando al centrodestra sono mancati i voti per la maggioranza qualificata richiesta. Sono stati giorni difficili per Ciriani, finito sulla graticola. Una situazione che stava scalfendo il suo aplomb friulano. Da allora ha però presidiato Montecitorio e Palazzo Madama in maniera quasi asfissiante. Presenzia in Transatlantico, compulsa il cellulare per tenere i fili con i capigruppo di maggioranza e scongiurare eventuali sorprese negative. Per i sostenitori è il «mr. Wolf di Meloni», l’uomo chiamato a risolvere le grane del governo in aula, dai modi affabili e felpati, con buona predisposizione ad affrontare le domande dei giornalisti. Una rarità per un esecutivo allergico alla stampa.

Per i detrattori, però, Ciriani è l’esecutore delle forzature portate avanti dalla destra, anteponendo l’interesse del suo partito, in particolare della sua premier, rispetto a quello delle prerogative dei parlamentari. Un esempio? per il ruolo che ricopre nel governo, è lui a porre le questioni di fiducia – a ritmo record - sui provvedimenti. Un classico di questa legislatura. C’è chi annota il suo compito di “architetto” delle strategie parlamentari con cui vengono allontanati e sfumati i dibattiti più complicati per la maggioranza. Da ex capogruppo (al Senato) è un esperto in materia. Fatto sta che nella cerchia di Fratelli d’Italia c’è chi prevede: «Se continua a non sbagliare un colpo, Meloni gli affiderà compiti di ancora maggiore responsabilità». La premier preferisce l’invisibilità. Per il presenzialismo, basta e avanza lei.

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