Nella conferenza stampa di presentazione della manovra finanziaria, la premier Giorgia Meloni è tornata su uno dei temi che ne stanno caratterizzando la narrativa. Lei, «donna, madre e cristiana», ha chiarito che il suo governo vuol stabilire un concetto: «La donna che mette al mondo almeno due figli ha già offerto un importante contributo alla società», quindi lo Stato deve compensarla «pagandole i contributi previdenziali» in quell’un terzo di quota a carico della lavoratrice dipendente. Inoltre, sempre per chi ha due figli, l’asilo nido diventerà gratuito. Questo, secondo Meloni, servirebbe a «incentivare chi mette al mondo dei figli, nel caso in cui voglia lavorare».

Da questa ricostruzione emerge il quadro della famiglia tipo che la premier ha in mente: con almeno due figli, in cui la donna è lavoratrice dipendente a tempo indeterminato e che vive in un territorio in cui gli asili nido siano disponibili. Un modello a cui tendere forse, ma pochissimo rappresentato nel contesto attuale a cui mancano due condizioni di base: l’incentivo al lavoro femminile e la disponibilità di servizi come gli asili nido.

In Italia infatti la media di fecondità italiana è di 1,25 figli (dati Istat del 2021); il tasso di occupazione delle madri con almeno un figlio è del 58 per cento e favorisce le donne con un grado di istruzione più alto; nessuna regione del Mezzogiorno ha superato la media nazionale di posti per bambini negli asili nido. Nel 2020 la media nazionale è stata di 27,2 posti ogni 100 bambini, mentre il target previsto dall’Ue è del 45 per cento.

Lavoro

In realtà – al netto della teoria secondo cui il contributo sociale della donna sia quello di fare figli - andrebbe invertito il rapporto tra occupazione e natalità. Secondo il rapporto Inapp 2022, infatti, l’evento maternità rappresenta ancora una causa strutturale della caduta della partecipazione femminile al mercato del lavoro. Il tasso di occupazione delle donne in Italia è del 55 per cento, tra gli ultimi posti in Europa con oltre 14 punti sotto la media e 18 rispetto alle economie più avanzate d’Europa. Peggio va al Sud, dove il tasso di occupazione femminile è del 34,5 per cento ed è direttamente correlato alle assenze di servizi di cura: asili nido e sostegni per anziani e disabili. Proprio il peso della cura familiare - che riguarda sia i figli che i familiari anziani e non più autosufficienti – infatti, continua a gravare sulla donna. In assenza di servizi, agevolazioni e sussidi, continua ad essere la componente femminile a rinunciare al lavoro.

Secondo il Rapporto Plus 2022, infatti, quasi una donna su cinque (18 per cento) tra i 18 e i 49 anni non lavora più dopo la gravidanza e la forbice tra nord e sud tra chi invece decide di continuare rimane ampia: il 43,6 per cento al Settentrione, il 29 per cento al Meridione e isole. La motivazione principale di questa scelta continua ad essere l’impossibilità di conciliare lavoro e cura (52 per cento), seguita dal mancato rinnovo del contratto o licenziamento (29 per cento) e da valutazioni di opportunità e convenienza economica (19 per cento).

Ad essere penalizzate e a scegliere di smettere di lavorare, inoltre, sono le donne che scontano anche un inferiore grado di istruzione. Tra le donne che erano nel mercato del lavoro prima della gravidanza, a tornare a lavorare dopo la nascita è il 65 per cento delle laureate, mentre il dato crolla al 23 per cento per quelle con la licenza media.

La misura del governo che sgrava di alcuni contributi previdenziali le donne con due figli, invece, si riferisce solo a donne assunte con la formula del contratto di lavoro dipendente e il beneficio maggiore viene portato a quelle con un reddito più alto. Le madri dipendenti con un reddito sotto i 35 mila euro, infatti, già godevano di uno sgravio contributivo generale e questa nuova misura inciderà per poche decine di euro al mese. Avrà invece una incidenza molto maggiore per le madri con redditi più alti che non godevano di alcun aiuto statale. Dunque si tratta di un meccanismo che, paradossalmente, incide di più sulle donne che ne avrebbero meno bisogno. È stata invece abolita definitivamente Opzione donna, che permetteva alle donne di andare in pensione a 60 anni, con 35 di contributi e con ulteriori riduzioni temporali in caso di figli.

Servizi di cura

Lavoro significa sicurezza economica, che è tra gli elementi fondamentali nella scelta di avere un figlio. Per aumentare l’occupazione femminile, quindi, sarebbe necessario sgravare la donna dalle funzioni di cura non solo dei figli ma anche degli anziani. Invece nella manovra non sono previsti fondi per riformare l’assistenza degli anziani non sufficienti e nemmeno misure per le donne con un solo figlio che vogliano averne un altro.

Non solo: ad essere assenti sono le misure per gli asili nido. Renderli gratuiti per il secondo figlio sarebbe merito se gli asili nido pubblici in Italia fossero sufficienti ed equamente distribuiti. Invece l’edificazione dei nuovi asili prevista dal Pnrr rischia di essere tra le misure definanziate e, secondo i dati Istat riferiti al 2020,  al Sud meno di un bambino su sei (par al 15 per cento) ha accesso al nido, contro il 33 per cento del nord. 

Il modello di Meloni, dunque, non è quello delle donne del futuro, che oggi non hanno figli ma a cui offrire le condizioni per pensare di averli. La manovra guarda alle donne più anziane, con già un figlio e non alle ragazze che oggi sono giovani, che vorrebbero entrare nel mondo del lavoro e un domani avere un figlio.

Anche a voler considerare utili seppur insufficienti le misure in finanziaria, emerge poi un ultimo dato: non si tratta di misure strutturali. L’aumento del tasso di fecondità, però, evidentemente è misurabile solo nel medio termine. Dunque, per incentivarlo, il governo dovrebbe innescare un principio di affidamento da parte delle donne che oggi vorrebbero avere figli. In altre parole: se sto pensando di avere il secondo figlio oggi, le misure del governo sono utili solo se offrono la certezza di potervi contare pro futuro, quando il figlio sarà nato e negli anni successivi. Cosa che evidentemente Meloni non è in grado di promettere.

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