- Draghi, senza girarci troppo attorno, assegna ai Cinque stelle una grande responsabilità: se il governo chiamato ad attuare il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Pnrr, dovesse finire, sarebbe tutta colpa dei grillini.
- «Ogni scusa è buona per mollare a questo punto». È questa la frase che ripetono diversi parlamentari Cinque stelle a metà pomeriggio del day after del caso De Masi.
- Un addio del Movimento rimetterebbe in discussione anche l’alleanza del campo largo.
«Il governo senza il Movimento non esiste». La frase che inchioda Giuseppe Conte alle sue responsabilità la pronuncia il presidente del Consiglio Mario Draghi, durante una conferenza stampa a palazzo Chigi. Arriva in serata e mette sulle spalle dell’avvocato pugliese tutte le conseguenze di un suo eventuale addio alla maggioranza: «Il governo valuta il contributo dato dal M5s, troppo importante per accontentarsi di un appoggio esterno».
Draghi, senza girarci troppo attorno, assegna ai Cinque stelle una grande responsabilità: se il governo chiamato ad attuare il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Pnrr, dovesse finire, sarebbe tutta colpa dei grillini. A veicolare lo stesso concetto è nel pomeriggio il segretario del Pd Enrico Letta, che, nella sua relazione presentata alla direzione del partito, spiega di essere disposto a sostenere «questo governo e nessun altro. Se ci fossero traumi o cambiamenti non saremmo più della partita».
Un avvertimento agli alleati, che sarebbero soli nella loro manovra e si intesterebbero tutte le conseguenze: «Appoggi esterni, cambi di squadra nel governo, comporterebbero probabilmente la fine della legislatura», ribadisce il segretario nella replica. Un messaggio che arriva dopo un confronto mattutino tra il presidente del Consiglio e il capo dello stato Sergio Mattarella, seguito al faccia a faccia di mercoledì sera tra Conte e il presidente della Repubblica.
Pulsioni M5s
«Ogni scusa è buona per mollare a questo punto». È questa la frase che ripetono diversi parlamentari Cinque stelle a metà pomeriggio del day after del caso De Masi, il sociologo vicino al Movimento che, in un’intervista al Fatto Quotidiano, ha riferito di colloqui tra Draghi e Beppe Grillo, in cui il premier avrebbe chiesto al garante del M5s di rimuovere Giuseppe Conte. Le polemiche continuano a dominare il dibattito interno: «Ci vogliono far fuori», ripetono in tanti, offesi per «affronti e attacchi personali» che hanno colpito partito e leader.
Tutti aspettano la decisione del presidente: da statuto è lui ad avere l’ultima parola sulla linea politica e sull’eventuale uscita dall’Esecutivo. Le occasioni per rompere con il resto della maggioranza sono diverse. La settimana prossima, ad esempio, arriva in aula a Montecitorio il decreto Aiuti. In quell’occasione si parlerà sia del Superbonus, misura voluta dal M5s, sia il provvedimento che assegna al sindaco Roberto Gualtieri i poteri necessari per la realizzazione del termovalorizzatore a Roma.
Per quanto riguarda le agevolazioni sulle ristrutturazioni, le trattative restano in salita. Ieri i deputati di Alternativa hanno occupato i banchi della presidenza delle commissioni Bilancio e Finanze per difendere il Superbonus al fianco del Movimento. Unico dettaglio, Alternativa è all’opposizione: «A buon intenditor poche parole», dice un deputato stellato, commentando la scena.
Mercoledì, invece, è stato bocciato l’emendamento dei Cinque stelle per bloccare il progetto del termovalorizzatore: è stato respinto in commissione Bilancio con 22 voti a 14. A votare a favore del progetto anche il nuovo partito di Luigi Di Maio, Insieme per il futuro.
Lunedì il testo va in aula, e, confermano diverse fonti parlamentari, ormai sembra certo che sul provvedimento sarà messa la fiducia. Se però il decreto arrivasse senza gli aggiustamenti chiesti dai grillini, potrebbe essere l’ennesima ragione per Conte per voltare le spalle alla maggioranza. «Rischiamo che la Lega esca prima di noi», si lamentano nelle chat tanti eletti, che vedono minacce provenienti dalla formazione del ministro degli Esteri («È lui che ha bloccato per un giorno intero la risoluzione sull’Ucraina») e soprattutto non vogliono restare col cerino in mano.
Il rapporto con l’alleato
Un addio del Movimento rimetterebbe in discussione anche l’alleanza del campo largo. Nella sua relazione alla direzione del Partito democratico, il segretario Enrico Letta ha rilanciato la discussione sulla legge elettorale: l’interesse dei vertici Pd al proporzionale, dopo una storica linea a favore del maggioritario, ha confermato i sospetti di voler allentare l’alleanza giallorossa.
Con un sistema proporzionale, non sarebbe più necessario per il Pd arrivare alle elezioni compatti con i Cinque stelle. Il sospetto che si diffonde in serata è che Conte, anche in virtù dell’alleanza giallorossa sempre più debole, possa rivolgersi altrove. Il rapporto di Conte con Salvini, tornato solido durante l’elezione del presidente della Repubblica, cresce.
Diversi esponenti dei due partiti non escludono che i due stiano lavorando a un nuovo asse gialloverde. Proprio la Lega, mercoledì è arrivata a un passo dallo strappo dopo la calendarizzazione a Montecitorio dello ius scholae e della legge sulla cannabis. Il Carroccio riceve come ulteriore provocazione la promessa di Letta di non mollare sul tema della cittadinanza. «Non arretreremo di un millimetro», dice il segretario. Nella speranza che non finisca la legislatura, prima.
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