Due fughe, diverse ma tanto simili: fughe per la vita. In Italia, in Trentino, un anziano di 92 anni è fuggito dalla Rsa in cui è stato rinchiuso e che per lui è come una prigione. È riuscito a far perdere le sue tracce. Malgrado lo considerassero affetto di demenza, ha ritrovato a piedi la sua casa a 10 chilometri di distanza e vi si è barricato dentro.

Dall’altra parte del mondo, in Nigeria, quattro uomini sono fuggiti dal destino di violenza e corruzione del loro paese, nascosti nel vano timone di un portacontainer. Senza saperlo hanno attraversato l’Atlantico e sono sbarcati in Brasile.

Due fughe disperate, differenti ma unite dal sogno di una vita, dalla lotta per la vita. L’anziano è fuggito dalla solitudine a cui una società opulenta lo ha condannato lontano dalle sue cose e dai suoi luoghi cari. La casa è per tutti come la vita ma la collettività non ha trovato nulla di meglio che rinchiuderlo in un luogo anonimo, che nessuno può decentemente e onestamente chiamare “casa”.

La sua fuga si capisce: non vuole finire da solo, non vuole morire nell’anonimato e nell’isolamento. Ci tornano alla mente i sei anziani morti per l’incendio nella casa coniugi a Milano: i media ne hanno parlato per un po’ ma poi tutti si sono dimenticati di loro e non c’era quasi nessuno ai loro funerali. È la fuga dall’abbandono, una malattia frequente in un mondo che ha scelto di essere individualista fino al narcisismo.

Africa dimenticata

Anche i quattro nigeriani fuggivano l’abbandono: quello della loro terra, Africa dimenticata di cui ci si ricorda solo per sfruttarne le risorse ma che si considera una minaccia non appena si avvicina troppo. Fuga dalla violenza di una terra martoriata dalle milizie e dai terroristi ma anche dalla polizia e dalle forze dell’ordine che diventano predatrici, davanti alle quali le persone normali non possono nulla.

Terre senza diritti, universi di speculazioni, traffici, povertà e colpi di stato. Una fuga verso casa per l’anziano; una fuga verso una un luogo da chiamare casa per i giovani nigeriani. Rischiano la vita ma la società non trova nulla di meglio che rimetterli dietro un muro: quello della Rsa per l’anziano; quello alzato per difendersi dalle migrazioni per i giovani africani.

Talvolta sono muri veri, barriere, reticolati. Ammettiamolo: ci è insopportabile la vista degli anziani –specialmente non autosufficienti – che diventano una pietra d’inciampo per una società abituata al giovanilismo e all’autocompiacimento. Meglio nasconderli nelle Rsa. Ci è altresì insopportabile la vista dei migranti per le strade delle nostre città, alla ricerca di un po’ di vita e di ascolto: ci ricordano che oltre il (grande) muro c’è un mondo intero che bussa. Meglio rinchiuderli nei centri che sono come carceri.

La società del presentismo ha paura degli anziani come dei migranti: ricordano a tutti le intrinseche debolezze personali e collettive. Ma queste fughe rappresentano un grido, una volontà indomita di continuare a cercare più vita e più futuro. È l’irriducibile umano che sconfigge ogni paura, scavalca ogni muro e alla fine vince sempre. 

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