Il socio di Utopia, Ernesto Di Giovanni, ne aveva fatto un vanto: «Ormai di casa», scriveva a commento di una galleria fotografica di palazzo Chigi. La confessione era apparsa sui social a marzo 2023, a firma dello stesso Di Giovanni della società di lobbying fondata da Giampiero Zurlo.

Di Giovanni ha scattato una serie di foto nella sede della presidenza del Consiglio, rendendole pubbliche sui propri profili. Impossibile, però, sapere chi siano stati gli interlocutori degli incontri del partner di Utopia, perché – purtroppo - non esiste una procedura di tracciabilità degli incontri con i rappresentanti di interessi.

Manca una legge che imponga la pubblicità delle agende. Una lacuna normativa legata all’ostilità della destra. Nell’attesa di capire chi ha incontrato Di Giovanni a Chigi, di certo il sottosegretario, Giovanbattista Fazzolari, ha messo le mani avanti: ha minacciato esposti in procura contro questo giornale, reo di aver raccontato le entrature di Utopia con FdI.

«Siamo passati dalle querele bavagio con richieste di danni milionari alla richiesta di indagini bavaglio. L’Italia sta voltando la schiena alla Costituzione e al diritto di cronaca», ha detto la segretaria generale della Fnsi Alessandra Costante. Parole che non sono piaciute al sottosegretario Andrea Delmastro: «Costante invoca il diritto al killeraggio politico con ogni mezzo?» ha attaccato».

Casa Chigi

Di Giovanni, con la destra al potere, è però effettivamente a casa, perché ritrova vecchie conoscenze di una militanza passata. Non avrà mai incontrato Fazzolari, ma come raccontato da Domani, il socio di Utopia è stato dirigente di Azione universitaria, organizzazione studentesca di Alleanza nazionale prima e di Fdi oggi.

In quel ruolo ha avuto contatti con molti (futuri) big: dalla premier Giorgia Meloni al responsabile organizzazione di Fdi, Giovanni Donzelli, fino al sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro (Dagospia ha pubblicato una foto dei due insieme).

«Questo è il nono governo da quando esiste la società Utopia, ed è assolutamente naturale per noi interloquire con qualunque istituzione, in modo trasparente, professionale, lecito», spiega Zurlo, interpellato da Domani, in riferimento al post del suo socio.

Tutto legittimo, certo. Ma il post conferma che le entrature di Utopia a palazzo Chigi non mancano. E peraltro altre fonti raccontano che non ci sono molti lobbisti capaci di dirsi «a casa» alla presidenza del Consiglio con il governo Meloni.

Lobby senza regole

Il problema è tuttavia a monte, causato da un vuoto normativo mai colmato. Manca una legge che regolamenti il rapporto tra istituzioni e lobbisti, osteggiata da sempre a destra. Negli anni sono state presentate decine e decine di proposte.

Nell’era repubblicana è stata superata “quota-100” testi di legge. Tutti sono puntualmente finite nel dimenticatoio. Nella scorsa legislatura il traguardo sembrava vicino: il testo era stato approvato in prima lettura, ma si è impantanato al Senato per la melina avviata dalla destra. Che ha favorito l’affossamento, decretato definitivamente con la caduta del governo Draghi.

Con l’inizio della nuova legislatura, il presidente della commissione Affari costituzionali alla Camera, Nazario Pagano (Forza Italia), ha provato a dare un nuovo impulso. Solo sulla carta. Pagano ha infatti avviato un’indagine conoscitiva, dilatando a dismisura i tempi del confronto.

L’indagine, dopo una serie di stop&go, ha prodotto un documento diffuso recentemente con un elenco di buone intenzioni. Ma nel concreto ha frenato qualsiasi iniziativa sul tema. E infatti non c’è ancora traccia di una proposta di legge, mentre le opposizioni, dal Pd (con la senatrice Valeria Valente) al Movimento 5 stelle (con la vicepresidente del Senato, Mariolina Castellone) hanno depositato vari testi per avviare la discussione. Che non è mai partita. A danno della trasparenza.

«In assenza di regole, a vincere è spesso il più forte, il più attiguo alla politica», dice a Domani Federico Anghelè, direttore di The Good Lobby. «Il parlamento – annota ancora - sta per aprire una nuova, lunga discussione sulla finanziaria senza che sia stata approvata una legge sul lobbying». Ed è noto che la sessione di bilancio, insiste Anghelè, «è quella in cui si fanno maggiormente sentire gli appetiti e le pressioni dei portatori di interessi. In assenza di trasparenza noi cittadini non sapremo quali soggetti esterni avranno portato il loro punto di vista ai gruppi parlamentari». Un immobilismo sgradito alle stesse società di portatori di interessi: le aziende più rilevanti di lobbisti vogliono una legge sulla lobby.

Modello Mimit

Lo stato dell’arte è desolante. Alla Camera è stato istituito un registro, voluto fortemente dalla presidenza di Roberto Fico che aveva raccolto un lavoro avviato da Laura Boldrini. Un timido tentativo che ha prodotto poco o nulla. Il regolamento è farraginoso e poco chiaro, tanto che sono pochi gli incontri consultabili sul portale di Montecitorio. Ancora peggio va al Senato: nessuna norma nemmeno di facciata, vige il far west.

Con una destra scettica, se non ostile, al regolamento delle lobby, al governo si replica il far west di palazzo Madama. Al ministero dell’Ambiente ci aveva provato Sergio Costa, all’epoca del primo governo Conte. Poi l’aggiornamento è stato fermato, ufficialmente a causa dell’intervento del garante della privacy. Da allora si è fermato tutto.

Tra i pochi virtuosi c’è il ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit) di Adolfo Urso, che ha adottato la linea della trasparenza. Un decreto, approvato qualche mese fa, ha istituito una specifica piattaforma.

I portatori di interessi devono obbligatoriamente registrarsi per poter richiedere incontri con il ministro, viceministro, sottosegretari o anche con i dirigenti apicali del Mimit.

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