E’ stata una giornata assolata quasi d’estate, ieri a Varese. Il clima era quello perfetto per per una festa importante come i quarant’anni dalla nascita della Lega, ma non è mai stato il meteo a impensierire Matteo Salvini.

Più che quelli di una celebrazione, infatti, i toni sono stati subito quelli di un tentativo di golpe. A guastare lo spirito sin dalla vigilia è stata la mossa studiata di Umberto Bossi, che ha dato il via agli attacchi al segretario e ha costretto Salvini a rispondergli a distanza e a denti stretti. «Io sono in Lega da 30 anni e sono abituato alle telefonate notturne e diurne di insulto e di polemica di Umberto Bossi, quindi mi servono per capire e migliorare», sono state le parole di Salvini dopo che l’ex segretario ha detto chiaro e tondo che «alla Lega serve un nuovo leader».

Lo scontro con Bossi

Del resto, è da tempo che Bossi è il fulcro intorno a cui si sono radunati i dissidenti rispetto alla linea del segretario, tanto che alle scorse regionali in Lombardia si stava per concretizzare una lista alternativa benedetta dal fondatore a sostegno della candidata del terzo polo Letizia Moratti.

Le sue parole, ruvide come sempre, sono state però il via libera anche ad altre critiche nei confronti del segretario in carica. «Siamo riconoscenti a Salvini per quello cheha fatto», ha detto il capogruppo in Senato Massimiliano Romeo, che ultimamente ha posto più di un accento critico sull’operato del segretario e ha annunciato l’intenzione di candidarsi a segretario regionale della Lega lombarda, «ma questa festa è l'occasione giusta per riscoprire un po' di identità. Bisogna soprattutto ripartire dal territorio e dai militanti, cercando di ascoltarli un po' di più». Una linea, questa, condivisa anche dal suo omologo alla Camera Riccardo Molinari, che ha sottolineato come «i disagi della base vanno ascoltati» e che «c’è una questione settentrionale da riportare al centro dell'agenda». Parole certo più posate rispetto a quelle di Bossi, ma impensabili sino a qualche anno fa in un partito che si definiva leninista per il suo essere monolitico dietro al leader.

A mostrare anche plasticamente la rottura interna, Bossi non si è presentato ai festeggiamenti di Varese ma ha preferito rimanere nella sua casa di Gemonio, dove sabato si è celebrata una sorta di contro-festa con quelli che si considerano i duri e puri della vera Lega. Lasciando così a Salvini l’onere di spiegare l’assenza del volto ancora molto amato dai militanti. «Lo avevo invitato», si è giustificato, «ha fatto altre scelte, ma va bene così. Bossi può dire quello che vuole». Del resto, attaccare il fondatore del partito di Alberto da Giussano non è pensabile nella cultura della Lega. Di più, segnerebbe una rottura anche culturale con quello che soprattutto oggi viene visto come un passato ideale a cui tornare.

La difesa di Salvini

Salvini, infatti, sa che oggi la sua segreteria è più in bilico che mai ed è appesa soprattutto all’esito delle elezioni europee, dove la soglia psicologica sarebbe la doppia cifra. Il rischio, però, è non solo di scendere anche di qualche decimale sotto l’8 per cento delle scorse politiche, ma anche di venire superati da Forza Italia, diventando così il fanalino di coda della coalizione. Un rischio, questo, che aprirebbe la strada a una sorta di direttorio, che commissarierebbe la segreteria del ministro dei Trasporti. L’opzione è sulla bocca di militanti e dirigenti, ma nessuno si azzarda a ipotizzarla pubblicamente. Eppure, due nomi sono già oggetto di dibattito interno come possibili sostituti: da una parte il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, lanciato dallo stesso Bossi nelle sue dichiarazioni; dall’altra il presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, espressione dei governatori del Nord che sono ormai l’unica certezza rimasta al partito. 

Dal palco di piazza Podestà, tuttavia, Salvini ha voluto dare un segnale di leadership, ricordando che di aver «fatto crescere un partito che ha 500 sindaci in tutta Italia» e incassando il sostegno dei ministri del governo, dallo stesso Giorgetti a Valditara. Proprio dal palco ha poi lanciato una frecciata a Bossi, utilizzando il ricordo di Maroni «che ha preso il testimone e ha guidato la Lega nei mesi più complicati”. Complicati, cioè, dall’inchiesta giudiziaria sull’ex tesoriere Francesco Belsito e il buco di bilancio da 49 milioni di euro sotto la guida di Bossi.

Sulla bocca dei militanti, però, la parola è una sola: autonomia. La legge sta procedendo senza fretta alla Camera, nonostante i tentativi del ministro leghista Roberto Calderoli. L’accelerazione potrebbe arrivare nelle prossime settimane: Salvini sa che solo la storica bandiera della Lega metterà d’accordo vecchi e nuovi militanti per portarli tutti insieme al voto di giugno, così da mettere al riparo la sua leadership almeno fino al prossimo congresso. Per ottenerla serve il sì di Fratelli d’Italia: non scontato e comunque dipendente da altrettanta disponibilità leghista sul premierato. Su questa partita, però, Salvini si gioca molto più di Meloni.

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