Ogni giorno ha la sua pena a viale Trastevere, sede del ministero dell’Istruzione, con il ministro Giuseppe Valditara che si distingue per la scelta di collaboratori dalle posizioni quantomeno radicali. Che finiscono per metterlo in un angolo.

Ancora una volta a creargli problemi è il suo consulente, Alessandro Amadori, ossessionato dalla narrazione della donna cattiva: Domani ha scoperto un’altra pubblicazione, risalente al 2018 (due anni prima del libro La guerra dei sessi), intitolata inequivocabilmente Il diavolo è (anche) donna, edito da Licosia. Resta un mistero il motivo che spinge un sondaggista, esperto di marketing politico, a occuparsi di questi temi, su cui si esprime senza un adeguato curriculum.

Ma tant’è. Il testo, di una novantina di pagine, è stato scritto dopo un’analisi dei siti di pratiche sessuali estreme, come il bondage o altre pratiche “Bdsm” (Bondage, dominazione, sadismo e masochismo), con tanto di interviste alle “mistress”, le donne dominanti. Il tutto per dimostrare l’aggressività delle donne, non dissimile – nella visione di Amadori – a quella degli uomini. E pazienza se le attività sadomaso siano fatte volontariamente e con il consenso dell’altra persona. Non sono equiparabili alla brutalità di un femminicidio.

La svolta di Bolognini

Amadori è solo l’ultimo problema, in ordine di tempo. Al ministero Valditara è sempre più defilato, oscurato. Al suo posto si staglia la figura di Matteo Salvini, è lui che muove i fili per interposta persona. Il leader della Lega ha voluto Valditara a viale Trastevere, perché considerato un profilo moderato, almeno sulla carta, e con un’estrazione ex Alleanza nazionale. Quindi gradito anche alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.

Ma nei fatti è il vicepremier leghista a dettare legge ed elaborare strategie, seppur per interposta persona. Di Amadori si è detto: nasce come consulente di comunicazione e si impone come un collaboratore di progetti formativi. Ma il commissariamento di fatto, come malignano nei corridoi ministeriali, vede davanti a tutti, nelle vesti di “ministro ombra”, o comunque l’ombra del ministro, Stefano Bolognini. E si scrive Bolognini, ma si legge Salvini. Lo stile del leader leghista è nel suo dna politico. Nel curriculum vanta un biennio, 2005-2006, come assistente dell’attuale vicepremier all’Europarlamento.

Negli anni ha scalato posizioni ed è diventato un dirigente leghista di rango in Lombardia, ottenendo la nomina ad assessore alla provincia di Milano e quindi un posto in giunta in regione Lombardia, sotto l’amministrazione di Attilio Fontana, con la delega alle Politiche sociali. Insomma, come racconta chi lo conosce, è un “Salvini boys”, uscito dalla nidiata dei lumbard, insieme al deputato Igor Iezzi e all’attuale sottosegretario con delega alla Programmazione, Alessandro Morelli. Bolognini è stato spedito a viale Trastevere nello scorso mese di aprile con la posizione di segretario particolare.

Ha sostituito Michele Zarrillo, avvocato di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), un profilo molto preparato ma troppo tecnico, si dice negli uffici ministeriali. Al suo posto occorreva qualcuno con un imprinting più politico per sovrintendere le operazioni ministeriali e dare una direzione gradita alla leadership leghista.

Così Bolognini è l’uomo che fa al caso di Salvini. Rimasto senza poltrone al Pirellone (è stato tagliato fuori dalla nuova giunta), è diventato il factotum di Valditara. Chiunque voglia parlare con il ministro deve prima risultare gradito al segretario. Organizza l’agenda, filtra gli incontri, e, soprattutto, fa da consulente politico a Valditara. E fa tutto questo eseguendo i desiderata salviniani.

Ministro spaesato

Bolognini è onnipresente. Basta sfogliare i profili social per vedere come segua il modello Salvini: tra la foto di una cassœula e di una cacio e pepe, compare qualche post istituzionale. E non è certo un segretario discreto, che resta un passo indietro. Il ministro presenzia all’esposizione internazionale delle due ruote o partecipa all’assemblea Anci? Bolognini si fa immortalare con lui e altri ospiti. L’ex assessore regionale della Lombardia non disdegna affatto di partecipare a iniziative politiche, ovviamente con Salvini presente, rilanciando talvolta le card social della Lega.

Così il ministro è stato sempre di più accompagnato verso posizioni radicali. Anche perché ha fatto fatica ad ambientarsi al ministero. Si racconta di un certo spaesamento iniziale, quando ha assunto l’incarico. Doveva prendere confidenza con una macchina complessa, che conosceva poco.

E così ha cercato di ingraziarsi i colleghi di governo con l’ormai famosa lettera scritta in occasione dell’anniversario della caduta del Muro di Berlino. Un segnale per dimostrarsi “uno di loro”. Il governo Meloni si era insediato da poco e Valditara si è subito imposto come uno dei ministri più discussi, continuando a inanellare gaffe.

Finendo per entrare spesso in rotta di collisione con la ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, che ha assunto una posizione diversa rispetto alle proteste degli studenti universitari sul caro-affitti, accampati per giorni nelle tende. Ma anche in quel caso Valditara ha dovuto assecondare la linea salviniana, tutt’altro che disponibile al confronto verso i manifestanti.

Dalle parti di palazzo Chigi, Meloni in testa, il ministro è visto con diffidenza. L’estrazione politica di An è un ricordo, la sua traiettoria politica lo ha portato ad abbracciare Fli di Gianfranco Fini, e quindi la causa della Lega, seppure da indipendente.

La presidente del Consiglio ha colto il legame a doppio filo con Salvini, quindi lo tiene a debita distanza: la premier considera il leghista l’unico vero avversario nel centrodestra. Eppure a oggi è difficile immaginare un siluramento di Valditara. A meno che Salvini non trovi un altro profilo al suo posto. L’importante è salvare il fedelissimo Bolognini. A quel punto il ministro potrebbe finire definitivamente nell’ombra.

© Riproduzione riservata