Una piccola grande miniera di soldi, dalle infrastrutture alla transizione energetica fino agli interventi contro la siccità, che resta inutilizzata. E poi ancora: l’attesa per grandi eventi e le misure sulla sicurezza del territorio. La lista dei decreti attuativi bloccati, e spesso scaduti, è variegata. Il governo di Giorgia Meloni non sfugge quindi dalla consuetudine che affligge qualsiasi esecutivo: la lentezza nell’emanazione delle norme secondarie.

Una delle differenze è l'autoindulgenza del sottosegretario all’attuazione del programma, Giovanbattista Fazzolari. Il fedelissimo della premier, appena può, celebra i suoi risultati parlando di «record» sulla riduzione degli stock arretrati. Per carità, ognuno persegue la propaganda come preferisce. Ma la materia è storicamente scivolosa.

I fatti dimostrano che non c’è nemmeno il tempo di esultare per la riduzione dei decreti attuativi, che arriva una gragnuola di altri decreti. Intanto scadono a grappoli i termini dei provvedimenti precedenti. Solo a marzo, tanto per fare un esempio, andranno oltre i limiti fissati venticinque provvedimenti.

Giochi senza programma

I numeri, prima di tutto. Agli atti, secondo il database ufficiale, ci sono 323 testi da smaltire, tutti accumulati in questa legislatura. Quasi cento in più rispetto a quelli emanati, senza conteggiare quelli ereditati dai predecessori. La responsabilità va certamente spalmata tra i ministri competenti per materia e il supervisore dell’attuazione del programma, Fazzolari appunto. E oltre i numeri c’è l’aspetto qualitativo, l’impatto di questi decreti attuativi mancanti.

Un esempio? I giochi del Mediterraneo del 2026, in programma a Taranto, attendono ancora il «programma dettagliato delle opere infrastrutturali occorrenti» così come l’indicazione delle «modalità di attuazione degli interventi e della revoca del finanziamento».

Il decreto attuativo era previsto al massimo entro la fine del mese di agosto dello scorso anno con la doppia firma dei ministri Andrea Abodi (Sport) e Raffaele Fitto (Sud). Si attendono novità. Ma la questione non riguarda solo il grande evento, atteso da Taranto per un rilancio di immagine per affrancarsi dall’ombra dello stabilimento dell’ex Ilva.
All’appello mancano misure centrali per il ministero del Lavoro di Marina Elvira Calderone, che ha cassato il Reddito di cittadinanza prevedendo una revisione delle misure di sostegno ai ceti più deboli. La riforma attende il completamento. Manca, per esempio, la norma per definire il perimetro delle «tipologie di soggetti esclusi dal beneficio dell’assegno di inclusione», ossia l’intervento che ha preso il posto del Rdc. Il testo era atteso entro lo scorso 12 febbraio. 

A braccetto c’è un’altra mancanza, accumulata qualche mese prima. A settembre 2023 si doveva emanare la regolamentazione «per l’accesso ai percorsi di inclusione sociale e lavorativa, ulteriori rispetto a quelle già previsti per i beneficiari del reddito di cittadinanza». Niente di fatto anche su questo fronte.

Decarbonizzazione ferma

Le misure in stand-by non riguardano solo la regolamentazione: ce ne sono varie che hanno un peso economico notevole. È il caso dei 260 milioni di euro necessari messi nel «fondo per la decarbonizzazione e per la riconversione verde delle raffinerie esistenti», che il ministero dell’Ambiente di Gilberto Pichetto Fratin deve ancora decidere come spendere.

La maggior parte era stanziata per il 2023. In totale altri 250 milioni di euro sono stoccati al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti di Matteo Salvini per i lavori di potenziamento e miglioramento della strada statale Salaria. Il provvedimento era previsto entro la fine di aprile dello scorso anno.
Dal ministero dell’Interno di Matteo Piantedosi, invece, si attende lo sblocco dei 150 milioni di euro da destinare agli enti locali, comuni, province e città metropolitane per sostenere i loro bilanci. Il termine per la ripartizione scadeva a fine gennaio. Non dormono sonni sereni nemmeno le popolazioni colpite da calamità o quelle che potrebbero affrontare delle emergenze.

Significativo che, a oggi, manchi addirittura il piano di comunicazione relativo alla crisi idrica: era un documento che Palazzo Chigi avrebbe dovuto redigere entro lo scorso maggio, che non ha ancora visto la luce. La mancanza dei decreti attuativi rende una scatola vuota anche il provvedimento d’urgenza che il governo ha varato per i Campi Flegrei dopo lo sciame sismico dei mesi scorsi.

A gennaio era atteso il «piano straordinario di analisi della vulnerabilità» nelle aree a maggiore rischio. Il ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, non ha provveduto a pubblicare il testo. A conferma che non bastano le autocelebrazioni di Fazzolari per risolvere l’eterno problema dei decreti attuativi.

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