L’inchiesta per corruzione a carico del presidente della Liguria, Giovanni Toti, e di altri esponenti di primo piano dell’imprenditoria locale è arrivata come una doccia fredda sul centrodestra, nonostante fonti locali sostengano che qualcosa fosse nell’aria. Al netto degli arresti spettacolari – Toti è stato fermato nella notte in un hotel a Sanremo, perché in mattinata avrebbe dovuto partecipare a un evento con Flavio Briatore – i contorni dell’inchiesta dovranno essere meglio definiti.

Nel frattempo, però, il terremoto ligure a un mese dal voto europeo ha costretto i partiti di centrodestra a prendere posizione e l’effetto è stato quello del vuoto intorno al presidente, che negli ultimi anni si è mosso in autonomia rispetto ai tre principali partiti, pur essendo stato sostenuto dalla coalizione nella sua ricandidatura in regione. Anche se i colleghi d’area hanno tutti espresso solidarietà personale, il risultato concreto è stata una prudente ma chiara presa di distanza.

Uomo cresciuto in Mediaset tanto da prendere il posto di Emilio Fede al Tg4, Toti ha iniziato dieci anni fa la sua veloce ascesa dentro Forza Italia, tanto da finire nella lista dei delfini di Silvio Berlusconi. Nel 2019, però, si è consumato l’allontanamento dalla cerchia ristretta di Arcore e l’iniziativa politica individuale con Coraggio Italia, per poi approdare in Noi moderati di Maurizio Lupi come presidente. Dal segretario della Lega Matteo Salvini, fino al forzista Giorgio Mulè e al ministro della Difesa Guido Crosetto, tutti si sono detti «garantisti», «convinti dell’innocenza fino a prova contraria» e hanno chiesto che la magistratura faccia chiarezza il prima possibile sui fatti contestati. Come ha ricordato Lupi, «fare processi mediatici è un grave errore».

Il totonomi

Tuttavia le contestazioni – che pure potrebbero sgonfiarsi già con le prime iniziative difensive – sono gravi e hanno portato alla sospensione del presidente per effetto della legge Severino. Per ora la regione sarà guidata dal vicepresidente leghista, Alessandro Piana. Una precarietà, questa, che ha convinto il coordinatore regionale di Fratelli d’Italia, Matteo Rosso, a dire l’inevitabile: «L’ipotesi delle elezioni anticipate in regione a questo punto non si può escludere. Bisogna anche vedere le scelte che opererà Toti, magari per difendersi in modo più sereno preferisce dimettersi e cade tutto e si va al voto».

Non solo. Anche Forza Italia ha preso le distanze dai fratelli Maurizio e Arturo Testa, che sono accusati di corruzione elettorale alle regionali del 2020. Hanno ricevuto la misura cautelare dell’obbligo di dimora in provincia di Bergamo, sono tesserati e considerati vicini ad Alessandro Sorte, dirigente di FI in quota Marta Fascina. Il partito ha fatto sapere di averli «sospesi»: «Forza Italia, totalmente estranea ai fatti, rivendica i suoi valori garantisti e attende la conclusione delle indagini ed eventuali esiti processuali». Ora bisognerà aspettare le mosse del presidente, che si è detto «tranquillo», mentre il suo avvocato, Stefano Savi, ha confermato che «non si parla di dimissioni», «affronteremo il procedimento spiegando tutto nel dettaglio».

Tuttavia Toti, da politico ormai di lungo corso, sa che dovrà velocemente scegliere come difendersi anche fuori dal processo, nella consapevolezza che molta parte del mondo politico locale – anche a destra – si aspetta un suo passo indietro.

A livello nazionale nessun partito di maggioranza teme particolari conseguenze elettorali dal terremoto ligure. Paradossalmente, invece, l’inchiesta potrebbe risolvere alcune questioni rimaste in sospeso. Toti infatti era deciso a tentare – come il veneto Luca Zaia e il campano Vincenzo De Luca – la strada della candidatura per il terzo mandato a settembre 2025, sempre osteggiata dalla premier Giorgia Meloni. Ora, invece, le possibili elezioni anticipate cancellerebbero l’opzione e proprio FdI, che alle ultime politiche ha fatto il pieno di voti e anche in regione è il maggior azionista della maggioranza, sarà determinante nelle future valutazioni.

In lizza, del resto, ci sono già alcuni nomi: alla porta c’è il leghista e viceministro alle Infrastrutture Edoardo Rixi, che già quattro anni fa avrebbe voluto prendere il posto di Toti, mentre FdI ha pronto il nome di Massimo Nicolò, medico ed ex vicesindaco e assessore alla Salute del comune di Genova.

Le perplessità di Nordio

Al netto delle conseguenze politiche, tuttavia, la vicenda ha rinfocolato una polemica più generale che questo governo ha aperta con le toghe. A farsene carico è stato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che è anche alle prese con una delicata interlocuzione con l’Anm, che ha detto no a qualsiasi mediazione sulla sua riforma del Csm e la separazione delle carriere. Come spesso fa nei suoi interventi, il guardasigilli ha portato la sua esperienza da magistrato: «Ho esercitato 40 anni da pm e raramente ho chiesto provvedimenti di tutela cautelare dopo anni di indagini», tenuto conto che difficilmente dopo molti anni dall’evento possono ancora sussistere il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e la reiterazione del reato. «Le mie perplessità non sono mai sul momento in cui scatta il provvedimento cautelare rispetto all’imminenza delle elezioni», ha precisato, ma sulla misura cautelare «rispetto al tempo in cui è stato commesso il reato ed è iniziata l’indagine».

In altri termini, il rilievo critico del ministro ha riguardato non tanto l’imminenza delle elezioni europee, quanto il fatto che la misura cautelare sia stata autorizzata a quattro anni dall’inizio dell’indagine. «Parole sorprendenti, parla come la difesa di Toti», è stato il commento della responsabile giustizia del Pd, Debora Serracchiani.

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