La Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Ungheria a pagare una multa di 200 milioni di euro per non aver rispettato una sentenza del dicembre 2020, e un ulteriore milione di euro per ogni giorno di ritardo. «Una violazione senza precedenti ed estremamente grave del diritto comunitario», l’ha definita la Commissione Ue.

Nel 2020, la Corte aveva stabilito – tra l’altro – che il Paese avesse contravvenuto agli «obblighi del diritto dell’Unione in materia di procedure di riconoscimento della protezione internazionale e di rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare», e non fornito «garanzie procedurali» e «sostegno adeguato» per i richiedenti asilo «identificati come vulnerabili».

La decisione riguardante l’Ungheria dà lo spunto per parlare di alcuni profili del Protocollo tra Italia e Albania. Al momento, l’Unione l’ha ritenuto ammissibile perché esso non riguarderebbe il diritto europeo. La commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, nel novembre scorso affermò che esso «non viola il diritto dell’Ue» perché «è al di fuori del diritto Ue». L’esatto opposto di quanto ha detto Giorgia Meloni in Albania il 5 giugno scorso: «Abbiamo portato qui la legislazione italiana ed europea». C’è qualcosa che non torna. Proviamo a capire.

Il diritto Ue

Secondo la legge di ratifica del Protocollo (legge n. 14/2024), ai migranti che rientrano nel suo ambito – vale a dire quelli provenienti da Paesi sicuri, soccorsi da navi di autorità italiane in acque internazionali e poi condotti nelle aree albanesi – «si applicano, in quanto compatibili» una serie di norme nazionali in tema di immigrazione, nonché la «disciplina italiana ed europea concernente i requisiti e le procedure relativi all’ammissione e alla permanenza degli stranieri nel territorio nazionale».

Questa disposizione pone diversi problemi: innanzitutto, perché smentisce quanto affermato da Johansson, la quale ha escluso espressamente l’applicabilità del diritto Ue al Protocollo. In secondo luogo, come chiarito dalla stessa Johansson, e non solo, «il diritto comunitario non è applicabile al di fuori del territorio dell’Ue», per cui il Protocollo con l’Albania sarebbe in violazione di questo principio. In terzo luogo, è privo di fondamento il presupposto secondo cui il diritto Ue non riguarda le procedure in Albania perché esse interessano solo migranti trovati da navi militari italiane in acque internazionali, dove non si applica il diritto europeo.

Le navi militari di Stati membri in alto mare, come afferma un parere del servizio giuridico del parlamento europeo del 2018, sono territorio dello Stato membro di bandiera, e quindi dell’Ue, per cui i migranti salvati da tali navi sono tutelati dal diritto dell’Unione (in conformità a quanto deciso nel 2012 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia).

Infine, l’applicabilità di norme italiane ed europee solo «in quanto compatibili» significa lasciare una discrezionalità amplissima – svincolata da paletti normativi, in spregio ai principi di legalità e certezza del diritto – all’autorità amministrativa che dovrà vagliare la situazione degli immigrati portati in Albania.

Fin troppo facile immaginare la mole di contenzioso che ne potrà scaturire.

Diritti dei migranti

A tutto questo si aggiungono alcuni dubbi. Innanzitutto, sulla effettiva valutazione del diritto all’asilo degli immigrati, poiché la procedura di frontiera – della durata di 28 giorni, incluso l’eventuale ricorso contro il rigetto della domanda di asilo e la decisione del giudice – prevede un’istruttoria sommaria, quindi carente; poi, sul rispetto del diritto di difesa dell’immigrato, che tra l’altro non potrà essere presente dinanzi al giudice né avere un contatto di persona, ma solo online, con il proprio avvocato; ancora, sulla tutela dei vulnerabili, dato che, nonostante le rassicurazioni formulate nelle Commissioni riunite Affari Costituzionali, la legge di ratifica dell’intesa fra Italia e Albania non contiene disposizioni riguardanti un’effettiva verifica delle condizioni di vulnerabilità né l’espresso divieto di trattenimento di chi presenti tali condizioni.

Soprattutto, quanto sin qui esposto, unitamente al fatto che le procedure si svolgeranno in sedi lontane dai nostri occhi, con procedure decisionali poco prevedibili e non trasparenti, e la conseguente difficoltà di verificare il rispetto dei diritti dei migranti, rafforza quanto paventato dall’onorevole Riccardo Magi in Albania, mentre era strattonato dagli addetti alla sicurezza: «Se accade questo a un parlamentare italiano, potete immaginare cosa accadrà ai poveri cristi che saranno chiusi qui». Insomma, il rischio che in Albania si replichi il trattamento ungherese, sanzionato dalla Corte Ue, non è poi così remoto.

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