Forza Italia alza il tiro e vuole che in commissione Antimafia in parlamento vengano sentiti in audizione il direttore e l’editore di Domani, Emiliano Fittipaldi e Carlo De Benedetti. A formalizzare la richiesta, nel corso dell’ufficio di presidenza, è stato Maurizio D’Attis, deputato di Fi e vicepresidente della commissione.

A dargli manforte la sera in televisione è anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: «Quella del dossieraggio è una questione semplice da spiegare: alcuni funzionari dello stato accedono a banche dati con dati sensibili, che dovrebbero essere usate per combattere la mafia, per passare informazioni sensibili su politici non amici ad alcuni giornali, particolarmente al giornale di De Benedetti, tessera numero uno del Pd, e ho letto anche al responsabile comunicazione del Pd, per lanciare campagne di fango. Spero si arrivi ai mandanti, con nomi e cognomi». 

Dal partito di Antonio Tajani c’è quindi il tentativo di una nuova prova di forza dopo l’audizione del procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, che ha parlato dell’inchiesta sugli accessi ai database del finanziere Pasquale Striano. La linea è chiara. E in risposta all’iniziativa di Fi, da Sinistra Italiana giunge un «alt a qualsiasi caccia al lavoro dei giornalisti».

Perché, sostiene il segretario Nicola Fratoianni, «non ce la si può prendere coi giornalisti, bisogna prendersela con chi le ha fatte uscire». Ma è una delle poche voci, in Italia, che si leva a favore della libertà di informare.

L’European centre for press and media freedom ha invece preso una posizione netta: «Nessun giornalista che indaga su questioni di interesse pubblico, o sulle loro fonti, dovrebbe temere o essere esposto a intimidazioni, condanne o incarcerazioni». Nello specifico «le organizzazioni firmatarie condannano fermamente la decisione di indagare tre giornalisti (il pool investigativo di Domani, ndr) e chiedono l'immediata chiusura delle indagini preliminari, in linea con gli standard internazionali sulla libertà di stampa».

Destra all’attacco

Le reazioni alle parole di Cantone sono state varie e infervorate. Fratelli d’Italia va all’attacco, parlando di «scenario orwelliano inaccettabile in una democrazia occidentale».

Il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, invece chiede «ai 4 giornalisti di svelare il segreto professionale in base agli articoli 200 e 204 del codice di procedura penale e rintracciare i messaggi cancellati tra loro e Striano» e propone di «togliere la toga e la divisa ai servitori infedeli dello Stato», prendendosela con quelli che definisce «sceriffi e giudici dell’anti-Stato­».Per il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, si tratta di «un problema non solo per i politici coinvolti, ma per tutti i cittadini italiani».

Sulla stessa falsariga si muove anche la Lega: «È un attacco alla democrazia», viene scritto in una nota. Il riferimento è a un «dossier sui finanziamenti della Lega finito nei cassetti della Dna e non trasmesso a nessuna procura nazionale».

La tesi leghista è quella di «una campagna diffamatoria» successivamente «smontata in tribunale dopo anni di fango e di vite rovinate». Il segretario del partito, Matteo Salvini, su queste basi, ripete di voler sapere «chi sono i mandanti». Un concetto espresso fin dai primi giorni in cui sono stati resi noti i contenuti dell’inchiesta.

La questione si sposta poi su un campo più di scontro tra forze politiche e addirittura su singoli profili. Il capogruppo al Senato di Forza Italia, Maurizio Gasparri, chiede le dimissioni dalla commissione antimafia di Federico Cafiero De Raho, attuale rappresentante nell’organismo del Movimento 5 stelle: «Deve giustificarsi del suo operato di Procuratore nazionale e il fatto che sia presente in commissione è inquietante». «Rappresenta», attacca il dirigente forzista, «un conflitto di interessi che non può essere ignorato».

Intorno al nome dell’ex magistrato, ora parlamentare, si è concentrata la posizione della senatrice di Italia viva, Raffaella Paita: «Ho ribadito la richiesta di audizione davanti alla Commissione antimafia di Cafiero de Raho per chiarire il funzionamento delle sos nella procura antimafia durante il suo mandato».

L’esponente renziana pungola poi il deputato M5s: «Non ci sono precedenti di un commissario audito, ma credo che l'ex Procuratore antimafia possa fornire elementi importanti per la comprensione della vicenda»

Riforma e cybersicurezza

Il deputato di Azione, Enrico Costa, volge lo sguardo un po’ più avanti e chiede una riforma del meccanismo sui controlli: «Qualcuno continuava a vendere le Sos, urge una norma rigorosa. La scriveremo noi».

Dal Pd, con Andrea Orlando, arriva la replica a chi immagina un’operazione benedetta dal suo partito: «Chi pensa che il Pd sia collegato è un cretino. Si pone la questione non della polemica tra centrodestra e centrosinistra ma della vulnerabilità del nostro Paese rispetto alla possibilità di ingerenze interne ed esterne». Quindi, l’ex ministro e attuale parlamentare dem lancia l’appello per una «prova di maturità» della politica. Che, però, lui stesso non vede.
Dall’Alleanza verdi sinistra c’è una riflessione più ampia, riguardante il tema della cybersicurezza in Italia. Con questo spirito viene fatta la denuncia, in una nota congiunta della senatrice Aurora Floridia e della deputata Elisabetta Piccolotti.

«Dalle audizioni emerge una condizione di estrema vulnerabilità delle banche dati italiane dell’intero sistema giudiziario, sia rispetto ad attacchi interni di funzionari dello Stato infedeli ma, potenzialmente anche da attacchi esterni di organizzazioni criminali o terroristiche che potrebbero essere interessate a proteggersi dalle indagini o a minare la sicurezza nazionale», sostengono le parlamemntari.

Così è stato lanciato l’invito da «priorità al provvedimento sulla cyberisicurezza». Con relativi investimenti.

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