Alle cinque del pomeriggio a piazza Duomo il palco della Liberazione ha finito le parole: hanno parlato in tanti, dal sindaco Beppe Sala al presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo, al leader della Uil Bombardieri, Pif ha recitato uno strepitoso decalogo di luoghi comuni sul «fascismo buono» e lo scrittore Antonio Scurati ha letto il suo monologo censurato in Rai.

Anche la musica è finita, quella del coro della sezione Anpi del Teatro della Scala che ha cantato Bella ciao. Però la coda del corteo del 25 aprile è ancora a via Palestro, praticamente alla partenza. Perché questo giovedì a manifestare a Milano sono arrivati in (almeno) centomila.

Una festa nazionale dell’antifascismo. Mille colori diversi, dal rosso verde bianco della Palestina al bianco celeste di Israele, mille voci diverse, a volte è una cacofonia, a volte sono fischi e parole ignobili. Ma alla fine è una sola moltitudine di cittadini e cittadine che sfilano per le strade di Milano, in ricordo e onore della parata dei partigiani il 6 maggio 1945, dopo la Liberazione dal nazifascismo.

Alla fine nessun episodio – e ce n’è di sgradevoli e di inaccettabili – cambia il segno della giornata. Che è: ha vinto l’unità di chi sa che la Repubblica è figlia della Resistenza. Come dice in mattinata il presidente Mattarella, che è idealmente alla testa di una marea imponente di italiani e italiane – da Milano a Roma a tutte le città – che non considerano la festa del 25 aprile «divisiva». Come invece fa la destra di governo.

«Resistenza», anche a Kiev

Va detto che alcuni striscioni non stanno insieme ad altri. Ci sono bandiere della pace ovunque, la testa del corteo dice «Cessate il fuoco ovunque», ma c’è chi risponde «Cessi il fuoco chi l’ha iniziato», c’è chi urla «Palestina libera» e chi risponde «da Hamas», chi inneggia alla Liberazione «anche da Giorgia Meloni», c’è un lenzuolone arcobaleno portato dai disarmisti dell’Arci, delle Acli, Emergency.

Ma poco più avanti c’è un bandierone altrettanto lungo gialloceleste Ucraina da cui partono cori «Putin assassino», «Ora e sempre resistenza», intendono quella di Kiev. Che però qualche metro indietro viene negata dai «No alle armi», nel senso no alle armi all’Ucraina. Migliaia di bandiere palestinesi; si piazzano davanti al Duomo fin dalle 13, proprio sotto il palco. Ma anche cartelli contro Israele macchiati di sangue contro «il genocidio dei palestinesi». E anche striscioni che chiedono il rilascio degli ostaggi.

La comunità ebraica quest’anno ufficialmente non c’è, in dissenso con le parole d’ordine dell’Anpi. Epperò ci sono migliaia di italiani ebrei e che sfilano, gli uomini con la kippah in testa, davanti, dietro e tutto intorno allo striscione della Brigata ebraica. Che ha scelto parole incontestabili: «Ora e sempre la democrazia si difende». Con le armi, sottintende, come fece la Brigata insieme a tutte le altre brigate partigiane, bianche, rosse e persino monarchiche, e insieme ai militari che disobbedirono agli ordini di Salò, tutti insieme contro i nazifascisti.

La Brigata viene contestata, come ogni anno, all’angolo di piazza San Babila. Filopalestinesi ma anche miti insospettabili urlano «assassini», ce l’hanno con Netanyahu e con i 35mila morti di Gaza, per interposta stella di David, ma il rito quest’anno dura meno: i City Angels, guardioni civici in giubbotto rosso, fanno da truppe di interposizione.

E poi davanti a loro ci sono le bandiere di Radicali, +Europa, Azione (ci sono Carlo Calenda e Mariastella Gelmini) e Italia viva. E la neonata associazione Sinistra per Israele: in realtà sono anti Netanyahu tanto quanto quelli che li contestano. E dietro c’è lo spezzone del Pd, con Elly Schlein, che dice: «Celebriamo quell’Italia che è stata dalla parte giusta della storia»

I “sionisti” cantano Bella ciao

«Siamo tutti antifascisti, siamo tutte antifasciste», urlano i ragazzini dell’associazione Hashomer Hatzair. Sono «i sionisti» verso cui una squadretta di giovani arabi prova a sfondare il servizio d’ordine. Se anziché provare a menare li ascoltassero, sentirebbero che stanno cantando «Bandiera rossa». Sono – ci spiega Joseph Jona Falco – «un movimento giovanile ispirato al Sionismo socialista», «e laico», aggiunge una sua amica; sono le nuove leve dei giovani ebrei che si ribellarono in armi al rastrellamento del ghetto di Varsavia, il 18 gennaio 1943.

Ma i ragazzini arabi che li aspettano al McDonald hanno visto, dietro di loro, le insegne della Brigata ebraica. Scattano: ma vanno quasi a vuoto, dietro i City Angels arrivano i poliziotti in tenuta antisommossa. Finisce male per qualche vaso di fiori, e per un incolpevole cagnolino brandito in aria. Gli agenti sanno come fare, quando vogliono evitare il peggio. E oggi nessuno vuole il peggio. Ma anche nessuno vuole farsi cacciare dal corteo.

Dal palco nessuno regala alibi alla destra di governo, quella che «i veri fascisti sono quelli della sinistra». Pagliarulo misura le parole: «Questo è il giorno in cui è unita la nostra comunità democratica», ma «attenti a non confondere l’orribile razzismo antisemita con le legittime critiche a Netanyahu». Sala: «Dichiararsi antifascisti tutti i giorni è facile, bisogna esserlo. Ad esempio in Europa bisogna evitare di frequentare ambienti che fascisti lo sono».

Tanto facile però non è per la premier Meloni: anche quest’anno non riesce a fare professione di antifascismo, non riesce a nominare i partigiani, sui social ammette giusto l’ovvio: che la Liberazione «con la fine del fascismo pose le basi per il ritorno della democrazia», e ribadisce la sua «avversione a tutti i regimi totalitari e autoritari» e «Viva la libertà». Mancherebbe, viva.

Il 25 aprile di Mattarella

Dall’altra parte della storia, e del paese, c’è Sergio Mattarella: la mattina ha reso omaggio all’Altare della Patria a Roma (c’era anche Meloni), ma poi va a Civitella in Val di Chiana (Arezzo), teatro di una strage dei nazisti contro i civili, e dice chiaro e solenne che «il 25 aprile è per l’Italia una ricorrenza fondante», su cui «l’unità» «è doverosa», che «la resistenza di un popolo contro la barbarie nazifascista» ha prodotto «la Costituzione repubblicana, in cui tutti possono riconoscersi». Quel possono si legge «debbono».

A Roma la mattina, prima del corteo cittadino, c’era stata qualche tensione fra giovani “pro Pal” e la Brigata ebraica, a Porta San Paolo per rendere omaggio alla Liberazione. Sono andati a cercarli per contestarli, visto che la comunità ebraica da anni non sfila più nel corteo: quest’anno era al Museo di via Tasso, dove Radio Radicale ha fatto una diretta di ore. Diretta dal corteo milanese invece per Radio Popolare, che ha aderito all’appello del quotidiano Manifesto nel trentennale del grande corteo del 1994 contro Berlusconi, quello in cui spuntò Bossi.

Oggi il capo della Lega invece è Matteo Salvini, che appare a sorpresa al Sacrario dei caduti e giura: «Ho sempre commemorato il 25 aprile, senza sbandierarlo». Nessuno se n’era accorto, infatti. La verità è che cerca la provocazione: a un passo dal corteo presenta il suo libro Controvento, che è l’esatto contrario di «Fischia il vento», infatti lì lancia per le europee il generale Vannacci, un altro che non riesce a dissociarsi dal fascismo.

Ma è la giornata della Liberazione, dei due non si accorge quasi nessuno, almeno oggi.

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