Il ministero delle Infrastrutture di Matteo Salvini è una zavorra per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza che va a rilento. Alla fine del 2023, dei quasi 40 miliardi a disposizione del Mit sono stati spesi solo 6 miliardi. Circa il 15 per cento del totale delle risorse.

Il 2023 è stato l’annus horribilis: Salvini ha investito nel concreto solo 1,32 miliardi. Nel prossimo triennio serve una volatona per non far naufragare il Pnrr. Quello del leader leghista è solo la punta di diamante, si fa per dire, di un meccanismo che sembra funzionare solo nella narrazione del governo.

A mettere nero su bianco le mancanze del governo è la relazione semestrale diffusa e illustrata dal ministro del Pnrr, Raffaele Fitto. Difficoltà che intrecciano il passato, le cose non fatte, e il futuro, il nuovo decreto sul Piano, che ancora non si è visto. «I tempi non sono lunghi», ha garantito comunque Fitto.

Il provvedimento è diventato un oggetto misterioso: annunciato fin dall’inizio del nuovo anno, è stato rinviato più volte. Poco male per lo storytelling meloniano. Il ministro ha continuato a rivendicare successi: «I tanti obiettivi centrati finora ci rendono fieri e ci incoraggiano a dare sempre di più».

Spesa reale

I numeri, però, non giustificano i trionfalismi. Finora l’Italia ha speso circa il 46 per cento dei fondi ricevuti dall’Europa. Al 31 dicembre 2023 erano arrivati «101,93 miliardi di euro, corrispondenti a circa il 52 per cento del totale del Pnrr, comprensivi del prefinanziamento iniziale», riporta il documento diffuso da palazzo Chigi e le «spese sostenute risultano pari a circa 45,6 miliardi di euro».

E se il dicastero Salvini resta il problema principale, non va meglio per altri. Un caso emblematico è il ministero della Salute di Orazio Schillaci che ha speso appena 590 milioni di euro su una dotazione totale di 15,6 miliardi di euro.

Malissimo il ministero del Lavoro di Marina Elvira Calderone: ha speso appena 59 milioni di euro su una somma di 7,2 miliardi di euro. E se il welfare piange, la cultura non sorride. Il ministero affidato a Gennaro Sangiuliano ha segnalato una spesa di 152 milioni di euro a fronte di una disponibilità di 4,2 miliardi. Al ministero del Turismo di Daniela Santanchè, tutta tesa a raccontare le magnifiche sorti del proprio operato, non basta una Venere di Botticelli come testimonial per realizzare i progetti del Pnrr: ha impiegato effettivamente solo 67 milioni di euro su una somma complessiva di 2,4 miliardi di euro.

E che dire dell’innovazione? Il dipartimento per la Trasformazione digitale, affidato ad Alessio Butti, un fedelissimo di Meloni, ha messo a bilancio un investimento reale che è di circa del 10 per cento della disponibilità.

Lamentele governative

Certo, il ministro Fitto ha dato fondo alla vecchia strategia dello scaricabarile, un must dell’èra meloniana: «I numeri della spesa sono assolutamente sottodimensionati rispetto al fatto che molti enti attuatori non hanno caricato, sul programma Regis, una spesa già di fatto effettuata», è stato il mantra della conferenza stampa.

Insomma, la responsabilità è dei numeri non delle lentezze nella realizzazione delle opere. E, a dispetto delle arrampicate sugli specchi, l’attuazione del Pnrr sta beneficiando dei tanti invisi – al duo Giorgetti-Meloni – bonus energetici. Anche per questo il ministero delle Imprese e del made in Italy di Adolfo Urso ha utilizzato risorse per 13,7 miliardi su un totale di 19,6 miliardi, facendo registrare una delle migliori performance.

A traino c’è il ministero dell’Ambiente di Gilberto Pichetto Fratin che ha messo in circolo la somma 14 miliardi di euro sui 34,6 miliardi di plafond. Oltre ai dati ministeriali, c’è un problema sui territori. I comuni sono tornati alla carica per ottenere i 10 miliardi di euro dirottati altrove dal governo Meloni, nell’ambito della revisione del Piano, bloccando di fatto migliaia di progetti.

«Buona parte della spesa è merito dei comuni che hanno fatto 230mila gare sui 35 miliardi assegnati, facendo gare per 32 miliardi e mezzo», ha rivendicato il presidente dell’Anci, Antonio Decaro. «Chiediamo ancora una volta al governo di trovare le risorse per sostituire i 10 miliardi che sono stati spostati sul Repower», ha aggiunto il sindaco di Bari.

Fitto, in un giorno complicato, può comunque consolarsi con una vittoria: dal parlamento europeo è arrivato il via libera alla nomina di Manfredi Selvaggi a componente della Corte dei conti Ue. Il fedelissimo del ministro, uno dei bracci operativi del Pnrr, trova un posto in Europa. Facendo probabilmente da apripista al “suo” ministro. Che accarezza il sogno di diventare commissario europeo. Anche se lui si schermisce: «Sono impegnato nella relazione semestrale del Pnrr».

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