Gli slogan della marea fucsia, le manifestazioni di Non una di meno di sabato scorso, non sono stati affatto amichevoli verso la presidente del consiglio Giorgia Meloni. Per questo, anziché provare a distillare una parola di considerazione delle sterminate piazze di ragazze e ragazzi contro la violenza maschile sulle donne, la premier li ignora e se la prende con quelli che definisce «intollerabili atti di violenza e intimidazione contro Pro Vita e Famiglia».

Il riferimento è ai momenti di tensione che si sono consumati sabato, verso la fine della corteo romano, vicino all’arrivo, quando un settore di coda del serpentone si è fermato davanti alle saracinesche dell’associazione Pro Vita&Famiglia, a viale Manzoni. Una contestazione prevedibile da parte del movimento transfemminista contro gli attivisti pro life, contrari alla legge 194 e all’interruzione di gravidanza. È iniziata con l’apertura di uno striscione ironico «Voi pro Vita, noi pro Vibra».Poi sono partite le scintille: e cioè il tentativo di fare delle scritte all’ingresso dei locali.

Nella versione della premier, assunta senza se e senza ma da quella fornita dal presidente dell’associazione Jacopo Coghe, si è trattato di «intollerabili atti di violenza e intimidazione» – il riferimento è a minacce sentite in quei momenti agitati – di «terrorismo», di «una sede devastata» dalle «nazifemministe» (questa la definizione di Coghe). In realtà le immagini che la stessa Pro Vita&Famiglia diffonde dopo la contestazione mostrano le saracinesche imbrattate con scritte spray.

I e le manifestanti scrivono «decido io» sul grande disegno di un feto, accendono fumogeni di fronte alla polizia che prontamente si schiera in difesa dell’ufficio, e che poi allontanano tutti. Secondo la versione degli attivisti, i (pochi, per fortuna) vetri rotti sarebbero conseguenza del parapiglia con la polizia. Le saracinesche comunque restano chiuse, il che dovrebbe smentire la versione della «devastazione». Sul profilo Instagram di Nudm viene postata la denuncia dei manganellamenti. Secondo un’attivista «due ragazze sono rimaste ferite, una al viso, che è stata portata in ospedale, l’altra alla testa».

Ma già da sabato sera spunta un “corpo del reato”: il presidente dà notizia di quello che chiama «un piccolo ordigno» ritrovato poi nei locali del suo ufficio che, ipotizza, potrebbe essere “entrato” attraverso una vetrina rotta. Nei post successivi il «piccolo ordigno» diventa un «marchingegno esplosivo».

L’ordigno con la cera

Lunedì Open ha pubblicato quella che ha presentato come la foto dell’ “ordigno”: una bottiglia arrotolata artisticamente con lo spago e pitturata di bianco. Secondo il sito, lo spago sembra «stato apposto a scopo ornamentale, e sopra della cera colata, come se la bottiglia fosse stata usata come reggi moccolo di una candela». Nella bottiglia sarebbe stata rinvenuta polvere pirica. Ma per fortuna difficilmente sarebbe esplosa: non aveva l’innesco. In ogni caso le forze dell’ordine e la polizia scientifica indagano sull’accaduto

Meloni però non ha dubbi e si rivolge direttamente a Elly Schlein e Maurizio Landini, entrambi in piazza sabato scorso: «La violenza va condannata sempre o solamente quando si rivolge a qualcuno di cui condividiamo le idee? È questa la domanda sulla quale, da parte di certa sinistra, non abbiamo mai avuto una risposta chiara».

Da destra fin lì le polemiche contro il corteo si erano appuntate sulla presenza di bandiere palestinesi e sulle durissime accuse contro Israele contenute nella piattaforma, poi “corrette” a voce con la condanna degli stupri di Hamas, in una conferenza stampa alla partenza della manifestazione.

Lunedì invece tutto il gruppo dirigente di Fratelli d’Italia è passato alla fase due, e si è scatenato nella sfida ai due leader di condannare le azioni contro i pro-life. Azioni che alcune manifestanti definiscono con eufemisticamente «sanzioni».

Piovono dunque decine di dichiarazioni copia-incolla, in un crescendo di drammatizzazione dell’accaduto che viene paragonato all’assalto e alla devastazione – quella sì – della sede nazionale della Cgil, il 9 ottobre 2021, da parte di un gruppetto neofascisti, secondo le sentenze già passate in appello un’azione «pianificata».

Così un episodio brutto, ma per fortuna senza conseguenze per le persone e con danni contenuti anche per le cose, diventa il motivo di un cannoneggiamento politico per le ragazze dei centri antiviolenza e per i loro (presunti) fiancheggiatori politici. Nel pomeriggio una delegazione di Fdi porta la solidarietà all’associazione e annuncia un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

Conte: sminuisce il corteo

Commenta però solo Giuseppe Conte, che in piazza c’era, ma a Perugia, insieme allo stato maggiore di Sinistra italiana che lì celebrava il suo congresso: «Condanniamo sempre gli atti di violenza», dice il presidente M5s, «però non vorrei che questo fosse un modo per sminuire una grande mobilitazione, una grande risposta a favore del riscatto delle donne, contro ogni sopruso o arbitrio».

La batteria di Fdi va avanti fino a sera. Nel frattempo arriva un’altra notizia: viene da una scuola romana, si tratta della vandalizzazione di una mostra di «lavoretti» di ragazze e ragazzi dell’istituto Matteo Ricci dell’Eur. I professori hanno tenuto una settimana di attività educativa in occasione della Giornata internazionale. I ragazzi avevano composto un grande «No alla violenza» con i nomi delle oltre cento donne uccise dall’inizio dell’anno.

E avevano piantato un ciclamino rosso. Tutti fogli sono stati stracciati e il ciclamino è stato sradicato e buttato sulle scale. La dirigente scolastica ha «condannato fermamente quanto accaduto, rilanciando con ancora più fermezza e urgenza l’impegno educativo nella lotta contro ogni forma di violenza e sopraffazione». Ma da Fratelli d’Italia, nella giornata della grande sensibilità contro le devastazioni, non arriva nessuna parola di solidarietà.

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