«Abbiamo un quadro preciso degli interventi su Bagnoli che ci consentirà di procedere con grande velocità verso il completamento di tutte le bonifiche e delle infrastrutture per il 2029». Il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi in queste ore vuole parlare solo di questo. Della bonifica della sterminata area dell’ex Ilva e dell’ex Cementir, acciaio e calcestruzzo.

Un progetto lungo trent’anni, la «dismissione» raccontata in maniera straziante e bellissima dal romanzo di Ermanno Rea all’inizio del secolo. Di cui lui, Manfredi, può firmare l’inizio a nuova vita, un passaggio storico, «il simbolo di un Mezzogiorno finalmente positivo», dice: diventerà un parco urbano, un parco dello sport, servizi tecnologici e spazi alberghieri. L’accordo con Giorgia Meloni arriverà a settimane. Ci sono gli altri progetti di riqualificazione finanziati dal Pnrr: l’Albergo dei Poveri, le Vele di Scampìa, la Taverna del Ferro. Di tutto questo parlerà oggi a Roma, a “Missione Italia”, l’appuntamento dell’Associazione nazionale dei comuni d’Italia dedicato al Pnrr di comuni e città. Lo ascolteranno, oltre ai colleghi, i ministri: Raffaele Fitto, che ha il dicastero del Pnrr, ma anche Piantedosi, Salvini e Valditara.

Una rosa due petali

Lui, raccontano gli altri sindaci, è uno che sa farsi ascoltare. È un “civico”, non un politico di professione, ma sa come prendere Gennaro Sangiuliano, riesce a far ragionare Daniela Santanchè. Si capisce: è stato ministro dell’Università con il governo Conte II, prima era stato rettore della Federico II e presidente della Conferenza dei rettori: sistemi complessi che richiedono pazienza e ascolto. E il suo principio, ce lo ha ripetuto anche ieri, è che «se vuoi costruire qualcosa, devi saper ascoltare le persone, e devi far capire di rispettarle». Non a caso ciclicamente qualcuno lo dà come federatore del centrosinistra: guida la città con un’alleanza larga, dai M5s ai centristi, è un pontiere naturale, per mesi è stato l’unico che parlava con Conte e con Letta, quando i due non si parlavano più.

Ma questa sarebbe un’altra storia. La storia di oggi è che il suo discorso alle Corsie Sistine di Santo Spirito in Sassia sarà attentamente ascoltato. Perché è il suo esordio da delegato Anci nella Conferenza stato-città. E perché – soprattutto – a novembre a Torino ci sarà il congresso dei sindaci per eleggere il loro nuovo presidente. Antonio Decaro, in carica dal 2016, è volato in Europa con un consenso a valanga, quasi 500mila preferenze. E in pole position è praticamente rimasto solo lui, il sindaco di Napoli. Che cortesemente chiude il discorso: «La scelta è in capo all’assemblea».

I congressi inizieranno a settembre. Nella rosa restano in quattro, in teoria: due sono del Pd, il torinese Stefano Lo Russo, giovane, riformista, apprezzato ma impotabile per i Cinque stelle, causa storici conflitti cittadini con l’ex sindaca Chiara Appendino; e il bolognese Matteo Lepore, emergente, vicino a Elly Schlein e molto gauchista, dunque indigesto a destra. Poi due civici, entrambi quotati: il milanese Beppe Sala, e Manfredi. La segretaria non ha ancora detto la sua sulla partita. Difficile per lei non orientarsi su un sindaco del suo partito.

Contro Sala gioca la concretezza dei sindaci: preferiscono votare chi si dedicherà al compito per un periodo lungo. E lui è già a metà del secondo mandato. Ma non è dirimente, anche Sergio Chiamparino è stato presidente per un anno e mezzo. Guaio vero invece per lui è l’ostilità di Salvini e dei sindaci leghisti; e il sospetto bipartisan di considerare l’Anci un trampolino per una partita politica nazionale, magari quella di federatore dell’area di centro. Elemento di diffidenza, per i sindaci di targa Pd – la maggioranza dei quasi 800 italiani – le sue altalene politiche: nel marzo del 2021 ha dichiarato di entrare nei Verdi europei. Una tessera di cui nessuno ha saputo più niente.

È del Nord, incarnerebbe l’alternanza con il pugliese Decaro. Ma nella storia dell’Anci ci sono serie di nordici consecutivi, dal 2009 al 2013: Chiamparino (Torino), Delrio (Reggio Emilia), Fassino (Torino).

Fra Decaro e Fico

Manfredi è in pole position. Stile inclusivo naturale (in ogni senso politico e civico: la scorsa settimana ha partecipato al Pride Napoli, acclamato dalla platea), esponente del «pensiero meridiano», cioè di un Sud, come scriveva il grande sociologo Franco Cassano, «non periferia degradata dell’impero, ma centro di un’identità ricca e molteplice, autenticamente mediterranea». Nei mesi, forse negli anni dell’autonomia differenziata, conterà: fin qui l’Anci ha criticato il ddl Calderoli, ma senza spingere troppo, per non spaccarsi. Di qui in avanti, con la sinistra in rivolta ma la destra (a Sud) a dir poco irritata, il tema sarà cruciale. Un sindaco dem ci spiega che «attorno a Manfredi si sta creando un bel consenso». Anche perché con Decaro in questi mesi ha intrecciato un dialogo intenso. Aiutato anche dal fatto che all’eurocandidato non sono mancati i voti dalla Campania, e da Napoli. Favorevole a lui anche Matteo Ricci, altro ex sindaco (di Pesaro) ora parlamentare europeo, anche lui Pd e anche lui stravotato. Un favore che conta: Ricci è il coordinatore dei sindaci Pd, ed è presidente dell’Ali, l’ex Lega delle Autonomie, che lui ha rilanciato come associazione di primi cittadini progressisti.

Infine, ma non ultimo, favorevolissimo a lui è il drappello dei sindaci M5s. Pochi, ma determinati. Intanto perché Manfredi è rimasto amico di Conte nella cattiva sorte. E poi, poi si fa per dire, ancorare Manfredi all’Anci, e al suo secondo mandato a Napoli, lo sfila dai papabili candidati alla regione Campania: dove loro vedono senza dubbi Roberto Fico. Che peraltro di Manfredi è amico, e su lui usa parole di miele.

Non è fatta, mancano quattro mesi. Ma tradizionalmente nell’Anci non si va allo scontro. In tempi recenti è successo solo nel 2013, lo spareggio fra Delrio e Michele Emiliano. Ma anche su questo lo stile Manfredi conta: martedì scorso, al margine del Consiglio nazionale dell’Anci, lui e Sala si sono appartati al tavolo di un caffé. Un caffé lungo. E alla fine si sono stretti la mano.

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